Pizzalab 7 | La lievitazione, jam session sul Vesuvio di Vuolo e Iervolino
Per la settima tappa del Pizzalab si è volato alto, fin sopra al Vesuvio, realizzando uno storico incontro tra due grandi artigiani espressione della più verace e colta tradizione napoletana della pizza oltre che della più sofisticata ricerca degli ingredienti. In attesa della Guida alle Migliori Pizzerie di Napoli e della Campania in arrivo in libreria (Edizioni de L’ippogrifo) e per festeggiare la App per Iphone e Ipad scritta per questo blog si è pensato a un incontro davvero inedito.
Risultato? Un Pizzalab veramente denso: Guglielmo Vuolo, navigato maestro istruttore dell’Associazione Verace Pizza Napoletana è stato ospite di Gianfranco Iervolino, pizzaiolo di grande passione che alla Pizzeria Lucignolo Bella Vita sta sfoderando tutta il suo estro lavorando le farine Petra 3 e Petra 9 del Molino Quaglia.
Scenario della mattinata è stata Boscotrecase, l’antico “Bosco delle Tre Case Religiose” che nel Medioevo la Regina Sancha D’Angiò creò in pratica riunendo i tre dei maggiori Monasteri Reali della Napoli dell’epoca.
Accolti da Luciano Guida e Nino Prisco, titolari di Lucignolo Bella Pizza, con Luciano Pignataro e me, come sempre, una ristretta rosa di addetti al settore: la sommelier Marina Alaimo, i colleghi Nando Cirella e Tommaso Esposito, il direttore generale dell’Associazione Verace Pizza Napoletana Massimo Di Porzio, la chef Antonella Iandolo, il fiduciario di Slow Food aversano atellano Salvatore Luongo, la cuoca Carmen Mazzola, il panettiere Stefano Pagliuca, il rappresentante di Slow Food Napoli Mario Stingone, oltre alle produttrici Giovanna Ambrosio e Benny Sorrentino che insieme a Miriam Siglioccolo hanno innaffiato con i loro vini gli 8 assaggi. Con noi, infine, graditissimi ospiti, Piero Gabrieli e Chiara Quaglia del Molino Quaglia e Giuseppe Acciaio di Gma Import Specialità.
Seppure con un diversissimo percorso professionale, Vuolo e Iervolino, l’uno erede di una tradizione iniziata con la nonna Assunta più di un secolo fa; e l’altro proveniente da una bella scuola di cucina gourmet, folgorato dalla pizza nel 1998, si sono incontrati sul comune piano dello studio: della lievitazione, delle farine e degli ingredienti.
San Marzano Dop, Pomodorini del Piennolo del Vesuvio, Fior di Latte di Agerola, Mozzarella di Bufala campana Dop, Alici di Cetara, e cosi’ via , si sono alternati sulle pizze che si sono susseguite secondo una scaletta scandita per favorire gli abbinamenti inediti che per il Pizzalab mi diverto a proporre in queste occasioni.
La batteria di pizze di Vuolo, realizzate con il suo impasto tradizionale o con l’utilizzo di Nature Craft; si è intrecciata con quella messa a punto da Iervolino per l’ esaltazione delle caratteristiche delle ricche farine molite a pietra dell’azienda di Vighizzolo d’Este (Padova). Il confronto è stato stimolante e il gran finale affidato alla Pizza Rosa di Guglielmo Vuolo: una doppia pizza con un centro di Pesto alla genovese e Ricotta con quattro ali ripiene.
Con noi tre cantine del Vesuvio. Terre di Sylva Mala, l’azienda di Boscotrecase delle sorelle Siglioccolo, ha accompagnato la prima pizza con il polposo Fauno da Coda di Volpe, o Caprettone come lo chiamano sul Vesuvio, in purezza. Ma c’era anche il profumato Cerasella Lacryma Christi del Vesuvio Rosato Doc da Piedirosso in purezza.
Il Veracrum, il piacevole Lacryma Christi del Vesuvio Bianco Doc di Benny Sorrentino, titolare dell’omonima azienda di Boscotrecase, ha accompagnato la seconda pizza che ha inaugurato la performance di Guglielmo Vuolo, mentre il divertente Modà Piedirosso Igt Pompeiano frizzante si è speso sulle pizza Rosa, anche questa di Vuolo.
