Persone che ci piacciono: Arcangelo Dandini e Berardino Lombardo
Racconto: un cittadino fanatico 2.0 nello spazio phone-free del burbero benefico campagnolo
di Pietro Razzino*
Arcangelo Dandini e Berardino Lombardo sono stati per me entrambi “provocatori” di cose analoghe, Berardino mi ha voluto lo scorso 20 dicembre alla cena finale della sua Asta del Cappone, dove straordinariamente aveva riunito quattro chef campani stellati Michelin che interpretavano i suoi capponi: da ricordare.
Arcangelo invece anni fa è stato capace di farmi mangiare senza dirmelo, per la verità lo ha fatto anche lui con me, la carne di canguro; Arcangelo ancora, quando guidava “Il Simposio” (il wine bar dell’enoteca Costantini a Piazza Cavour a Roma), mi chiamava quando aveva ospiti facoltosi che avrebbero bevuto vini introvabili, per farmi degustare il bicchiere della prova di vari Chateaux d’annata assolutamente impossibili per le mie tasche.
Domenica scorsa, era molto tempo che non si stava insieme, ho organizzato una rimpatriata con Arcangelo dall’altro mio amico Berardino. Ed è stata una domenica bellissina.
L’appuntamento era alle 13,00 per il pranzo a Conca; sono arrivato con qualche minuto di anticipo e mi ha accolto Berardino immerso nella sua monumentale cucina intento a preparare il pranzo domenicale per suoi ospiti.
Dopo qualche minuto arrivano Arcangelo e Stefania. “uagliù assettateve ca e pronto”, Berardino ci esorta a prender posto per iniziare il pranzo. “ ahò nun poi sapè che m’hai fatto fa’ oggi: t’ho preferito alla magica all’Olimpico, però so’ venuto armato !!!
” e tira fuori dalla borsa di Stefania un piccolo notebook dove pensa di poter vedere la partita in diretta. Povero lui !!!
Andare a pranzo da Berardino la domenica è una esperienza di recupero della memoria della nostra infanzia. Egli, antropologo della cucina, propone i menù della nonna, ma quelli veri che ognuno di noi per innumerevoli domeniche ha mangiato a casa e che oggi non ha assolutamente la possibilità di riprodurre perché i tempi di preparazione sono talmente dilatati da essere incompatibili con i tempi ed i ritmi attuali.
Gli antipasti sono la sinfonia della tradizione: prosciutto di maiale nero, fave e cicoria, panecuotto con broccoli, insalata di rinforzo (quella fatta con cavolfiore, capperi e acciughe); polenta con carne saucicciata e pecorino, zuppa di fagioli con origano e olio di “sessanella”, sformato di broccoli e patate, trippa e altre leccornie che da sole son sufficienti a saziare la fame più atavica.
Si passa poi al primo: ziti con ragù di spuntature di maiale nero con neve di parmigiano reggiano.
È questo il piatto che ha lo stesso effetto di un lettino da psicanalista: ricordo quando ragazzino arrivavo a casa la domenica e mia madre mi assegnava il compito rituale di spezzare a mano gli ziti e grattugiare il formaggio.
Gli ziti dovevano essere spezzati a mano e in formato irregolare, talvolta in alcune case venivano chiamati anche maltagliati. L’operazione doveva avvenire rigorosamente prima di pranzo mentre l’acqua iniziava a bollire per cui sistematicamente, gravati dell’onere di preparare celermente questo formato, ci si procurava delle dolorose piccole ferite alle dita.
Il formaggio doveva essere grattugiato senza esercitare eccessiva pressione sulla grattugia in quanto il risultato doveva essere di produrre una “neve” che, tanto leggera e tanto saporita sul piatto caldo domenicale, si trasformava in una piacevolissima crema/crosta quasi filante e tanto saporita che induceva i commensali a mangiare gli ziti spezzati più carichi di questo formaggio per ultimi.
E poi il finale del piatto: quei piccoli spezzoni di pasta di forma quasi triangolare che, formatisi al momento della spezzatura, rimanevano nel piatto affogati nel ragù ed erano per me, che li avevo spezzati provocandomi le piccole ferite domenicali alle dita, la mia più saporita ricompensa: li mangiavo con il cucchiaio insieme al ragù rimasto.
Quindi seguiva il rituale di cui ancora oggi non riesco a liberarmi: la scarpetta con la quale rendevo il piatto pulito come fosse appena lavato. Berardino riesce in questo: ciascuno di noi volentieri si tuffa nella propria fase ancestrale gastrica, come se tornasse piacevolmente indietro nel tempo che non è più possibile recuperare nelle proprie abitudini.
