A Cap’alice con Maura Sarno e Luigi Tecce
di Marina Alaimo
Cap’alice ha inaugurato giovedì 28 novembre il suo ciclo di Storie di vini e vigne all’insegna dell’emozione. Particolare scontato quando a raccontarsi sono due personaggi profondi come Maura Sarno, signora del fiano, e Luigi Tecce, il guru dell’aglianico. Arrivano dall’Irpinia in una sera gelida anche a Napoli e, seppur guidati dal navigatore, fanno fatica a ritrovare via Bausan, la stradina che congiunge la Riviera di Chiaia a via dei Mille. La serata è condotta da me che, conoscendo bene i due personaggi, ho facilmente toccato le note giuste per fare in modo che si lasciassero andare con generosità. Maura ha portato con se i Fiano di Avellino 2012, 11 e 10, il percorso di un vino che in pochi anni si è fatto conoscere e ampiamente apprezzare da tutte le guide di settore.
Viene fuori la sua indole caparbia e determinata che, insieme al forte legame per la tenuta a Candida, ha fatto poi esplodere la realtà di Tenuta Sarno 1860. La 2012 ,pur essendo giovanissima per un vino come il fiano capace di divorare i decenni evolvendo straordinariamente, anticipa di già una vendemmia molto interessante. E’ tesa e manifesta comunque un temperamento da gran vino incuriosendo più volte il palato. Con il millesimo 2011 si ha un’ idea più chiara del carattere fortemente identitario del fiano di Candida: i profumi sono intensi sullo scorrere deciso della mineralità sulla quale scivolano i toni floreali di acacia e di finocchietto selvatico. In bocca ha grande energia fatta soprattutto di freschezza vibrante. Ostenta sicurezza l’annata 2010 sia al naso che al palato con toni tostati appena accennati, la frutta gialla e croccante ora emerge con fermezza insieme alle tonalità tipiche di questo fiano fatte di acacia e finocchietto. Il sorso ha materia importante rinfrancata da una acidità che spinge con forza. Arriva il momento di Luigi Tecce che ormai si è ben ambientato e rilassato grazie al clima conviviale e piacevole che caratterizza l’enosteriatipicanapoletana Cap’alice. E’ davvero difficile sdradicarlo dalle sue vigne a Paternopoli, pertanto riceve una accoglienza particolarmente calorosa. Tutta la grande passione per il proprio vino e i vecchi vigneti a strazeto emerge in maniera dirompente dal suo racconto lungo ed appassionato. L’onestà verso se stessi e verso il proprio lavoro sembrano essere gli unici segreti di quest’uomo che riesce da solo a produrre un aglianico di così nobile trama. Chiude il suo racconto esortando gli ospiti ad essere fieri delle antiche origini della vitivinicoltura campana che hanno saputo tracciare nell’arco di una storia lunga e imponente il carattere di vini straordinari ed irripetibili altrove. Definisce il suo Taurasi Poliphemo 2009 un vino tormentato sia per l’annata difficile che per lo stato d’animo personale. In vigna si è fatta una selezione drastica delle uve che ha abbassato notevolmente la resa a causa delle ripetute piogge. Si percepisce qualche indecisione del vino, specie in chi conosce bene la grande capacità seduttiva delle annate precedenti. E’ comunque un Taurasi volitivo, che si esprime con vigore e profondità, senza cercare trucchi o scorciatoie che possano facilitare il lungo percorso che saprà affrontare migliorando con fiducia.
Ai vini in degustazione sono stati abbinati i piatti pensati da Mario Lombardi, straordinario padrone di casa:
– appetizer -crostino di pane di Montevergine con crema di patate al timo limonato e guanciale croccante. – antipasto coppetiello di alici fritte panate agli agrumi e pesce bandiera in semola. – primo risotto con zucca napoletana e baccalà – secondo agnello Laticauda brasato e ortaggi in cianfotta – dessert biscotto di frolla ai pistacchi e con crema al cioccolato fondente, in abbinamento Nocillo 24 della distilleria Nastro d’Oro.