Puligny Montrachet, Domaine Leflaive. Ancora una gran donna biodinamica
“ e se proprio non vi riuscisse di trovare un biodinamico del Damaine D’Auvenay, la migliore alternativa possibile sarà un grand cru di Madame Leflaive”
Questa frase, qui riprodotta con l’approssimazione del ricordo, mi colpì nel profondo della mente e mi diede l’energia e la voglia di avvicinarmi ai vini del Domaine D’Auvenay.
I vini del Domaine Leflaive già li conoscevo , ma questa affermazione di Enzo Vizzari, pubblicata a suo tempo sul defunto Grand Gourmet mi spinse ad approfondire meglio la questione.
Perché solo i grand cru ?
Chez D’Auvenay è tutto eccellente. Qui solo i grand cru?
Un’altra domanda, stimolata dal fatto che i vini del Domaine Leflaive venivano fatti da quel grande vigneron che si chiama Pierre Morey, a suo tempo impiegato anche presso il nobilissimo Domaine Comtes Lafon di Meursault. Perché Pierre Morey non riusciva a proporre una qualità simile a quella che otteneva dai vitigni di Madame Leflaive nei vini che uscivano sotto la propria etichetta?
Come sempre in questi casi è il bicchiere a dire la verità.
Il vino nel bicchiere, un colpo d’occhio, un approccio al naso e le risposte importanti saranno inviate al cervello tramite la vista e l’olfatto. Il gusto sarà a quel punto solo una non richiesta conferma di quanto già compreso con la prima indagine sensoriale.
Perché i vini di Pierre Morey non siano all’altezza di quelli che vinificava per Madame Leflaive per me rimane un mistero, o forse sarà semplicemente dovuto dalla diversità dei terreni, invece che siano solo i grand cru a destare la maggiore impressione tra la gamma di denominazioni disponibili sotto l’etichetta Domaine Leflaive è abbastanza vero. Nel senso che la tavolozza di territori di cui dispone il mitico Domaine di Puligny (25 ettari) è talmente ampia che le differenze rilevabili sono assolutamente didattiche e le nobiltà crescenti dei terroir sono evidenti quanto osservare una gradinata.
Possedere appezzamenti in quattro dei cinque grand cru della divina collina è di per se stesso già un valore teorico altissimo, in quanto consente già internamente al Domaine di rendersi conto delle differenze rilevabili tra un sontuoso e cattedralico Montrachet, l’estrema finezza di un Chevalier, un rotondo , grasso e untuoso Batard, da raffrontare ulteriormente con il vicino Bienvenues Batard per coglierne le sottili sfumature. Manca solo Criots all’appello, ma per quello c’è a disposizione l’altra Madame.
Purtroppo non ho mai avuto il piacere di bere il Montrachet di Madame Leflaive, ma fortunatamente gli altri tre si, e quindi potendo prendere atto che l’affermazione di Vizzari era condivisibile. Però scorrendo la scala teorica di nobiltà di territori, è altrettanto rilevabile quanto il Puligny premier cru Pucelles sia vicino ai quattro grandissimi più di quanto la mappa dei vigneti possa evidenziare. Pucelles è un terroir che ha poco di meno dei grand cru con cui confina, e a voler far anche due righe di conti, è uno dei premier cru più costosi del comune di Puligny quello rintracciabile sotto l’etichetta Domaine Leflaive.
E quando il mercato ti premia con un prezzo molto diverso vorrà dire qualche cosa.
Gli altri premier cru: Folatieres, Combettes e Clavoillon sono generalmente una o due spanne sotto, anche se in determinati millesimi, come il 2006, Folatieres non è apparso inferiore agli altri, ma si tratta di eccezioni.
La straordinaria finezza che ha sempre contraddistinto i vini bianchi del Domaine faro del comune di Puligny non è mai stata persa, pur attraversando il guado della biodinamica ed il passaggio di consegne tra il vecchio régisseur, Pierre Morey, ed il suo successore, Eric Remy.
Anna Claude Leflaive, la dama di ferro poco incline a vezzi e orpelli, incide profondamente con la propria convinzione sulla biodinamica applicata, quella vera, quella che ti arriva nel bicchiere pura e fragrante, lontana dalle mode e dall’opportunismo.
Qui i millesimi da bere sono parecchi, perché l’esperienza e la convinzione hanno seguito armonicamente le varie evoluzioni climatiche degli ultimi due decenni, e quindi scarterei solo la 2003 dell’ultimo decennio, mentre del precedente saranno probabilmente arrivati con sofferenza alla soglia del 2010 le annate 1998,1997,1994 .