Infine il fresco Gelsorosa Lacryma Christi Rosato Doc di Villa Dora, azienda di Terzigno rappresentata per l’occasione da Giovanna Ambrosio ha sposato la pizza “nera” (Petra 9, la farina) Iervolino con Stocco, olive bianche e Pomodorini; mentre il sobrio Vigna del Vulcano Lacryma Christi del Vesuvio Bianco Doc se l’è ben giocata con la Margherita fatta con Petra 3 di Iervolino.
Pizzalab 1: la pizza margherita in sette versioni da Enzo Coccia
Pizzalab 2: La pizza margherita, i latticini e i formaggi da Ciro a Santa Brigida
Pizzalab 3: quale olio per la marinara? da Franco Pepe
Pizzalab 4: il ripieno al forno da Gino Sorbillo
Pizzalab 5: l’orto napoletano da Umberto
Pizzalab 6: la pizza fritta da La Masardona
21 Commenti
I commenti sono chiusi.
Mi piacerebbe ospitarvi in uno dei miei eventi…. bravi!
Molto belli questi eventi ma il risultatto finale e ‘ opinabile secondo me…Le pizze risultano “troppo “tostate ,troppo cotte per essere una pizza Napoletana. Forse quel tipo di farina nn e’ adatta per la Verace Pizza o forse sono state cotte ad una temperatura troppo “bassa” e si sono “asgiugate ” troppo…
NN credo Petra 9 si adatta per questo tipo di pizza ….”asciuga troppo” ..assorbe troppo …la vedo piu’ indicata in per la panificazione secondo il mio modesto parere.
Ad ogni modo complimenti per il “Lab” …e’ bello sperimentare “nuove” cose e ammiro sempre chi lo fa’ e si mette “in gioco” !!
Un saluto a tutti .
Max
Hai ragione max, Petra mette in discussione l’idea di pizza che abbiamo maturato negli ultimi 80-100 anni. Ma l’impasto con la farina macinata a pietra non doveva esere molto lontano da quello usato nell’800
In ogni caso, senza perderci in disussioni filologiche, è vero che serve un condimento più robusto e impegnativo. Per esempio con il san Marzano della marinara finale era ottima. Oppure penso alla Mastronicola di Pepe.
Comqune abbiamo un mondo da esplroare ed è bellissimo.
Caro max, hai colto perfettamente lo spirtio del Pizzalab: sperimentare. Mi chiedo quale sia la farina, il pomodoro e l’olio giusto, come si possa migliorare o variare una ricetta vecchia di oltre 250 anni. Vogliamo stimolare la discussione, offrire occasioni agli artigiani di verificare quel che in molti casi è dato per scontato- Sfatare preconcetti. Posso dire che la Margherita con Petra 3 era strepitosa ma lo era anche la Marinara semplicissima con cui si è finito, fatta senza di essa. Petra 9 per essere tanto ricca di crusche e germe è una farina indimenticabile anche per la pizza. Magari non va bene con tutti i topping e in tutte le occasioni, ma è davvero un’esperienza. Io, e anche questo blog, son felice di dare semplicemente un piccolo contributo alla esplorazione dei grandi ingredienti e poi, se me lo permettete, di valorizzare una categoria che ha sofferto molto e soffre ancora la disattenzione dei media. C’ è stata una esplosione di attenzione nell’ultimo anno, speriamo duri a lungo e che consenta ai pizzaioli di oggi di mettersi in pari con i colleghi della ristorazione, che possano colmare il gap che li ha ho oppressi e che oggi sembra essere meno profondo. Un caro saluto e grazie per l’attenzione. m.p.
l’esperienza e stata davvero entusiasmante, ben organizzata e sopratutto ha messo in risalto grandi differenze di pensiero…..
personalmente credo che le pizze degustate durante la giornata abbiano valorizzato ancora di piu l’importanza della tradizione
ben venga sperimentare nuove tecniche o addirttura nuove farine ma onestamente il risultato si e visto
queste nuove farine usate credo che alterino l’essenza vera ed il sapore originale, ma questo lo percepisce chi davvero sa mangiare la pizza
naturalmente i topping di preparazione eccellente hanno comunque reso tutte le pizze buone ma in realta la mia valutazione e caduta sul cornicione, parte essenzile di una buona pizza….e quello ottenuto dalle farine tradizionali non aveva rivali…..
grazie comuqnue e spero di ospitarvi quanto prima nella mia struttura…..
