Prodotti da usare: quello che tutti i pizzaioli italiani hanno capito e alcuni (tanti cuochi) ancora no


Pink Floyd, The Wall

Pink Floyd, The Wall

di Luciano Pignataro

Il mondo della pizza è un minestrone cosmico con pulsioni contrapposte, stile napoletano, gommoni, biga e non biga, lievito madre e lievito di birra, scuola romana, scuola veneta, Berberè e Rossopomodoro, 00 e integrale. Un mondo in cui è difficile navigare ma che mi affascina perché vitale e pieno di energie.
Perché c’è una cosa che tutti, proprio tutti, i pizzaioli hanno capito: il successo viene dalla qualità dei prodotti e dalla capacità di selezionare le materie prime partendo dal proprio territorio.

E l’aspetto più incoraggiante, quello che fa della pizza il tappeto volante del pil agricolo italiano, è che questa consapevolezza riguarda tanto i grandi, i più conosciuti  in classifica di 50 Top Pizza, quanto quelli che ancora nessuno ha scoperto o conosce perché non hanno uffici stampa.

Non mancano le polemiche, gli scontri, ma il dato comune a tutte le storie è questo: le pizzerie si riempono e i clienti sono disposti a pagare qualcosa in più non appena la qualità degli impasti e delle materie migliora. Una rincorsa al meglio, vero o presunto, praticato o solo dichiarato poco importa. Quello che conta è cogliere il senso comune della direzione in cui si sta andando, il passaparola: filiera tracciabile, rapporto diretto con i fornitori. E, soprattutto, pagamento immediato. Sì, immediato.

Nella sua introduzione alla Guida Pizzerie d’Italia Laura Mantovano cita tre casi emblematici di Sud, Centro e Nord:Pepe, Bonci e Padoan. Tre grandissimi che però sono stati preceduti tutti dal primo vero innovatore della pizza italiana, Enzo Coccia.

Negli anni ’90 in una fase in cui la pizza era omologata e secondo i principi bocconiani giocava le sue carte unicamente sull’abbassamento dei costi, Coccia ha semplicemente ribadito nel suo piccolo spazio a via Caravaggio che andava fatto esattamente il contrario: aumentare i costi delle materie prime e cercare le migliori a partire dal proprio territorio.

Oggi le pizzerie hanno successo e una crescita a due cifre che gli studiosi prevedono tendenziale nel medio periodo per un motivo molto semplice: è il lusso accessibile a tutti. E’ popolare e figo allo stesso tempo.
E’ italiano!
La qualità del pomodoro è stellare, quella della mozzarella e del fiordilatte non ne parliamo, olio, birra e vino volano e così tutto il resto impegnato nell’artigianato di qualità, dai salumi agli ortaggi.
In ogni locale, ripeto, famoso o meno, il cliente scopre prodotti locali e l’agricoltura respira, i piccoli produttori non devono ricorrere ai prestiti bancari perché sono sicuri che venderanno tutto e che saranno pagati subito.

Questo meccanismo appare di difficile comprensione per alcuni cuochi che dipendono dai rivenditori. Ovviamente non parliamo dei grandi, del top, che è chiaramente orientato verso la non omologazione dei prodotti. Ma nella fascia media, proprio quella che appare più in crisi, e in alcuni giovani, non sembra essere chiaro il concetto elementare che è la materia prima a fare la differenza e spingere il cliente ad entrare e a mettersi in auto. Ovvio, la materia prima da sola non basta se non c’è tecnica e creatività. Ma è la base.
Come la buona uva per fare un grande vino.

Molti si sentono attaccati da alcune nostre prese di posizione, ma non è così. Dovrebbero studiare meglio il successo delle pizzerie. Noi raccontiamo la tendenza che è in atto, poi ciascuno è libero di fare quel che vuole. Ci mancherebbe. Anche noi di parlare solo di quelli che ci piacciono, però, visto che non siamo un ente pubblico.

E la nostra non è una posizione ideologica, lo ribadiamo ad alcuni rivenditori arroganti che schiumano rabbia sui social, insultano e minacciano ( un buon corso di educazione civica ad alcuni rappresentanti eviterebbe molti danni di immagine) perché sentono rischi al loro portafoglio. Ma è una posizione concreta, di buon senso.

Ogni cuoco, come ogni buon pizzaiolo, la buona materia deve cercarla in primo luogo vicino casa. Essere moderni oggi vuol dire anche questo, capire che le risorse ambientali non sono infinite. Capire che se non si creano circoli virtuosi che fanno economia attorno alla propria attività si sega il ramo su cui si è seduti. Questo vuol dire essere manager veri, avere visione d’insieme e non da bottega.
Poi man mano allargarsi a seconda del proprio progetto di piatto e di pizza. E’ ovvio che la pizza con la mortadella non si può fare se non si va a comprare a Bologna. E nessuno pensa che non si debba fare, persino con i wurstel e le patatine, perché no.

Quello che non va bene è adagiare la propria creatività al catalogo, farsi dettare dal rivenditore il proprio menu. Ma è davvero così difficile da capire?

