Piedirosso vesuviano, il territorio in un bicchiere
Report della degustazione tenuta a Battipaglia
di Ugo Baldassarre
Marina Alaimo e Ugo Baldassarre
Paese che vai, Piedirosso che trovi. Anche alla Fabbrica dei Sapori, in occasione della degustazione in orizzontale di cinque vini da piedirosso del territorio vesuviano, il teorema è confermato. Al punto che, anche nel caso di questo vitigno, si può, anzi si deve parlare al plurale, “dei” piedirosso. Troppa la differenza con gli altri omonimi piedirosso di Ischia, dei Campi Flegrei e, soprattutto, con l’autoctono sannita. Se infatti in termini di pedoclima e di risultati organolettici il trait d’union con l’areale flegreo – pitecusano, che trae origine dalla comune falda vulcanica sottomarina, c’è e si vede, pochissime invece sono le parentele tra i vini vesuviani e i succosi e più complessi vini da piedirosso beneventano.
Dalle pendici del Gigante Buono, quel vulcano incombente e neppur minaccioso – quello che nel parlato comune, quasi sottovoce viene detto semplicemente “isso” – da questo terreno meravigliosamente ricco di limo, fosforo e potassio, il piedirosso trae splendide e inimitabili espressioni di acidità e mineralità. Ciò che la “palombina” qui non riesce a suggere dal suolo sabbioso-argilloso e dai sedimenti piroclastici, sono forza e struttura, potenza e longevità. Intendiamoci, non si racconti che questo piedirosso non ha carattere, giacché ne ha da vendere, ma la vera scommessa, da parte degli scalpitanti produttori finalmente riunitisi a corte, sarà quella di confezionare dei vini, magari dei lacryma christi da piedirosso in purezza, di lunga gittata, armonici e equilibrati.
Detto ciò di questo autoctono, per nulla semplice e ordinato ai comandi, passiamo alla degustazione di giovedì 27 che ho tenuto con la sommelier Marina Alaimo, destinata a cinque esemplari di giovane piedirosso annata 2007 che, cioè, non presentano amletici interrogativi sulle capacità di invecchiamento. Se lo scopo di questa orizzontale di piedirosso, oltre a fotografare il territorio, è quello di metterne in luce le caratteristiche di fragranza, pronta beva, snellezza e, soprattutto, di grandissima versatilità nell’abbinamento, l’esperimento può dirsi perfettamente riuscito. Dalla degustazione, infatti, i vini in esame hanno dato prova di grande freschezza, schiettezza ed equilibrio, tutte doti che li rendono facilmente contrapponibili alla cucina classica locale, come primi piatti con sughi freschi a base di pomodorini del piennolo, sartù di riso, zuppe di verdure e, soprattutto, alla famosa “menesta mmaretata”, quel gran capolavoro della cucina napoletana che storicamente proprio sul vulcano trova la sua massima espressione, perchè qui può contare anche sul valore aggiunto della “noglia”, la salsiccia di carni povere del Vesuvio. Questi vini peraltro – oltre al Gragnano, of course – sono tra i pochi rossi che riesco a pensare anche sul pesce, magari sul “mussillo” al pomodoro di Somma Vesuviana. Solo un paio infine, tra i cinque esemplari, grazie a un maggior equilibrio fra struttura e carica tannica, possono spingersi al sodalizio con le carni più complesse o accompagnare un tenero dolce capretto anastasiano.
E allora, visti gli obiettivi da raggiungere…missione compiuta, Luciano!r
La degustazione
Cantine Podere del Tirone Vesuvio doc 2007
Naso sorprendentemente ricco, equamente ripartito tra giovani e un po’ aspre bacche di ciliegio, susine mature e qualche nota speziata e minerale di zenzero e pietra focaia. L’aspetto minerale torna alla bocca, dove tutto è molto composto: questo vino entra piacevolmente docile per rivelare ben presto buone doti di equilibrio e dinamicità, possiede bella freschezza ma anche una discreta morbidezza. Lo completa un finale piacevolmente caldo e lungo in cui tornano gustose note di ciliegia e marasca.
Terre di Sylva Mala Pompeiano igt 2007
Dopo i risultati altalenanti delle recenti stagioni di questa giovane azienda sembra che la stagione 2007 possa finalmente rappresentare un punto fermo. Entrambe i vini della casa, la Coda di Volpe ed il Piedirosso, possono essere inclusi tra le migliori fedeli espressioni del territorio. Questo piedirosso si presenta con intense vivide note color rubino e, al naso, con la classica nota fumé, tipica del piedirosso (per altri vitigni potresti pensare a un off-flavour) accompagnata da profumi fruttati e floreali, con riconoscimenti di ribes, lamponi, erbe e fiori di sottobosco. All’assaggio ciò che colpisce è la grande mineralità di questo vino che, assieme all’acidità e ad un bel finale caldo ed elegante, ne fanno un prodotto dalle grandi capacità di abbinamento.
Vigna Pironti Lacryma Christi doc 2007
Anche qui ci troviamo di fronte ad un vino dalla grande franchezza, con un impatto olfattivo significativo, in cui è possibile cogliere riconoscimenti di frutti come lamponi e melograni, ma in cui è ancor più netta che negli altri vini la nota minerale di roccia vulcanica e carbon fossile. Alla bocca è appena appena magro, ma con grande spalla acida che sostiene alto il gusto, nel complesso morbido, e ne facilita la beva. La sensazione pseudocalorica al fin di bocca è davvero sorprendente: quest’ultimo recupero della componente morbida ne aiuta l’abbinamento con la cucina vesuviana a base di pomodorino del piennolo.
I Nobili del Vesuvio Lacryma Christi doc 2007
Colore rubino profondo con ampia unghia violacea. Il sospetto di un vino particolarmente immaturo trova conferma anche nell’olfatto, dove oltre ad un netto vinoso si colgono note di giovani frutti di bosco, sorbe e mirtilli, con lieve sentore di acidità volatile. Alla bocca qualche slegatura evidente, la trama e la tensione si rivelano insufficienti a reggere il notevole corredo acido-minerale. Finale corretto, con discreto calore e ritorni di frutta.
Michele Romano Lacryma Christi doc 2007
Dal colore rubino carico ed omogeneo, questo Lacryma da piedirosso in purezza colpisce già dal primo impatto per il suo ampio bouquet, in cui è possibile cogliere sentori di frutta matura, prugna e mora, piccole viole del pensiero e, infine, inusuali note speziate e balsamiche. Se non sapessimo che non è vero, potremmo anche pensare ad un effetto boisé da legno…Anche alla bocca è più completo e complesso, con una trama fitta e succosa e con tannini sottili ma di bella evidenza che completano e ricompongono in un equilibrio armonioso il ricco quadro degli elementi sapidi e acidi. Finale lungo, caldo e piacevole. Decisamente ampia la scelta degli abbinamenti per questo eccellente lacryma.