Paolo Marchi: Visintin? Non si accredita perché sarebbe costretto a scriverne bene
Il successo di Identità Golose aiuta a riflettere…Scherzi a parte, abbiamo fatto qualche domanda a Paolo Marchi, ideatore e patròn della più importante manifestazione gastronomica. L’idea mutuata dalla moda otto anni fa: chef, venite a Milano per presentare le vostre creazione come fanno gli stilisti. Da allora ne sono passate di salse nelle pentole.
Anche se è come chiedere all’acquaiolo se l’acqua che vende è fresca, voglio sapere da te un giudizio su questa edizione di IG. Alcuni hanno criticato IG per una piega commerciale: in che senso gli sponsor stanno pesando sulle scelte e sui programmi?
“La prima edizione, otto anni fa, durava due giorni, poggiava su 18 relatori e presentava una ventina di sponsor. Oggi siamo a 80 relatori spalmati su tre giornate e a un’ottantina di espositori, senza i secondi non potrei invitare i primi. Più che di un peso, io parlerei di un lievito. L’importante è che ognuno faccia il suo mestiere”.
C’è il rischio che gli chef finiscano per diventare piccole star slegate dal contesto quotidiano in cui sono costretti a vivere?
“Piccole star? Anche grandi se è per questo, poi dipende dall’intelligenza di ognuno rimanere in sintonia con il proprio mondo. Però vale per qualsiasi professione, sport, attività. Di un collega sportivo si diceva che si fosse fatto un leggero lifting per apparire giovane davanti alle telecamere di Biscardi. Quando imbocchi queste strade la tua credibilità cambia, diventi un mezzo attore. Pazienza, ci saranno altri chef altrettanti bravi che cucineranno per i clienti e scaleranno le classifiche”.
Trash a parte, cosa significa per te l’esistere critico di Visintin? E’ un caso patologico o è l’espressione di una patologia diffusa?
“In questi giorni sul Corriere hanno scritto di Identità anche Marisa Fumagalli, Roberta Schira, Alex Guzzi, Beppe Severgnini e Roberto Perrone, più gli inserti settimanali. Tutti pezzi in positivo tranne uno, mi sembra un risultato straordinario. Non solo: sono tutti giornalisti che a Identità si accreditano, vengono, ascoltano, si informano, giudicano, intervistano, ragionano, insomma sul posto ci sono. Forse Visintin ha paura che, verificando di persona, finirebbe con il trovare dei lati positivi che da lontano gli sfuggono”.
Ora parliamo di cucina. Dal tuo osservatorio, in quale direzione ci stiamo muovendo?
“Si va sempre più verso una purezza di forme e di sapori, ci sarà attenzione massima alla salute, sano diventerà sinonimo di goloso e non ci sarà più motivo di allestire Identità Naturali perché ‘tutto’ sarà naturale”.
Quanto pesa il territorio nella formazione delle tendenze o, piuttosto, è il fusion globalizzato a premere sulle identità locali?
“C’è una globalizzazione che non rispetta le identità locali perché portatrice di valori legati alla grande industria alimentare, al massimo le sfrutta come foglie di fico per rifarsi l’immagine. E ci sono identità locali che hanno successo senza meriti specifici solo perché la crisi accorcia il raggio di azione di molti che, costretti a fare di necessità virtù, dicono di trovarvi lati felici che in verità sono minimi”.
Secondo te la diffusione dei food blog allarga o diminuisce la distanza tra critici professionali e appassionati?
“Mio figlio ha 13 anni e quello che per me è il telefonino, per lui è il telefono. Un certo modo di essere critici è morto perché sono morti i giornali cartacei con grandi corpi redazionali, mentre le chiacchiere che un tempo si facevano al bar ora sono in rete e la rete mischia tutto, l’oro e l’ottone. Ci sarà chi riuscirà ad adattarsi al nuovo mezzo come alcuni attori del muto al sonoro e chi no così come nasceranno altre firme in altre forme. I critici stanno sfumando all’orizzonte e tanti prestano più attenzione ai blogger perché giudicati più immediati, liberi e puri, non notando sovente l’ignoranza e presunzione a livello di conoscenze”.
Cosa dobbiamo aspettarci dalla prossima edizione di IG?
“Ora è un tavolo con tre gambe, spero di riuscire a costruire un valido programma legato al Fuori Congresso. Quanto al ‘dentro al congresso’ si svilupperà sempre attraverso un auditorium, due sale tematiche, un’area espositiva. Il tema è già deciso, ma è presto per anticiparlo”.
16 Commenti
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Non c’è dubbio che Identità Golose sia un format di grande successo. Sa ben inquadrare le tendenze del momento, ma sopratutto anticipare i tempi senza banalizzare personaggi, prodotti e territori. I momenti di incontro con gli chef sono sempre estremamente interessanti, vari e mai banali i temi ed i personaggi. Parlando poi con gli espositori, quelli che pagano profumatamente gli stands, erano tutti soddisfatti della risposta di pubblico e dei contatti realizzati. Il tutto poi si svolge in un clima di entusiasmo, ricco di piacevoli incontri.
999 minuti d’applausi.
