Peschici, Gargano. Ristorante Porta di Basso. La cucina essenziale di Domenico Cilenti
Via C. Colombo 38
tel. 0884.915364
www.portadibasso.it
e-mail: [email protected]
aperto sempre
chiuso giovedì, mai in estate
di Tommaso Esposito
Sarà perchè la Puglia mi piace, ma ogni volta che giungo da questi parti l’animo si rasserena.
A Peschici mancavo da quasi vent’anni. Una vita.
Eppure tutto sembra immutato.
A maggio, poi, non c’è il caos dei bagnanti.
Ecco Porta di Basso. Si entra per i vicoli dalla parte del Castello.
La bella sorpresa è che tutto il locale si affaccia a strapiombo sulla costa.
Vista mozzafiato.
L’eco del mare che si infrange sugli scogli arriva fin sopra il terrazzino dove ci siamo letteralmente sbracati per goderci l’orizzonte infinito e il grido dei gabbiani.
Mannoòò, sono falchetti marini. Son venuti fin qua da dove?
Con Domenico Cilenti, questo cuoco sempre giovane che a Napoli ha conquistato il suo primo importante riconoscimento, allestiamo il menu.
Sarà essenziale e conciso. Dobbiamo ripartire nel primo pomeriggio.
Il vino? Uhm. Ci sarà lo Chardonnai di Cantele? Si c’è. Benissimo è fresco e brioso.
Il pane: con lievito madre, di semola di grano duro pugliese, in forma di baguette. Buono.
Benvenuto con prosciutto di ricciola, di tonno con salicornia, il cosiddetto asparago selvatico di mare, e un tocchetto di tonno pinna gialla con maionese senza uovo.
Salagione perfetta degli azzurri. Nel tonno sentore dei marosi. L’olio è dolce-amaro quanto basta.
Lanzardo crudo con crema di rapa rossa e fagiolina. Boccone delizioso.
Così pure il carpaccio di cefalo con grano cotto al vapore e quello del pinna gialla.
Sale rosso distante per non aggiungerne altro oltre quello degli umori. Fantastico.
Calamaretta ripiena di sgombro appena scottatta in padella, ohibò, accompagnata da fave tenere.
Va mangiata insieme ai tentacoli lasciati appositamente crudi per riequilibrare al palato il senso dell’assaggio: un esempio di garganico tataki disgiunto. Bravo Mimmo.
Ecco la cicoriella selvatica con pancia di pescatrice.
Che dire quest’erba? Mi fa ritornare mangiafoglia e scordare i maccheroni.
L’amaro tienilo caro, diceva ma nonna! E’ proprio così!
Ravioli di pasta al nero di seppia ripieni di bieta dell’orto di papà e scorfano.
Giusto una canocchia e un pomodorino che sia il tenero cuore del guazzetto. Al resto ci pensa l’extravergine. Equilibratissima.
Un tenero morbido lieve trancio di scorfano, quello della farcia dei ravioli, con carciofi croccanti. Bravo.
Dolcezza finale una soffice vellutata versione della chantilly con sedano candito.
Per nulla esuberante, anzi appena dolce, eppure intensa.
Come tutta la tavola di Domenico: essenziale, cioè semplicemente naturale e perciò dai sapori nitidi, netti, puliti.
Quelli che in sé stessa, nella sua essenza, ha la materia prima che sceglie.
Degustazioni a 35 e 45 euro
Ci tornerò. Mi piace.
E proverò una delle camere, appena quattro diffuse qua e là tra i vicoletti, ma con la vista che si dilunga verso la costa croata.
Al di là del Gargano.
E il naufragar mi sarà dolce in questo mare.