Pipero Roma. I piatti di Ciro Scamardella che fanno dimenticare la carbonara
Pipero a Roma
Corso Vittorio Emanuele II 246-248
sempre aperto, chiuso la domenica
Tel. 06 6813 9022
Aggiornamento al volo. Siamo tornati da Pipero per una colazione leggera, classica e abbiamo provato il risotto burro e alici. Imperdibile!
Per il resto non possiamo che confermare quanto scritto sotto. La sala gira magnificamente, Ciro Scamardella appare sempre più a suo agio. Insomma, sicuramente uno dei luoghi da segnare con il cerchietto quando state a Roma e avete voglia di stare bene con una cucina capace di estrarre sapore dalla materia prima.
Ale!
Report del 31 gennario 2020
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Personalmente eravamo stati da Pipero pochi giorni dopo l’ingresso in cucina di Ciro Scamardella e si vedeva chiaramente che era stata una eiaculazione precoce da critico in competizione (di quelli che annunciano il ristorante prima dell’apertura o vanno all’inagurazione): come per il vino, serve il tempo per trovare equilibrio nella cucina, tra sala e cucina, tra presente e passato.
In primavera, come potete leggere sotto, c’era stato il nostro Ugo Marchionne e al telefono mi aveva fatto un report entusiasta.
Ero dunque curioso di tornarci e ho approfittato di una cena organizzata dopo la presentazione del libro sulla Pizzeria da Michele al Flaminio per tornare nella sala dove regna Re Pipero: diverse sensibilità a tavola sono il parametro migliore su come inquadrare la recensione.
Bene. Vi dico che il consenso è stato unanime, dal gourmet che ha visitato più ristoranti a chi usa il ristorante solo per sfamarsi, oltre a me stesso.
L’equilibrio è stato perfettamente trovato e la cucina di questo locale si posiziona su un neoclassico aggiornato nelle tecniche (il cuoco oltre che da Roy Caceres è stato, tra gli altri, da Martin Berasategui) ma assolutamente concentrato sulla estrazione del sapore della materia prima per soddisfare il cliente più che ad esibirsi.
Non so quante ne venda attualmente, ma adesso Pipero può tranquillamente fare a meno della Carbonara, comunque di altissimo livello.
Oltre agli sfizi iniziali sicuramente centrati, tre piatti su tutti: l’impepata di cozze dove solo chi è nato nei Campi Flegrei come Ciro Scamardella può realmente fare, visto che lì questo frutto di mare lo danno nel biberon ai neonati, i funghi con il foie gras (viva il foie gras) che esalta la materia in maniera incredibile, e la scapesce di Rombo (Pipero ama giocare sui nomi per alleggerire il clima in sala e far sentire il cliente a proprio agio) con salsa allo Champagne.
Piatti da dieci cum laude intendo, di quella categoria che mi fa salivare mentre ne sto scrivendo di buon mattino.
Pipero è la versione 2.0 del Bolognese, aggiornato nella cucina e nella comunicazione: si tratta di un posto ecumenico che coinvolge sia il gourmet che il cliente che poi gli dà realmente da vivere, perchè riempie il locale nonostante i prezzi medio-alti (non dei vini però, che hanno ricarico da enoteca): sui 100-120 euro tra una cosa e l’altra vanno via. Però per Roma e per il luogo dove sta non sono poi impossibili.
Sala perfetta, con il figlio di Paolo Marchi a sgobbare tra un tavolo e l’altro; e il pensiero è andato ad altri figli fatti generali senza aver combattuto mezza guerra. Buona carta dei vini, come ho detto, di buoni ricarichi ma da allargare e approfondire.
Pipero agogna la seconda stella che gli auguro ma di cui davvero non ha bisogno, anzi, credo che gli complicherebbe la vita perchè l’equilibrio che ha trovato con Scamardella è simile a quello dei precedenti chef e poi perché ho il sospetto che sino a quando non ci sarà cambio al vertice della Michelin i ristoranti gourmet di albergo avranno sempre una possibilità in più.