Si replica: un cuoco deve far quadrare i conti. Certo, ma cosa significa? Noi lo vediamo dal mondo della pizza:  i conti quadrano, anzi prosperano, se si fa qualità, se si è originali non solo nelle esecuzioni ma anche nella ricerca della materia prima, se non si è omologati, se si cura il servizio, se ci si aggiorna non dal rivenditore di turno ma girando e studiando.
Come in tutti i mestieri del resto.

Si è detto che la nostra è un crociata. Non credo che esprimere la propria opinione sia fare una crociata. L’unica crociata che ho visto in questi anni è quella contro i contadini e i produttori locali che non avevano sbocchi e venivano umiliati davanti alle porte di alcuni ristoranti.

Si dice che sono vecchie posizioni di Slow Food. Beh, a parte che le posizioni di Slow Food su questa materia ci sembrano sempre più moderne e attuali e i fatti stanno dando ragione a Petrini sul piano economico prima che culturale (a prescindere se si è o meno d’accordo con la vita associativa). A parte questo, a noi sembra che il top della gastronomia mondiale sia orientato su questi temi.

mercanti nel tempio

mercanti nel tempio

E dunque tu, caro ragazzo che hai vere ambizioni e fai tanti sacrifici ogni giorno. Tu che sei sottopagato, tu che hai aperto il tuo locale e sei preoccupato per il futuro, non seguire i rivenditori, ma guarda cosa fanno, in sala e in cucina, i grandi che hai preso a modello. Non essere il terminale di un catalogo, ma usa il catalogo quando ti serve.
Credo che così ti ritroverai al mercato sotto casa molto più spesso di quanto fai adesso.

 

4 Commenti

  1. Sono d’accordo quasi su tutto,unico appunto è che non sono solo i cuochi medi quelli omologati.anche alcuni stellati comprano dal catalogo o usano determinati prodotti perché sponsorizzati

  2. Ognuno, come nelle nuvole, in un pezzo ci vede quello che vuole.
    LP sparge semi per chiavi di lettura diverse, eppure tutte aprono la stessa porta, quella che consente l’ingresso (e la permanenza) nel mondo della ristorazione e non del commercio, la differenza per quanto sottile c’è, “se non si creano circoli virtuosi che fanno economia attorno alla propria attività si sega il ramo su cui si è seduti”, questa la mia chiave di lettura.
    Virtuoso ha molti significati, scelgo, che ha disposizione morale a fare il bene, poi, inspiegabilmente, prima o poi, tutto torna, anche il cliente…

  3. “Ogni cuoco, come ogni buon pizzaiolo, la buona materia deve cercarla in primo luogo vicino casa. Essere moderni oggi vuol dire anche questo, capire che le risorse ambientali non sono infinite. Capire che se non si creano circoli virtuosi che fanno economia attorno alla propria attività si sega il ramo su cui si è seduti. Questo vuol dire essere manager veri, avere visione d’insieme e non da bottega”….pezzo magistrale, tra i migliori letti di Luciano, che dice in parole chiare e concise, quello che io predico da anni con esempi vari……l’altro giorno sono stato con Salvatore Tassa, lui mi ha detto che ha tolto il pesce dii mare perchè non certo della sua provenienza e messo una trota pescata a 1200 metri, ha tolto tagliate e simili poichè la tradizione italiana non è fatta di carni tenere ma dure e saporite, addomesticate dalle lunghe cotture, ha detto che comprare un agnello locale gli da più soddisfazione di un prodotto neozelandese poichè gli ricorda il sapore della sua infanzia.E nel contempo si aiuta l’economia locale.
    Il Problema è che per fare questo devi avere le competenze e sopratttutto dedicare il tempo agli acquisti e non pensare solo all’incasso. Devi saper fare uno stracotto e non solo buttare sulla griglia una costosa entrecote argentina.Devi saper fare il cuoco e non solo l’imprenditore.Ma la colpa è pure dei clienti,sempre più dimentichi dei sapori e delle consistenze. Oggi se chiedi a uno come ha trovato una fetta di carne, ti dice, “buona era molto tenera” come se la tenerezza fosse l’unico parametro, e il sapore dove lo mettiamo?????????Io per primo trovo alcune produzioni dei cataloghi interessanti, ma se integrate in un menù locale con la teoria dei cerchi concentrici, prima pesco nel cerchio più vicino, poi mi allontano. Ma ripeto, per fare questo ci vuole competenza e passione, non solo i soldi.A comprare prodotti costosi e fare i professori con gli sprovveduti leggendo il retroetichetta sono buoni tutti, basta appunto avere i soldi.

  4. Ormai, con l’evoluzione(alcuni la chiamano involuzione) del mitico WEB 2.0, i momenti più interessanti della lettura dei blog(e anche food blog) è quando si creano degli squilibri, dei contrasti, degli attriti all’interno del SISTEMA CULTURALE DOMINANTE.
    I duellanti fanno parte dello stesso sistema, condividono gli stessi interessi ma succede che, ogni tanto…sempre più raramente…abbiano opinioni diverse su determinati argomenti. Si scambiano, allora, qualche palla di mollica compressa …
    ma poi il sistema si ricompone e le varie componenti ritornano a farsi cupola.

    Il lettore attento, comunque, non deve lasciarsi sfuggire questi rari momenti in cui il SISTEMA si decompone:
    perché sono momenti in cui può capire meglio il sistema. (Che lo manipola)

    Entrando nel merito penso che la verità stia nel mezzo.

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