Si ha ragione Luciano, Petra anche per me mette in discussione totalmente la mia ‘idea pizza. La pizza con la farina Petra ha bisogno di condimenti forti, io ci vedrei il soffritto o anche la genovese; comunque una farina non anonima un grande prodotto pieno di profumi e sapore .
Che bello! Come mi piacerebbe partecipare ad eventi così speciali, buona domenica
M.G.
a livello di ingredienti, davvero possiamo dire di essere all’anno zero.
la farina oggi deve essere la base,biologica o naturale, ricca di tutto il chicco e non addizionata, senza pesticidi, possibilmente nazionale.
l’acqua, dopo vari scandali sull’arsenico e metalli pesanti, è fondamentale che sia pura.
il sale, ce n’è per tutti i gusti, meglio se integrale, ad es. quello grigio,più salutare.
il lievito, oh-my-god, o di birra o criscito, o mix, purché studiato.
l’olio, bella questione, o dop campania o di altissimo livello… oppure di semi (di qualità). ma no alle mezze misure(cioè no ad oli d’oliva scadenti!).
il pomodoro: biologico, sapido, amarognolo…
la mozzarella, uh! si apre un capitolo!
ecc.ecc.
beh olio di semi proprio no!!!!
Cari tutti, non voglio fare la voce fuori dal coro (anche perché sono chiaramente di parte!) ma credo che nessuno si deve sognare di reinventare la pizza napoletana che è uno dei pochi prodotti gastronomici che non è stato contaminato dal tempo trascorso (ci avviamo verso i trecento anni o più) e deve a tutt’oggi la sua forza e il suo fascino proprio a questa circostanza… Gli ultimi vent’anni sono stati passati a codificare e chiudere in un certo senso in una gabbia la pizza napoletana (che ricordo non è solo margherita o marinara, ma anche ripieno, fritto o al forno… è un metodo produttivo che porta a un disco di pasta con determinate caratteristiche: insomma non è una fetta di prosciutto che rende ‘non napoletana’ una pizza) pur di attribuire la paternità della pizza napoletana a Napoli (che paradosso) perché qualcuno si sognava di dire che non era così. Adesso che finalmente si è accertato questo (a costo di un marchio STG debole che non piace a nessuno, ma che esiste) finalmente è iniziata quella che io definisco la ‘terza fase’ della pizza napoletana, che si concretizza in una riscoperta dei prodotti, in un’analisi più attenta degli ingredienti, in una maggiore preparazione tecnica degli stessi pizzaioli e soprattutto in una selezione delle aziende fornitrici di prodotti per pizza napoletana, in primis chiaramente le farine. Io credo che la nostra strada dell’albo fornitori in cui si chiede alle aziende di ‘modificare’ in qualche modo i prodotti secondo le esigenze specifiche della pizza napoletana sia la strada giusta…. Viceversa credo che sia molto pericoloso e scusatemi ‘pretenzioso’ voler modificare le caratteristiche della pizza napoletana per farla aderire ad uno specifico prodotto…. Petra 3 e Petra 9 sono due eccellenti farine, ma non per la pizza napoletana e i presenti al laboratorio possono confermare questa mia asserzione. Bisogna lavorarla in un certo modo, aprirla e cuocerla in un altro… ma perché? Sono pronto a qualsiasi confronto in qualsiasi sede e come me sono sicuro tutti i pizzaioli napoletani che da generazioni seguono quel metodo produttivo! Poi ho una domanda per il signor Gaspare: mi manda un sacco di farina per pizza napoletana fatta con grano prevalentemente italiano? Grazie a tutti e riflettete.
… sono d accordo con te Massimo Porzio la Petra è un ottima Farina ma non per la nostra pizza…
Carissimi,
non mi pare quella di Massimo una voce fuori dal coro. Nel senso che, come si è detto già, il Laboratorio ha voluto confrontare, anzi far incontrare, due impostazioni e due storie diverse come ho detto: quella di Vuolo, la storia, e quella di Iervolino, la passione, entrambe guidate dalla competenza e la ricerca. Petra ci interessava in quella sede perchè l’idea del pizzaiolo dinamico che sta sforzandosi di diffondere, a prescindere da prodotto farina, corrisponde a un’idea condivisibile di come dovrebbe essere una moderna pizzeria che voglia render merito anche alla grande tradizione napoletana che la Campania e Napoli in primis, può vantare. Incentrata sulla ricerca, proiettata verso l’esterno. Nessuno voleva si stabilisse se Petra è o non è la farina per la Pizza napoletana. I tal senso trovo l’intervento, più che fuori, a sorpresa. Infatti non tocca a noi, non era il caso in quella sede, nè su queste pagine. Questo mi sembra pacifico. Lo dimostra il fatto che è stato chiesto a Guglielmo di presentare il suo lavoro, i suoi cavalli di battaglia e devo dire che da pizzaiolo illuminato ha dimostrato, come è giusto che sia, curiosità nei confronti del lavoro che da mesi Gianfranco sta facendo con Petra. D’altro canto Gianfranco, era curioso di conoscere l’impostazione di un grande maestro come Vuolo. La loro voglia di scambiarsi idee e riflessioni era quello che volevamo alimentare. E ‘ solo questo, contro ogni pregiudizio, l’obiettivo del Pizzalab.
