Petter Nilsson e La Gazzetta a Parigi: alta cucina ai tempi della crisi e la centralità vegetale
Avevo voglia di tornare da Petter Nilsson per una verifica, e come nella mia prima visita alla Gazzetta a Parigi , mi sono trovato di fronte ad una miniera di riflessioni.
In primo luogo, meglio precisarlo subito, è un posto dove si sta molto bene e si spende poco, max 40 euro a testa, l’atmosfera ha una radice francese ma aperta, fusion, senza chiusure. Ed era la prima cosa che cercavo ieri sera.
La seconda cosa che mi ha colpito è l’essenzialità del locale ancora di più accentuata. Via il segnaposto, mangi con le stesse posate benvenuto e antipasto poggiate sul tavolo, roba che da noi arriverebbero asl, mas e vigili del fuoco. Il cambio è alla portata principale e con il dessert o i dolci. I bicchieri simili a quelli Iso da degustazione.
Il menu è organizzato con il benvenuto, fresca crema di patate bianche con yogurt e le bucce croccanti in un piacevole gioco di consistenza, dolcezza e acidità, una rentrée con doppia scelta, un piatto con tre scelte, formaggi o dessert in tre portate (dolci non zuccherini, freschi, moderni, che non appesantiscono). Sono 39 euro, 45 se scegli a formaggi e dessert insieme.
Infine puoi scegliere un menu a 65 euro di sei portate, ma uguale per tutto il tavolo e non dopo le dieci di sera.
Un percorso preciso, insomma, che noi italiani siamo disposti mentalmente ad accettare solo all’Autogrill e che in questo caso presuppone una cultura gastronomica molto più evoluta della nostra: mangi piatti di altissimo livello, ma se vuoi pagarli poco devi accettare queste condizioni che riescono a dare un minimo di margine oltre il food cost.
Credo che una delle difficoltà italiane sia anche la scarsa elasticità con cui ci stiamo adattando alle novità della crisi economica: noi siamo più per il passato plasticizzato o restare a casa.
L’altro campo di cucina riguarda lo stile della cucina. Freschezza e gioco di consistenze e temperature sono in ogni piatto, pensato sino in fondo e mai improvvisato.
Non è una cucina vegetariana, ma è qualcosa di più, molto di più: è una cucina che afferma la centralità dell’orto anche quando nel piatto ci sono carne e pesce.
Per questo, a meno che non siate vegetariani per scelta ideologica, trovo che sia una cucina molto moderna. Nel piatto del pesce, ad esempio, le foglie di cavolo appena scottato svolgono un ruolo principale, si impongono tra i denti e sulle papille.
E’ una centralità dell’orto molto diversa da quella italiana o greca: qui le cucine si adattano a verdure e ortagi per necessità, perché non c’è carne e ogni occasione è buona per rinforzare i vegetali con proteine animali (formaggi, carne stessa). Insomma, da noi, soprattutto al Sud dove abbiamo una delle più ghiotte e assolute tradizioni di gastronomia rurale, il piatto ci deve far dimenticare la carne.
Qui invece è una filosofia che si allontana dalla carne, la ridimensiona, quasi a portata di accompagnamento rispetto alle centralità del vegetale. Credo che nessun napoletano riuscirebbe a mangiare la verza come la fa Petter, quasi cruda mentre da noi è estenuata dalla cottura.
Eppure proprio questa mi pare la nuova frontiera. La cucina di Petter centra il sapore del vegetale e lo rispetta, proprio come noi facciamo con il pesce. Ecco l’idea è che al Sud bisognerebbe fare la stessa rivoluzione verso l’essenziale e ci sono alcuni esempi che vanno in questa direzione, penso alla melanzana di Niko Romito o all’assoluto di carciofo di Francesco Sposito, due piatti che piacerebbero molto ai clienti della Gazzetta.
Lasciamo il locale soddisfatti, abbiamo preso uno chapagnino rosé e ci siamo sentiti come i russi. Ma avevo voglia di iniziare così il mio nuovo soggiorno nella città del commissario Maigret.