Pepenero, Prato (Po)- L’arte di ri-tessere la tradizione territoriale
di Lorenzo Allori
“Questo sappiamo.
Che tutte le cose sono legate
come il sangue
che unisce una famiglia…
L’uomo non tesse la trama della vita;
in essa egli è soltanto un filo”.
Con queste parole di Ted Perry ben si potrebbero dipanare i tanti influssi presenti nel Pepenero di Mirko Giannoni; storie di famiglie, storie cittadine in cui si incontrano e riscontrano le anime artistiche della città di Prato, un poco come i filati che l’hanno resa tanto imponente nel corso dei secoli; storie di persone che hanno lentamente formato legami, fino a diventare una rete familiare. Dentro questo intimo locale dai colori tortora e carta da zucchero è possibile concedersi una esperienza onirica e genuina, circondati ad ogni boccone da arte visiva post-moderna Joseph Kosuth, Bruno Munari, Ben Vautier per citarne alcuni) che fanno da sponda al rigore essenziale della mise en place e delle luci, studiate ad arte per creare atmosfera.
Dicono che Penelope, che ogni notte disfaceva la tela tessuta di giorno, sia in fondo una metafora del poeta, Omero, che ogni momento avviluppava e sviluppava nella sua mente le storie da raccontare. Sara Sanensi, il responsabile di sala e sommelier del Pepenero si avvicina molto a questa figurazione; nelle sue mani anche l’imponente carta dei vini, con oltre seicento etichette, diviene una fruibile e immediata antologia di racconti, nei quali protagonisti sono uomini vocati a fare vino. L’attenzione viene posta su etichette del territorio e della Toscana (con proposte che toccano anche il mondo della birra artigianale), senza rinunciare a dispiegarsi in un secondo momento nel resto d’Italia e del mondo.
Singolare vedere con quanta passione e semplicità Sara Sanesi descriva tanto i suoi quadri, la sua sala quanto i suoi esperimenti con gli amari artigianali da lei creati. Come Hestia, Sara conserva un focolare in fondo agli occhi, che mette a proprio agio e trasporta dentro il suo mondo.
In cucina, Mirko Giannoni ha maturato una cucina sempre più pulita da fronzoli ed esterofilie, vocandosi al territorio, alla memoria dei pasti familiari e alla classicità italiana, con strenuo rigore tecnico e perpetua ricerca. Una cucina che si dedica al gusto con una estetica pacata e armonioso, a tratti così simile ai colori del Lippi custoditi in Duomo.
Dalla collaborazione con David Bedu è nata una vasta gamma di panificazione che viene servita al tavolo ancor prima del benvenuto. Dalla Bozza pratese, adagiata su una teca in vetro attraverso cui si può mirare un campione di tessuto prate, al Pan di ramerino accompagnato da mousse di fegatini, ai grissini, fino alla ciabattina francese da intingere nell’ottimo olio Marchese Pancrazi di Montemurlo.
Il benvenuto, allo stesso modo di altri piatti, risente l’influenza lontana di cucine consolidate come quelle di Camanini, Baronetto, Faccani. Vengono serviti in tavola una serie di piccole creazioni che tendono a omaggiare la madre e i pasti di una vita precedente, quella infantile ormai fattasi ricordo.
Ecco allora il baccalà alla livornese traformarsi in tacos; la minestra di pane divenire crema a guarnire il cuscino di pane; il lesso tramutare in polpetta, abbinato a un ketchup di peperoni; persino la bistecca alla fiorentina cambia forma per assumere le sembianze di una tartara affumicata con maionese del suo grasso.
Vari i percorsi di degustazioni possibili, dai classici ai nuovi piatti a base di pesce, senza dimenticare una piccola carta ragionata e più disimpegnata per chi volesse concedersi un pasto veloce.
La proposta più radicata è certamente quella dedicata alla carne del luogo; una serie di piatti in cui si mescolano spunti e materie prime locali, rivalutando ingredienti poveri, come il quinto quarto e gli animali da cortile.