L’oggetto, venendo al tema della mattinata, era la lievitazione, come si sviluppa con farine diverse. O con prodotti diversi, tra cui Nature Graft, infatti. Petra era una parte e la presenza dei Quaglia, graditissima e inaspettata, sulla stessa linea: capire, verificare, confrontarsi.
Venendo poi alla questione di questa o quella superiorità…la Marinara di Vuolo fatta con l’intramontabile impasto di sempre è stata strepitosa, per dire; ma io, e credo non solo io, ho trovato altrettanto strepitosa la Margherita con Petra 3. In quest’ultima si stenta a rinvenire quel carattere integrale che diventa estremo in Petra 9. E per questo più vicina al nostro gusto e al nostro immaginario. E’ qui il punto: gli ingredienti della pizza non sono più quelli di una volta. Se eran buoni in passato, era solo per avventura, lo erano naturalmente . Oggi, invece, che pochissimi lo sono, bisogna cercarli. Io credo che è dovere dei più grandi artigiani al Mondo non rifiutare le novità, ma sviscerarle e dominarle con l’esperienza e la tecnica sedimentata nei secoli. Chi se non un pizzaiolo napoletano è in grado di valorizzare una grande farina, come dici tu? Come un grande pomodoro. Perchè lasciare che le posizioni più avanzate della valorizzazione della pizza come arte siano occupate da altri? E’ dovere di Napoli essere tra i protagonisti della ricerca, prestare la propria abilità per cavalcare un momento felicissimo per il Mondo della pizza, esplorando tutte le sue potenzialità. Perchè la pizza è un piatto antico che ha la possibilità di essere frontiera della più raffinata sperimentazione. Perchè solo da un solido porto si può salpare per andare oltre le colonne d’Ercole del gusto. Adottare una farina piuttosto che un’altra è poi un’altra cosa. E’ una scelta personale. Spero di essermi spiegata come desideravo.
Io aggiungo che la cultura napoletana ha sempre avuto una caratteristica che ha fatto grande questa città in passato: l’apertura mentale e la curiosità. Per questo sono diventati nmapoletani prodotti che non lo sono affatto, a cominciare dalle icone: il caffè, il pomodoro, la pasta.
Difendere la tradizione è un buon sentimento, soprattutto se si alzano le barricate verso prodotti industriali e chimici.
Cercare di capire come un prodotto nuovo, siano le farine, le torzelle o il conciato romano, possano incontrare la manualità di migliaia di pizzaioli al lavoro da duecento anni, non è solo curiosità, è un preciso dovere se si vuole conservare il primato.
Il mondo va avanti, le esigenze del consumo consapevole guardano alla qualità dei prodotti e alla salubrità oltre che al gusto: sarebe ben strano se altri territori privi di tradizione diventassero il punto di riferimento per questi temi, come è successo per tante altre cose, a cominciare dall’olio e dal vino.
La margherita di Iervolino era buonissima. Non è tradizionale secondo la norma? Ecco, allora apriamo il dibattito.
grazie mille dottor Pignataro,io penso che si sta facendo una grande confusione,le persone che non erano presenti in questo laboratorio non riescono a capire quello che abbiamo detto ,nessuno ha detto che con queste farine faccio o facciamo la vera pizza verace napoletana,ma semplicemente di andare alla ricerca di questi grandi prodotti genuini,come l’olio il pomodoro una grande mozzarella,qui si parla solo della farina ma la pizza non è fatta solo con la farina occorrono ancora tre o quattro elementi per formare la pizza,altrimenti facciamo la schiacciatina o la turca o la focaccina se parliamo solo della farina,cari amici io non mi permetterò mai di offendere nessuna farina perche con la farina si ottiene anche il pane ,e il pane è un simbolo religioso molto importante ,ho detto pure che io personalmente non voglio fare le cose che fanno gli altri,sto semplicemente facendo una pizza con dei prodotti di altissima qualità……..vi auguro a tutti voi una serena Pasqua,anche a lei dottor Pignataro un serena pasqua distinti saluti Gianfranco Iervolino………
Grazie a te Gianfranco
la situazione è proprio questa: sperimentare il meglio senza preclusioni. Questo era lo scopo della giornata. Nessuno si è sognato di fare altro nè è stato detto altro.
