Pizza o pane e pomodoro, oltre a insegnare la pizza napoletana è necessario educare anche il gusto per reggere il successo
Quella che vedete è la vera pizza napoletana tradizionale: sottile, a ruota di carro, ossia più grande del piatto su cui è poggiata, con gli elementi perfettamente fusi. Dobbiamo dirlo: anche le pizze contemporanee, quelle a canotto, hanno la stessa caratteristica di scioglievolezza
Sono pizze che quasi si bevono, non si mangiano.
Il primo giudizio di chi non è napoletano, ove non napoletano si intende tout court chi non è cresciuto con questo gusto, è questa: non è ben cotta. Una osservazione che sento a Milano come a Salerno, a Roma come ad Avellino. Chi fa questa osservazione ha però in mente il pane, non la pizza. Come un russo direbbe la stessa cosa di uno spaghetto al dente la prima volta.
Dopo la straordinaria cavalcata degli ultimi dieci anni che ha sconvolto il mondo della pizza forse conviene fermarsi per fare un poco: la contraddizione che stiamo vivendo in quest’ultimo periodo infatti è che mentre la pizza napoletana si sta affermando in Italia e nel mondo, si registra quasi la rivincita dei panettieri, ossia delle tecniche usate per fare il pane, applicate alla pizza.
Uno dei motivi di questo strano fenomeno è che improvvisamente le pizzerie si sono aperte ovunque, a cominciare dagli altri capoluoghi di provincia della Campania che, tranne in parte Caserta, non possono vantare una vera e propria tradizione. Basta pensare che la pizza a pranzo non esisteva nella vicina Salerno e che fu introdotta dal Trianon e che ancora oggi la maggior parte delle pizzerie fuori Napoli sono aperte la sera. In dieci anni è cambiato lo scenario.
Dunque possiamo descrivere questo fenomeno.
La pizza ha viaggiato negli ultimi dieci anni in maniera molto più veloce del gusto della pizza! O almeno della vera pizza napoletana.
Ecco spiegato allora perché, soprattutto in provincia oltre che nel resto dell’Italia, si è in qualche modo dato più spazio alle tecniche di panificazione più che alla pizza napoletana vera e propria.
Il gusto napoletano è molto facile da definire: la pizza deve essere sottile e scioglievole, dopo la cottura violenta pomodoro, latticino, olio e impasto si devono fondere in qualcosa di nuovo, ovvero, appunto, il profumo della pizza, che è diverso da quello del pane.
Le pizze di provincia da sempre hanno avuto invece più il sapore del pane, il motivo è che erano, e sono in parte, cotte nel forno non adatto a raggiungere la temperatura della pizza napoletana e dunque i tempi si allungano con la conseguenza della perdita di elasticità.
Abbiamo già avuto modo di parlarne a proposito di profumo della pizza e profumo del pane.
La contromossa in questo caso è il raggiungimento dell’effetto crunch che contribuisce a dare una sensazione di maggiore leggerezza, oltre che di divertimento, nella masticazione.
Intendiamoci, non diciamo che si tratta di pizze cattive, semplicemente che non sono pizze napoletane ma pizze con la forma della pizza napoletana. Ed è questo segmento che in realtà è migliorato perché prima le pizze con la forma della pizza napoletana cotte nei forni sbagliati facevano semplicemente schifo.
Quindi, a ben pensarci, la rivoluzione degli impasti ha riguardato non la pizza napoletana, ma le pizza con la forma di pizza napoletana.
Questione di lana caprina? Fino ad un certo punto, almeno sino a quanto qualcuno non pretende di insegnare ai napoletani come si fa la loro pizza partendo da proprie campagne commerciali promozionali.
I gusti cambiano, ovviamente, e sono personali, l’importante è che il disco di pasta sia digeribile e che le materie prime siano di alta qualità. Detto questo, bisogna sapere che una cosa è la pizza napoletana, altro è il pane con il pomodoro.
I guai cominciano quando quelli che hanno scelto di fare pane e pomodoro iniziano a fare i corsi di…pizza napoletana!
5 Commenti
I commenti sono chiusi.
Di gran lunga uno degli articoli più stupidi che abbia mai letto su questa testata.
La profondità di questa sua argomentazione mi ha asfaltato e lasciato senza possibilità di replica.
Quanta verità…
Come diceva il grande Eduardo
“La posso dire una parola? Chest nunn’è rragù, ma è carne ca’a pummarola…”
Finalmente!,dopo la mozzarella,il caffè,il pomodoro……da tempo tutti i capisaldi della gastronomia napoletana vengono puntualmente attaccati per pura speculazione commerciale,grazie anche all’acquiescenza di molti nostri concittadini sempre pronti a criticare le nostre eccellenze stratificate nella nostra cultura. In un altro sito viene demolita sistematicamente un’altra nostra bandiera:la sfogliatella. Cui prodest?
A differenza del sign De falco, a me queste considerazioni sono piaciute, poichè spiegano in modo chiaro quale è la VERA pizza napoletana. Soprattutto la frase “dopo la cottura violenta pomodoro, latticino, olio e impasto si devono fondere in qualcosa di nuovo” chiarisce la differenza tra la vera pizza che è un tutt’uno degli ingredienti sopra con l’impasto, da quelle “moderne” in cui l’impasto è solo il piatto su cui poggia l’impossibile. Poichè se metto bocconcini di carne su una pizza o una burrata intera è fisiologico che cadano da tutte le parti se provo a mangiarla tagliandola a 4 spicchi. E queste seppur possa paicere a molti, NON è la pizza napoletana.