Piedirosso e Falanghina, Emozioni Flegree
di Gennaro Miele
La parola territorio ha il senso di qualcosa di delimitato, di immagini d’alture e acque, è un confine a ciò che osserviamo, diventare parte di un territorio è poter raccontare dell’inclinazione di quei rilievi fino alle loro verticalità in mare, conoscere le ombre che si ritirano svelando gli scavi archeologici nei silenzi al mattino, del lento e invisibile crescere delle viti tra i filari fino alla magia dei grappoli di Falanghina e Piedirosso che maturano sospesi su suoli ricchi di storia e minerali.
Tutto questo sono i Campi Flegrei, tutto ciò lo si avverte nel discorrere con Gerardo Vernazzaro, presidente del Consorzio di Tutela Vini Campi Flegrei, Ischia e Capri, mentre percorro con lui la salita verso il cratere di Astroni, allontanandoci dal quotidiano formicolio urbano.
La produzione vinicola flegrea rivendicante la DOC, mi dice, si sviluppa su una superfice di poco superiore ai 100 ettari, numeri che spesso sono quelli di un unico corpo vitato in grandi realtà aziendali, ma che qui sono ripartiti in vigne che hanno un’estensione media di 3000 metri quadrati, meno dell’antica unità di misura di un moggio, e che raccontano come pagine storie di generazioni che si sono avvicendate custodendo la pratica della coltura della vite, di uve locali come marsigliese, olivella ed altre accanto alle celebrate falanghina e piedirosso.
Nell’attraversare i filari Gerardo controlla le foglie delle piante come un fotografo fa coi suoi negativi, osservandole in controluce e leggendone l’evoluzione, ‘’qui la coltivazione della vigna ha il senso dell’artigianato’’ mi racconta, le caratteristiche del territorio ne impediscono la meccanizzazione e da ciò deriva la necessità di una presenza in vigna che va dalle 400 fino alle 1000 ore all’anno per ettaro, contro le 200 ore in media di una pratica meccanizzata, tutto ciò delinea un fattore di costo del vino che va al di là delle somme a fine vendemmia, ciò che si spende qui è la vita.
La DOC si traduce in una produzione di circa un milione di bottiglie, un coro di voci che sa di mare e di fuoco come i figli di questa terra, i Campi Flegrei, ma che commercialmente sono una goccia nel mondo del vino ma una di quelle gocce che con la consapevolezza del proprio peso specifico in termini qualitativi è di notevole interesse alla stregua di una goccia che cade su di una superfice piatta, con onde concentriche che può svilupparsi nel senso comune del vino puntando sull’altissima qualità, un lavoro di cultura locale che parte dai ristoratori della zona sensibilizzando i propri clienti al buon bere flegreo con una carta dei vini in cui la presenza del territorio ha un certo peso.
Per il consorzio il progetto da creare è quello di un marketing territoriale che non mira a vendere vino in una ristretta visione di mercato ma vendere il territorio, amplificando attraverso il calice la sinergia di fattori come archeologia, zona vulcanica, tradizione e radici, quest’ultime intese non solo come l’intimo sentire un luogo casa propria ma radici come quella della vite.
Radici è infatti una delle parole chiave del progetto di Gerardo sia nel senso antropologico che in quello botanico, qui la caratteristica della vite è di essere a piede franco ovvero di non dover subire l’innesto su radice americana grazie alle caratteristiche del suolo vulcanico che hanno ostacolato il diffondersi della fillossera, siamo gli stessi da duemila anni sembrano sussurrare le viti, narrandoci di quel sentire flegreo che avverte chiunque posi lo sguardo sul Castello di Baia, gli scavi di Cuma o sulle semplici onde a riva alla fine del giorno.
Calpestare questa terra significa calpestare millenni di storia naturale in cui la fenomenologia vulcanica ha caratterizzato l’aspetto visibile del territorio creando la possibilità di meravigliarci ma anche fornendo caratteristiche al terreno capaci di donare ai vini che ne derivano delle unicità, un calice di vino che sorso dopo sorso evoca le mutevoli sfumature dai toni verdi dei crateri addormentati, alle tinte ocra della solfatara fino all’azzurro del mare e da lì arrivare al mondo col suo senso di sorso leggiadro, sapido, minerale e lungo.
Tu chiamale se vuoi Emozioni…Flegree
2 Commenti
I commenti sono chiusi.
Per produrre vino nutrendosi della storia di un territorio bisogne essere dei veri entusiasti, e Gerardo lo è!
Nessuno meglio di lui alla guida di un gruppo di vignaioli che definire “eroici” non è piaggeria, ma solo constatazione delle condizioni spesso difficili, a volte surreali, in cui seguono, con ammirevole dedizione, le loro viti, una ad una.
E, per fortuna, i vini dei Campi Flegrei stanno cominciando a farsi valere anche oltre gli angusti confini regionali.
Volevo ringraziare pubblicamente la grande Emanuela Russo che ieri a Vitigno ci ha deliziate con una straordinaria degustazione di Pedirosso , facendoci notare la sottile differenza tra i vari terreni dei Campi Flegrei
GRAZIE !!!!