Questo credo sia anche il compito dell’Associazione
Continua così e presto avrai visitatori da tutta la regione e dall’Italia perché sei troppo bravo, nella testa e nelle mani
un grazie di cuore Dottore………
Io sono in totale accordo con Massimo Di Porzio, segunedo questo concetto allora, perchè non farla con la farina di mais? o con quella di miglio? Sicuramente verrebbe fuori qualcosa di gustoso ma, è pizza napoletana quella? Io avrei qualche serio dubbio. Ma avete mai provato una pizza americana? Non quelle pur buone ed aderenti alla tradiizione della vera pizza che si possono trovare nelle grandi città degli USA, mi riferisco invece a città minori nell’America forse più genuina. In queste pizze c’è di tutto, perfino le polpette. Sono senz’altro “commestibili” qualcuno le trova addirittura buone ma la “pizza” dov’è? Credo che la pizza fatta con farine pur di grandissima qualità, ma non adatte, nel senso che ne influenza troppo il gusto stia alla vera pizza napoletana (Coccia, Sorbillo, e tanti altri) così come la pastiera liquida nel bicchiere che qualche rinomato chef ci propone sta alla vera intramontabile pastiera da masticare, non da bere.
Gentile Nicola, seguo il discorso suo e anche quello di Massimo Di Porzio. Il fatto però cosa c’entri in questa sede stabilire se questa è pizza napoletana o meno. Nessuno era al Pizzalab per stabilire questo. E mi spiace che un pizzaiolo che sta facendo un lavoro serio con dedizione dicendo semplicemente “questa è la mia pizza” debba sentirsi dire con tanta veemenza “la tua non è pizza napoletana”. Nel merito, onestamente, la pizza con Petra 3, difficilmente si distingue da quella “normale”. Se non per essere più profumata. Se questa pizza non è napoletana, secondo i parametri della più importante Associazione di categoria, non possiamo che alzare le mani. Ma, aprescidnere da requisiti tecnici, era davvero buona, come hanno risocntrato altri “degustatori accaniti” di pizza. Ripeto quanto detto su: non chiudiamoci alla sperimentazione. Napoli è la tradizione e deve essere lei a guidare le tendenze. Non dobbiamo dare l’idea che i pizzaioli napoletani siano buoni solo a parlare al passato. Un grande artigiano può interpretare Petra e qualunque altro ingrediente al meglio. Sono certa che sarebbe stata una grande pizza quella di Vuolo con Petra. E nessuno avrebbe potuto dire che lui era meno verace o meno lo storico artigiano di sempre. m.p.
E se fosse solo un problema di sponsor ??? Il molino Caputo sponsorizza decine di manifestazione dell’associazione del dott. Di Porzio ….giù le mani dalla pizza napoletana la farina deve essere solo caputo !
Caputo fa bene a sponsorizzare, nessuno vieta agli altri di farlo. E non credo proprio che il mondo della pizza possa essere condizionato da questo perché altrimenti sarebbe destinato a finire.
Il piazzajuolo deve essere autonomo nelle scelte, seguire un disciplinare se ritiene di voler fare la pizza tradizionale o altrimenti creare un proprio stile.
Gentile signor Antonio, Lei si prende la responsabilità delle cose assurde che dice: basta vedere il sito della nostra associazione (www.pizzanapoletana.org) per rendersi conto che ci sono degli standard della farina e non solo dei nomi, che Lei fa, non io. Quello citato da Lei è un imprenditore ed industriale, come lo sono tutti i produttori di farine, 00, 1, 2, integrali etc., ne cito solo alcuni: Agugiaro, Tandoi, Pasini, Piantoni, Polselli, Marino, Quaglia… Ma Lei lo sa che il molino Quaglia produce anche e soprattutto farine 00? Per cortesia si documenti e soprattutto conosca le persone prima di parlarne la prossima volta. Ha perso una buona occasione per stare zitto. Saluti