Pomodorino e pomodorino, quello del Piennolo del Vesuvio diventa dop
di Monica Piscitelli
Da quando, alla fine del Seicento, il pomodoro, proveniente dalle Americhe, è entrato in cucina, dopo una fase di osservazione nella quale è stata pianta ornamentale e additato perfino come nociva, non ne è più uscito. Cosa sarebbe della ristorazione nazionale e napoletana senza il pomodoro? E della Dieta Mediterranea? Tra le declinazioni di questo frutto della terra, il Pomodorino vesuviano, per le caratteristiche climatiche e dei terreni su cui cresce, per il tipo di lavorazione cui è sottoposto, ha caratteristiche peculiari. Il lavoro, su questo prodotto, di Casa Barone, l’azienda agricola di Massa di Somma (Napoli) di Giovanni Marino, autrice di un funambolico esercizio di biodiversità che la vede coltivare dalla frutta ai Pomodorini vesuviani, passando per l’uva, è autorevole.
Detta uno standard che in questa fase della storia del prodotto, è proprio ciò di cui c’è bisogno. Da domenica scorsa, infatti, a cinque anni dai suoi primissimi passi nel mondo dei prodotti riconosciuti, il Pomodorino del Piennolo ha ricevuto la Denominazione di Origine Protetta.
“Sarà necessario mettere su un Consorzio di produttori, coinvolgere i piccoli e piccolissimi produttori” ha sottolineato, senza sottacerne le difficoltà, Giovanni Marino, che ieri sera, nel corso di un incontro La Stanza del Gusto di Napoli, ha presentato i suoi vini da Caprettone e Catalanesca. L’azienda produce ogni anno circa 500 quintali di Pomodorino su piccole terrazze condotte senza l’utilizzo di mezzi meccanici, due quinti dei quali è destinato alla produzione del Piennolo. Gli altri diventano conserva. Si stima, mi racconta ancora, che siano un centinaio i produttori, alcuni microscopici, e la gran parte lavora in una fascia grigia o del tutto nera dell’economia agricola regionale.
Se fino ad oggi la storia istituzionale del Pomodorino del Piennolo, è stata scritta da volenterosi produttori, tra i quali Marino e gli altri inseriti nel Comitato promotore della Dop, oltre che da Slow Food, che ha creduto nel prodotto facendone uno dei suoi Presidi, oggi il coinvolgimento di tutti, il raggiungimento di una massa critica che risponda alle esigenze del mercato che sarà, è una condizione imprescindibile per la sua sopravvivenza.
Ma “che cavolo di Pomodorino” è questo?
Il Pomodorino del Piennolo del Vesuvio cresce a una altitudine compresa tra i 150 e i 400 metri sul livello del mare nelle campagne del Parco Nazionale del Vesuvio. Al gusto è piacevolmente dolce e sapido. La conservazione in Piennoli lo rende, poi, leggermente amaro. La sua buccia, abbastanza spessa, la polpa compatta e a basso tenore di acqua, fa si, infatti, che i Pomodorini raccolti, secondo l’antica tradizione dei contadini vesuviani, intorno a uno spago legato a un cerchio, appassiscano leggermente in un ambiente asciutto e ventilato conservandosi, così, freschi, per tutto l’inverno. La loro tenuta nel tempo dipende dalla stagione. “Quella 2009 – mi racconta Marino – ha visto delle piogge insistenti a luglio e agosto, quando si raccoglie”.
Mario Avallone e il rapporto con il Pomodorino del Piennolo. Le variazioni di baccalà con la puttanesca
Sarebbe stato chiamato “monsieur” qualche secolo fa, lo chef della Stanza del Gusto, e ancor oggi è un Monzù, uno che nell’arte di far cucina tradizionale napoletana è Signore. Si contano sulle dita della mano e sono eccentrici. Uno di questi è Mario Avallone. Torno a incontrarlo nel suo locale di Costantinopoli. A chi, mi chiedo, se non a un interprete della cucina napoletana che, ben radicata nella tradizione, guarda con curiosità alla materia prima e si esprime con inesauribile creatività; a colui che custodisce da sempre, come un tesoro inestimabile, nel suo caveau ipogeo, le scatole del Pomodorino del Piennolo di Casa Barone ideate Giovanni Marino con la grafica Mariella Baroni, chiedere quale è la relazione tra un ristoratore e il pomodoro? Mi risponderà guardandomi attraverso i suoi occhialoni anni Settanta in celluloide nera appoggiato al bancone del Cheese Bar inserito ne La Stanza, in mezzo minuto. Con le consuete pennellate di sapore con le quali usa parlare.
Quanti e quali pomodori alla Stanza del Gusto?
Molti. C’è il “prunillo” che viene da Nocera che utilizzo per “O Roie” (uno dei cavalli di battaglia della Stanza: vermicelli e pomodoro a go go); il “corbarino” per i piatti con basilico, come la pasta a mezzogiorno; il “tigrato” di Somma che va con il polpo arrostito; quello “di collina” del Matese che finisce a zuppetta; il “giallo” che prendo a Pomigliano d’Arco che utilizzo per il Rost Fish (piatto di pesce a mo’ di roast beef); “il verde” che uso per “pomodori verdi fritti” e, infine, il Pomodorino del Vesuvio, sia in Piennolo che in conserva, che ho usato per le “Variazioni di baccalà di stasera”: mantecato, affumicato e con la salsa alla Puttanesca.
Cinque qualità del Pomodorino del Piennolo…
E’ fedele, non ti tradisce mai; Saporito; Immediato, di breve cottura; Rilascia poca acqua. Infine è riconoscibile e riconoscente. In cucina è versatile, va perfettamente con la cucina di mare e di terra, e, assoluto, solo con un po’ di pane, è straordinario.
L’appuntamento
Si è parlato anche di questo alla Stanza del Gusto Domenica al Castello Mediceo di Ottaviano si svolge un incontro di studio (ore 12,00) per discutere del futuro del prodotto. Alla presenza del presidente del Parco Ugo Leone, dell’assessore all’Agricoltura Gianfranco Nappi e dei promotori della Dop, si parlerà della costituzione del Consorzio e delle prospettive di sviluppo e valorizzazione del Pomodorino di fronte alla grande opportunità del suo riconoscimento. In mattinata, inoltre, una dimostrazione della tecnica utilizzata per la realizzazione dei Piennoli attraverso una gara tesa a individuare “O Mast’ ro’ Piennolo”. Vince il migliore e più veloce artigiano nel prepararlo.