“Porco giuda !!! ma’ndo m’avete portato, nun c’è linea, nun ‘c’avete manco la corrente a ‘sto posto”. È Arcangelo che mi sveglia da questo mio “flash-back”. Ha scoperto che da Berardino, per fortuna, non c’è la linea telefonica che gli permetterebbe di vedere l’agognata partita. “ma nòne, lassa perde pens’a magna e a beve” gli fa eco Berardino nel suo inconfondibile idioma. E Arcangelo allora aderisce volentieri all’invito e si limita a ricevere dai suoi amici allo stadio gli sms di informazione del risultato della partita: meno male è fra noi.
Arriva il secondo: cotene e spuntature di maiale al sugo (quello del ragù) e maialino nero casertano al forno con patate.
Arcangelo, finalmente consapevole: “ che nitidezza di sapori e il grasso del maiale ben amalgamato alle fibre della carne e per niente fastidioso, una materia prima superba complimenti. a Berardì, ma ‘n’altra mezza stringata quanno m’a dai ? lo sai che ce faccio un piatto a posta ” Berardino: “ Arcà, te rongo la mia, ne tengo poche e so tutte ‘mpegnate, pure l’uogliu nuovo n’ancora e pronto, aggiu tenuto nu pocu che ffa’ ”.
Gli incontri fra Arcangelo e Berardino sono sempre così. Arcangelo, chef innovativo ma saldo nelle tradizioni, è molto attento alla ricerca della migliore materia prima da esaltare nella sua cucina; Berardino, ricercatore della memoria culinaria delle nostre terre, è un profondo estimatore e promotore delle nostre materie prime che prepara, così come i suoi piatti, rispettando rigorosamente i tempi della natura e i ritmi della tradizione, non corre quando non serve e se una cosa non c’è o non è pronta, non te la dà né te la propone. È così che si fa.
Entrambi sono grandi: Arcangelo perché innova la tradizione in maniera anche talvolta ardita, Berardino ricerca nella tradizione, ripropone, talvolta migliorando, quello che oggi non c’è più. Sono i due estremi dello stesso mondo, che però si rispettano e si ricercano con grande sagacia.
Proseguiamo il pomeriggio degustando vini e chiacchierando amabilmente della ricchezza e della bellezza del nostro territorio, a Berardino luccicano gli occhi come un bambino davanti all’albero di natale, “ nui ‘cca tenimmo l’oro e nu ru sapemmo !!! “ afferma con un po’ di rammarico, ma non troppo: ha sicuramente in mente qualcosa, ma non lo dice.
Ore 18,00: “ A cine’ (è l’affettuoso appellativo con il quale Arcangelo chiama affettuosamente sua moglie Stefania) dàmose che senno trovamo traffico sur raccordo ”. Berardino allora li trattiene ancora con un trucco sapendo di puntare sulla loro curiosità: “ma addo’ jate ? ‘nu poco ‘re vino mio nu ru volete pruva’?“ e allora esce dirigendosi nella sua cantina dalla quale preleva una bottiglia, senza etichetta, del suo rosso; si tratta di un 2008 prodotto dalla sua vigna, quella che si vede non appena si arriva nella sua azienda, lui dice “ è uva ‘e scasso, la chiammano aglianicone, chessu è stato fatto senza niente, ne tengo duciento litri “ per me è un bellissimo esemplare di uva lacrima, un vitigno dell’alto casertano che sta scomparendo perché non inserito nei disciplinari di produzione delle DOC che contano.
Il vino, elegantissimo morbido e strutturato, ha un bellissimo profumo di frutta che ricorda vagamente la Lacrima di Morro d’Alba. Paolo Caciorgna, che glielo ha vinificato, ha rispettato appieno sia l’uva che il modo di vedere di Berardino. Un gran prodotto che Berardino tiene con molta cura riservato per gli amici e per le occasioni particolari. Anche questo è un prodotto che lo rappresenta appieno.
Arriva il momento dei saluti, Arcangelo e Stefania ci lasciano, non senza nostalgia, sicuri di aver passato una giornata in un posto e con una persona autentica e affascinante. Io mi trattengo con Berardino ancora un po’, ma con lui non è possibile guardare l’orologio, la sua passione, il suo entusiasmo, i suoi progetti ti coinvolgono e ti viene di dire sempre: “OK, lo facciamo !!! ci vediamo domani e facciamo questo e dopo domani facciamo quello”. E chissà che un giorno, forse presto, veramente il domani non arrivi.
Per saperne di più
Terre di Conca, Conca della Campania
Arcangelo, Roma
*L’autore è enologo. Questo è il suo primo pezzo sul web.