Faccio questi riferimenti che potrebbero apparire lontani perché questi vini in gioventù si danno veramente poco. Qui, più che da altri produttori, una decina di anni d’attesa e quanto mai auspicabile e consigliata. Oggi si potrebbe bere con qualche soddisfazione un 2001, un 2002, e la reperibilità è tutto sommato non molto complicata per alcuni premier cru, mentre i prezzi dei grand cru raccomandati da Vizzari non sono affatto leggeri, ma se visti in paragone a quelli dell’altra grand Madame , beh, allora si può fare. Un bel Batard 2001 , come quello che ho bevuto l’ultima volta che sono stato ad Orta a Villa Crespi è un esperienza fattibile , ripetibile, e difficilmente dimenticabile.
Solo un accortezza, lo dico perché sono in molti a confondersi, per disattenzione o superficialità.
Questo è il mondo del Domaine Leflaive di Anne Claude Leflaive, da non confondere con Olivier Leflaive, onesta maison de negoce che ha sede nel medesimo comune di Puligny Montrachet.
10 Commenti
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Oh, non interesserà nessuno, ma “forsi forsi” comincio a orientarmi nei criteri, nel puzzle, nel patchwork di muretti che suddividono e parcellizzano la Borgogna. Roba da spaccarsi la testa. Almeno si comincia a dare un nome qua e là, a poter considerare la situazione.
Grazie Guardiano, non era impresa da poco: paradossalmente più tasselli si aggiungono più chiaro si fa il quadro, una sorta di “gugolert” vinicola. Sempre nei limiti, si intende: sulla carta insomma.
P.S forse ora capisco perché una bottiglia di Pinot di Pierre Moray era rimasta solinga e romita qual passero solitario d’in sulla vetta del maffiano ostello ;-)
E’ successa la stessa cosa anche a me , Fabrizio. Prima guardavo le carte lato Francia e molto spesso non sapevo cosa pescarci, anche pwrche’ li’ l’errore lo paghi caro. Oggi leggo, che so’ … Pacalet e subito me la tiro ricordando il pezzo del gdf.per l’ ostello mi hai dato un’idea:-))
E noi aspettiamo di sapere qual’è…
Si, la Borgogna è piuttosto complicata da capire, proprio per la frantumata parcellizzazione , prima dei cru e poi della continua divisione dei medesimi tra centinaia di proprietari per ricaduta di eredità e poi ancora per la ripetitività dei cognomi. Si, un bel casino, ma a me le cose semplici e banali mi hanno stancato da un pezzo e quindi ben venga la Borgogna che sembra immutata ma che invece è in continua evoluzione ;-)
Sto facendo una raccolta di firme in solidarietà di “Ouragan “, il cavallo di Madame Leflaive, vittima della biodinamica (…o del marketing ad essa correlato) in virtù della quale si trova a “lavorare”, da solo, altri cavalli reclamizzati non ne ho visti sul sito aziendale, ben 25 ettari di vigneto e se è il caso, alla fine della “giornata” deve anche scorazzare gli enoturisti da un clos all’altro…ma ce lo hanno un sindacato questi cavalli francesi? Al di là della facile ironia, determinata da questa ed altre “incongruenze che ho notato navigando sul sito, mi fa specie, questa forzatura sull’aspetto eco-ambientale che a tutti i costi ci si ostina a voler accreditare a un Domaine che probabilmente di questo non avrebbe bisogno, viste le risorse, queste si,”naturali” del terroir sul quale insiste. Ad esempio la composizione fisico-chimica del terreno, il clima particolarmente favorevole per l’acidità, la grande tradizione di studio della genetica sui portinnesti e “last, but not least” la grande determinazione di questi produttori.
Prossimamente avremo anche tra i protagonisti anche il cavallo di Mark Angeli, che ha sostituito il trattore perchè più leggero e meno soggetto ad andare “en panne” :-))
Sono d’accordo, un’associazione in difesa dei cavalli biodinamici s’impone urgentemente!
Sei finalmente arrivato nel mio villaggio preferito.
Meursault o Puligny, dove le donne che credono il quello che fanno non vanno neanche dal coiffeur e non si tingono i capelli.
Certamente Leflaive e’ una cosa “a parte” in questa terra benedetta.
Ma avete sentito Pucelles e Clavaillon 03 e 06?
Mi sembra che non ci stiamo proprio..
Il 2003 lo sappiamo, è stata l’annata più problematica per tutti i bianchi, in tutta Europa praticamente, e la Borgogna non ha fatto eccezione, con 15 giorni di canicola e temperature costanti sopra i 40 gradi. Clavoillon è in effetti il premier cru meno interessante del Domaine.
Quindi nessuna sorpresa, sono i fini distinguo utili da fare in Borgogna, per districarsi nella ricerca delle cose eccellenti evitando quelle di categorie inferiori.