Si parte con un drappo di trippa fritta, molto croccante (sebbene un poco troppo coriacea sotto i denti) con capperi, peperoni per dare dolcezza e il giusto punto di sapidità.
Memorabile il riso al piccione di Laura Peri (vera eccellenza italiana, che coniuga etica e sostenibilità) con le sue rigaglie per dare complessità, e gel alla china che smorza l’aroma con il suo sentore amaro alla fine.
Semplici ma estremamente goduriosi i ravioli (realizzati e cotti alla punto) di cinghiale al burro con il suo fondo, sapientemente bilanciato e ben tirato, e tartufo nero (anche se poco percebile).
Il piatto più sorprendente è di certo il secondo, sia per composizione tecnica sia per arominia del gusto: una splendida crosta di sfoglia che custodisce un controfiletto di manzo Calvanina (“perchè non esistono solo i filetti” ribatte Sara ai clienti perplessi), bardato con bieta e mortadella di prato, in abbinamento a una salsa di spugnole dal sapore intenso e persistente.
Capitolo a parte merita la pasticceria, guidata dall’astro nascente Lorenzo Dani, in evidente stato di grazia. I dolci hanno tutto ciò che ci si aspetta da un grande progetto ristorativo: freschi, equilibrati, golosi senza divenire stucchevoli, fieramente incordati nella grande tradizione della pasticceria francese, come dimostra il pre-dessert, un freschissimo stecco gelato albicocche e pesche; ma ancora di più il Cardato pratese, un gomitolo di meringa all’italiana posizionata sopra un disco finissimo di gelatina acidula, contenente all’interno una colata generosa di crema cioccolato bianco e formaggio e fragoline di bosco fresche.
Tutto ciò che lega, anzi cementa le relazioni e i contatti umani sono le storie, fili orditi in reti, in tessuti, questo è il messaggio che Beinoiff e Weiss, celebri creatori de “Il Trono di spade”, voglio tramandare e tradurre al termine della loro opera.
E tante sono le storie che come i tessuti pratesi si intrecciano all’interno del Pepenero: le storie e i vissuti di Giannoni padre, cameriere operativo dal 1948- anno della Costituzione per dare un’idea del lasso di tempo- che ancora in sala con l’esempio insegna il mestiere; le fabulazioni aggraziate di Sara sulle arti, i vini e i suoi amati spiriti artigianali; gli intrecci presi dalla memoria, dal territorio che il cuoco e il pasticcere hanno la pazienza e la passione di tramandare nella loro cucina, togliendo sempre di più per concentrarsi su una e una cosa soltanto: il gusto.
Questa è la storia infinita che Mirco Giannoni e la sua squadra vogliono raccontare; quella del gusto.
Pepenero, il benvenuto “Omaggio a mia madre tacos di baccalà mantecato e salsa livornese; bon bon al vapore con maionese all’acciuga; cuscino di pane con crema di minestra di pane e cipolla marinata; tartara di Calvana affumicata in brace, maionese al suo grasso, polpetta di lesso con ketchup di peperone
Pepenero, trippa fritta, acciugata, capperi e peperoni arrosto
Pepenero, animella di vitello impanata, salsa Sherry e ciligie, carote al cumino
Pepenero, riso al piccione Laura Peri, le sue rigaglie e gel di china
Pepenero, ravioli di cinghiale, jus di chinghiale, tartufo estivo
Pepenero, pre dessert – stecco gelato albiccocca e pesca, glassato al cioccolato bianco
Pepenero, Cardato pratese gomitolo di meringa, cremoso di cioccolato bianco e formaggio, fragoline di bosco
Pepenero, piccola pasticceria (biscotto al fondente, marshmallow alla fragola, macaron al limone, gelèe all’arancia) foto 14
Via Zarini 289, Prato (Po)
Telefono: 339 340 0460
Sito: www.ristorantepepeneroprato.it/
Orari: Lunedì- Sabato: 12.30/14.30; 19.30/22.00