Pastiera: non solo grano
di Carmen Autuori
Fiumi d’ inchiostro sono stati usati per descrivere la pastiera, questo sontuoso dolce campano tipico del periodo pasquale. Non a caso ha la forma di uno scrigno di fragrante pasta frolla: in essa è racchiusa la leggenda, la storia ed il culto. La presenza del grano fanno pensare a Demetra, a Cibele, a Kore, insomma a tutte quelle figure mitologiche pagane strettamente connesse con i cicli della natura e per questo legate alla morte e alla rinascita e con l’avvento del Cristianesimo alla resurrezione di Cristo.
Le prime notizie storiche ce le dà il Corrado nel suo “Il cuoco Galante“del 1786 quando descrive la Torta di frumento che ha tutti i titoli per poter essere considerata la madre di tutte le pastiere. Certo mancano alcuni ingredienti come la ricotta, ma a differenza di quella di Antonio Latini che nello Scalco alla Moderna, antecedente di circa un secolo, ci parla di una sorta di pasticcio composto da grano formaggio, pepe, pistacchi aromatizzati all’acqua di rose, il tutto racchiuso in un involucro di marzapane, quella del Corrado pur mantenendo ancora le caratteristiche di un rustico (si pensi al grano cotto nel brodo), nella forma e nella sostanza si avvicina all’idea di pastiera diffusa ancora oggi.
D’altra parte fino all’Ottocento il confine dolce/salato è stato sempre molto labile, retaggio di quella cucina rinascimentale che poneva zucchero e spezie in ogni piatto.
Accanto a quest’ultima, conosciutissima ormai, ci sono anche altre “cugine” il cui ingrediente principale è la pasta, di solito i capellini, ma anche la pasta grossa ed il riso.
Al di là di leggende, storie più o meno inventate e fake news, la più diffusa è quella delle sette strisce che richiamerebbero i cardini e i Decumani della Napoli antica di cui non si trova traccia in nessun testo storico di gastronomia, quella della pastiera è una ricetta di riciclo, sebbene dal grande valore simbolico. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che il termine “pastiera” deriva da “pasta di ieri”. Ad esempio a Mondragone, nel casertano, è molto diffusa la pastiera di tagliolini che, addolciti dallo zucchero e dai canditi e profumati con il classico fior d’arancio e la cannella, vanno a sostituire il grano e la ricotta del ripieno. Mentre nel Cilento, precisamente a Castel San Lorenzo non può mancare la Tennerata , un dolce semplicissimo composto da pasta grossa, in genere ziti spezzati, caprino fresco e ricotta di capra, aromatizzata da cannella, cotta al forno, preferibilmente a legna, il Giovedì Santo per essere consumata la domenica di Pasqua. La sua caratteristica è quella di non prevedere l’involucro di pasta frolla.
Spostandoci nelle zone cilentane più interne troviamo anche un altro tipo di pastiera, questa volta rustica, composta da pasta grossa, uova, cacio ricotta, primosale, salame e salsiccia racchiusa da una sorta di pasta brisee impastata, però con l’olio d’oliva e decorata da foglie di ulivo che oltre al valore simbolico hanno lo scopo di permettere la fuoriuscita del vapore ed evitare, così, che in cottura si gonfi. Invece nel salernitano, in particolare nella zona dei Monti Picentini , il gustoso viaggio della pastiera si è trovato di fronte ad un bivio, per cui la ricetta si è sdoppiata nella variante classica con il grano e in quella con il riso, la prima considerata cittadina mentre la seconda contadina. In realtà la vera pastiera picentina, e delle aree a sud di Salerno in generale, è quella di riso. Ciò ha un fondamento storico ben preciso in quanto proprio questa zona fu il territorio meridionale più famoso per le sue piantagioni di riso. Si hanno notizie certe della coltivazione di questo cereale a partire dal 1500 fino a tutto il 1800. Sono innanzitutto i poeti a tesserne le lodi a cominciare da Giovanni Battista del Tufo: “E d’estate e d’ invierno farro e rise da Salierno”. Ma non solo. Lo stesso Antonio Latini scrive nel suo testo cult: “In questa provincia si ritrova ogni sorta di robba. Salerno produce li più famosi risi e in grande abbondanza”.
E’stata proprio l’abbondanza del cereale a consentire la nascita di questo dolce che vede la sostituzione del grano con il riso. L’ involucro, elemento importantissimo, è lo stesso di quella tradizionale: pastafrolla impastata con lo strutto. Si può usare anche il burro, ma non è la stessa cosa in quanto la frolla della pastiera deve essere di supporto al ripieno e quindi va stesa sottile, e questa operazione è facilitata proprio dall’uso dello strutto.
A differenza di quella classica di grano, la preparazione di quella di riso nasconde molte più insidie, sia nella scelta della qualità, devono essere chicchi piccoli, che nella giusta proporzione dei liquidi al fine di ottenere una pastiera morbida e gustosa. Esiste anche una variante al cioccolato per i più golosi.
Ormai quasi scomparsa, la pastiera di riso senza sfoglia, una sorta di migliaccio, è la versione ancora più povera dove l’assenza di canditi sostituiti da un’abbondante dose di cannella la rendono molto scura. Ormai è un dolce rarissimo che però rimane ancora nella memoria dei più nostalgici.
Nella zona di Paestum e in alcuni paesi del Cilento è ancora il riso l’ingrediente principale delle preparazioni pasquali. Questo perché anche la Piana di Paestum per la felice combinazione di acque, suolo e clima è stato un territorio vocato alla produzione di questo cereale sin dal 1600. Qui troviamo i calzoni sia salati che dolci il cui ingrediente principale è appunto il riso. I primi sono arricchiti da uova, salame, ricotta e cacio ricotta mentre i secondi racchiudono in una sottile sfoglia impastata con l’olio d’oliva riso, zucchero, albume montate a neve, buccia di limone grattugiata e tanta cannella.
Ingredienti per 8 persone
Per la pasta frolla
250 g di farina 00
100 g di zucchero
1 uovo intero e un tuorlo
100 g di strutto
½ cucchiaino di ammoniaca per dolci sciolto in poca acqua o latte
Buccia grattugiata di limone
Per il ripieno
350 g di riso
1 l di latte intero
1 bicchiere di acqua
300 g di zucchero
300 g di ricotta vaccina
5 tuorli d’uovo
Buccia di limone grattugiata
1 fiala di fior d’arancio
Cannella
Vaniglia
Cedro candito
Burro e farina per la teglia
Per la frolla
Fare la fontana sul tagliere, al centro versarvi tutti gli ingredienti, impastare velocemente. Formare una palla, ricoprirla con pellicola trasparente e lasciarla riposare in frigo, mentre si prepara il ripieno.
Per il ripieno
Lessare il riso nel latte e l’acqua aromatizzata con la buccia di limone, portare a cottura quasi completa e lasciare intiepidire. Deve rimanere un po’ di liquido.
Montare i tuorli con lo zucchero, aggiungervi la ricotta setacciata, il riso, la vaniglia,la cannella, il fior d’arancio e il cedro candito tagliato a pezzi piccoli.
Rivestire con i due terzi della pastafrolla una teglia precedentemente imburrata e infarinata, versarvi il composto di riso, decorare con le strisce di pasta frolla formando dei quadrati.
Infornare a 180 gradi per circa un’ora e gustare il dolce almeno il giorno successivo alla preparazione. Prima di essere consumata va lasciata “maturare”per almeno due giorni per permettere il perfetto amalgama dei sapori.