Pastarelle cilentane, il dolce della memoria
Di Carmen Autuori
Una volta il dolce era un pane speciale addolcito con il miele o con la frutta secca, questo molto prima che lo zucchero giungesse dalle Americhe. Pian piano, nel corso dei secoli, ha assunto un ruolo simbolico: è diventato elemento celebrativo di un’occasione particolare, di una cerimonia, di una festa ed il suo consumo ha scandito le ricorrenze più importanti, sia quelle della vita civile che di quella religiosa. Tanto per fare un esempio, soprattutto nelle zone più interne, non c’è festa dedicata al santo patrono che non rechi con sé la preparazione di un dolce particolare, senza considerare quelli tipici del Natale, della Pasqua etc.
Ma con il passare del tempo e, soprattutto, in una società come la nostra bombardata da ogni dove da messaggi legati al mondo del food, il dolce ha perso in parte la connotazione di cibo speciale e talvolta anche di cibo sano, anzi. Si pensi alle merendine preconfezionate o ai biscotti pieni di conservanti chimici e di grassi insalubri. Ma non solo: molti prodotti di pasticcerie – anche note – si affidano a semilavorati di dubbia provenienza. I risultati di tutto ciò sono ben visibili, obesità soprattutto infantile e appiattimento dei palati che tendono a ricercare il gusto dolce in (quasi) tutti gli alimenti.
Ci sono, però, luoghi laddove la pasticceria conserva ancora i connotati della memoria che sfocia naturalmente nella tradizione. Delle vere e proprie isole di sapienza antica il cui patrimonio, che è soprattutto culturale, va preservato ed eventualmente recuperato.
Ed è proprio la memoria l’ingrediente più importante delle pastarelle, antico dolce cilentano, precisamente di Laurino, paese dell’alto Cilento ma diffuso un po’ in tutto il Meridione, con qualche piccola differenza negli aromi. Si tratta di biscotti semplicissimi sia nella forma – un cerchio di pasta tagliato con il bicchiere – che nella sostanza, essendo composti da uova, zucchero e farina.
Non possono mancare nelle feste importanti di primavera, quindi a Pasqua e a Santa Elena, santa Patrona del paese che viene festeggiata per ben due volte, sia a maggio che il 18 agosto.
Ma la loro delicata presenza fa capolino nel “cartoccio” della sposa, un’usanza tutta meridionale, perché, come racconta ci racconta la signora Rosetta Pacente, vera maestra nella preparazione delle pastarelle: “So’ bianche candide cum’ è ‘a sposa. E ‘u zuccaro brilla com’ ‘a vesta soja” (Sono bianche candide come la sposa. E lo zucchero brilla come il suo vestito). Ora ditemi se non è poesia tutto questo.
La ricetta che segue proviene da un antico quaderno di cui è proprietaria Paola Passaro, cilentana doc, da sempre in prima linea a difesa della sua terra e delle tradizioni di cui essa è permeata. Lo ha ereditato direttamente dalla suocera, Rosetta, la signora delle pastarelle.
- Tempo di preparazione 20 minuti
- Tempo di cottura 15 minuti
Ingredienti per 20 persone
- 1kg di farina 00
- 500 g di zucchero
- 6 uova intere, 1 bicchiere di olio evo
- Latte intero qb
- 15 g di ammoniaca per dolci
- 6 g di bicarbonato
- 12 g di cremor tartaro
- Vaniglia
- Buccia di limone grattugiato
- 1 bicchierino di liquore Strega
- Zucchero semolato, granella di mandorle, ciliegie candite o diavolilli per decorare
Preparazione
Fare la fontana sul piano di lavoro con farina e zucchero, aggiungervi le uova leggermente sbattute, gli aromi, l'olio e le polveri lievitanti sciolte in mezzo bicchiere di latte.
Impastare il tutto, coprire con la pellicola e lasciar riposare per circa 15 minuti.
Col il mattarello stendere la pasta mantenendo uno spessore di circa 3 centimetri.
Tagliare dei dischi con un bicchiere, rigarli con i rebbi della forchetta e cospargerli con lo zucchero semolato.
Decorare alcune con la granella di mandorle ed altre con la ciliegia candita oppure con i diavolilli.
Infornare a 180° per non più di 15 minuti, devono rimanere bianche.
Volendo, una volta fredde, si possono ricoprire di naspro.
Si conservano a lungo chiuse in una scatola
2 Commenti
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Con questi argomenti si vanno a toccare corde importanti per un Cilentano in esilio e per di più in via di “estinzione”e di questo la ringrazio ma le sarei ancor più grato se accennasse al paese di riferimento solo per legittima curiosità vista la diffusione praticamente su tutto il territorio di queste virtuose pratiche purtroppo poco praticate dalle giovani generazioni FRANCESCO
Gentile Francesco, queste sono di Laurino. In realtà sono diffuse un po’ in tutto il Cilento e nel Vallo di Diano. Fino a qualche anno fa c’era un antico forno a Roccadaspide che ne produceva di squisite. Purtroppo ha chiuso i battenti, ed è una grande perdita.