Però è un ristorante che consiglio a Roma, anche perché quando ho chiesto ai miei commensali di cui ero ospite quanto avevano pagato questi piatti indimenticabili (a parte il raviolo troppo dolce per i miei gusti) ho pensato: cavolo, da tornarci subito!
Report del 4 maggio 2019
di Ugo Marchionne
Ciro Scamardella da Pipero. La cucina di Ciro Scamardella da Pipero è si moderna, si concettuale, ma porta con sé un bagaglio inesauribile di tradizioni, frutto delle esperienze che un ragazzo di Bacoli può raccogliere sin da piccolo tra i fornelli di casae in riva al mare. Ciro è un Family Man di quelli veri, di quelli seri, di quelli per cui il lavoro, la gioventù, la pressione del lavoro, lo sperimentalismo è ancora un valore da coltivare e non un vezzo. Un ragazzo che ha tanto da dimostrare, un percorso sì in salita, al quale però si è avvicinato con il giusto piglio, carico di motivazione nel palcoscenico romano che conosce davvero bene dopo gli anni da Roy Caceres.
Sala minimale curata molto bene dal patron Alessandro Pipero. Una vera esperienza quella da vivere da Pipero. Sostenere che Ciro Scamardella sia bravo e convinca per tecnica, carattere e personalità, è scontato. Dichiarare apertamente che la sua cucina sia in costante crescita, oggetto di un teso divenire dinamico, è fuor di dubbio. Parlare del bel servizio e della cantina profonda e strutturata di Alessandro Pipero e Achille Sardiello è già stato fatto.
Il viaggio gastronomico di Ciro Scamardella da Pipero è un interazione continua di tradizione, giocosità, cultura e materia prima che intrattiene il commensale e lo diverte, coinvolgendolo in gusti e sapori familiari e sempre nuovi, stimolandolo nella complessità profonda e sensibile della carta.
L’ingresso è un benvenuto vario in cui i piccoli morsi di tradizione reinterpretati esteticamente, offrono un bel contrappunto al bere, magari una sfiziosa bollicina. La batteria degli antipasti è veramente divertente, giovane e colorata.
Dalla scarola imbottita che strizza gli occhi alla mamma e a Massimo Bottura celando da cruda al suo interno il condimento si nserisce nella scarola imbottita, passando per la Capasanta caprese, fino al crudo di Gambero Rosso con melone, Vov e bottarga di coppiette: gli antipasti sono caratterizzati da un vivace saliscendi di texture, consistenze ed armonie. I primi sono di grande qualità e di cottura alla moda di Napoli, la Carbonara è un vero e proprio trademark di cui Luciano Pignataro ha descritto puntualmente l’importanza del suo reinserimento a menù di Pipero. Le altre paste di Ciro sono molto personali, i bottoni con genovese di polpo sono profondissimi ed intensi, così come delicata è la sua pasta al burro e camomilla, arricchita da un jus di verdure. Altresì centrata èla bavetta in bianco con Baccalà, terrina di Pere e Musso e bottarga di coppiette, in cui le componenti saline si bilanciano inaspettatamente rendendo il boccone veramente avvolgente e rotondo.
La squadra di Pipero si produce anche in ottimi secondi. La triglia di ispirazione de ars coquinaria ed il succosissimo piccione in due servizi.
Il paradigma Ciro a mammà, il titolo della sua trasmissione sul Gambero Rosso Channel, se parafrasato può trasmettere un puntuale rendiconto dei suoi piatti. Le basi, la tradizione familiare, la famiglia, il porto sicuro, Bacoli, Napoli, la Campania tradotta nei canoni delle metamorfosi tecniche e della ricerca che muove un ragazzo come Ciro, alla scoperta di luoghi, materie rime e persone. Una cucina umanista che in quanto umanista rimane ancorata alla concretezza, la concretezza della Carbonara, delle paste secche, del pomodoro, della mozzarella, della romanità classicheggiante e della napoletanità spregiudicata. Uno Showtime culinario da non perdere.
Pipero a Roma
Corso Vittorio Emanuele II 246-248
sempre aperto, chiuso la domenica