Condivido. Tommaso, stavolta il millesimo minuto è il mio.
paolo marchi ha migliorato perfino l’abbigliamento, figuriamoci IG :-). Tommaso farina e’ come i tori: se vede rosso si infuria , se vede nero( semplifico ma ci capiamo, spero), sbava.
Rosso e nero in questo caso chi sono? :0
Identità Golose è ormai il punto di riferimento, non solo Italiano, per i congressi di cucina d’autore. Visintin segue la moda, solo italica, di far prevalere l’invidia al gioco di squadra. E’ quello che ci frega a livello internazionale. Invece di spronare, di appoggiare un collega che fa una grande cosa tu gli spari dietro. E credi di fare notizia. Secondo me ha ottenuto quello che cercava, che qualcuno ne parli. Io lo ignorerei, come ignoro i suoi consigli Milanesi sui ristoranti :-)
Bravo Paolo, continua così. Tutto è migliorabile, per carità, ma avercene di eventi come IG …
Sul piano culturale e umano hai perfettamente ragione caro Alberto. Ignorare gente come Visintin è una questione di igiene mentale. Purtroppo politicamene e giornalisticamente è impossibile perché scrive sul blog del Corriere Milano.
La domanda vera sarebbe come è possibile? Già, come è possibile?
Forse è una linea editoriale che tende a tenere comunque tutto dentro, i gourmet, gli appassionati e la Vandea gastronomica. Del resto qui a Napoli sino a poco fa c’era uno con occhiali e baffi finti che aveva una rubrica, come a Milano il cappuccio di Visintin.
Ti immagini se si trattassero in questo modo argomenti come la moda, le auto, lo sport, la politica,la medicina?
Invece in Italia per uno dei pochi settori che fa segno più è possibile fare i pagliacci e d essere presi sul serio.
Com’è possibile ? E’ possibile perché a Milano esiste, e lavora ancora, la trattoria milanese. La spiegazione è che i lettori hanno i critici che si meritano :-)
:-)))
Proprio perchè il post apre con un’immagine da identità donna, invito alla lettura di questo pezzo per sensibilizzare gli organizzatori ad orientarsi verso un progetto di lavoro in cui non si faccia ancora distinzione tra i sessi ma tra culture diverse in una visione caleidoscopica della cucina italiana:
http://27esimaora.corriere.it/articolo/cucinare-un-mestiere-da-maschianche-per-colpa-delle-donne/
Sono d’accordo con te, Alba!!! Perciò…lascio fare tutto a mia moglie…;-))
E’ il caso di dire: ENTITA’ GOLOSA
però la distinzione è stata fatta per evidenziare come si stia affermando una figura nuova ovvero lo chef donna e non più la cuoca casalinga che si divide tra casa sua e la cucina del ristorante del marito… la leader che si impone in un mondo dominato dagli uomini e non più la compagna “schiavizzata” due volte
Quindi una figura professionale nuova non è più data dal tipo di lavoro ma da quale genere sia effettuato: per me la parola chef è neutrale e preferisco solo riconoscere chi sa creare un capolavoro da un quinto quarto o una pasta e patate indimenticabile, per dirne qualcuna, che leggere ancora “la prima donna chef”, “la prima donna ministro in attesa di avere la prima donna presidente” ecc. ecc. E’ come se ci stupissimo ancora della “prima donna ingegnere” con la consapevolezza di sapere che le donne le macchine le fabbricano.
Ho letto l’articolo di Visintin ( non sono Visintin ) e volevo esprimere un concetto su di una cosa che ritengo importante per gli chef: State in cucina!
Se sono bravo a costruire un prodotto magari dopo anni di applicazione sarà importante che mi affacci al balcone per gridare o sussurrare al mondo di provare la qualità del mio operato anche per la soddisfazione di essere stato così bravo. Ora, blog come questo ( ottimi e questo in particolare) e fiere dedicate sono un megafono importante; ma se poi si rimane alla finestra chi ci sta in cucina? Vado ad una cena sponsorizzata e trovo Tizio, mi reco ad una fiera e trovo Tizio, accendo la televisione…di nuovo Tizio, vado al ristorante di Tizio e trovo caio ( con la “c” minuscola ): dove sarà Tizio?
Essendo la società dell’apparire si cerca l’apparenza e non più la sostanza ed ecco che i piatti stanno diventando ovunque ( ahimè anche in pizzerie e trattorie ) delle cartoline e di cartone sanno. Cottura di qua, prodotto di nicchia di la, sentore di questo e riduzione di quest’altro: €.30, di più e poche volte di meno.
Poi c’è crisi e si da la colpa a tutto tranne al fatto che si mangia male. Si, lo scrivo io ma lo pensano in molti. Dai tre stelle alle “37 migliori pizzerie di Napoli” i prodotti non sono più golosi e credo che a perdersi sono proprio le identità di quegli artigiani della spesa e della Cucina ( con la “c” maiuscola ). E i critici a difendere i loro “amici” ristoratori che poi stapperanno quella bottiglia dell’82 o allungheranno un piatto in più…e la fiera delle vanità sarà servita.
Ogni attività umana ha riflessi caricaturali: sicuramente con le centinaia di controlli incrociati di svariate guide e decine di blogger è molto difficile che uno chef arrivi ad essere famoso senza essere anche bravo. E’ magari più probabile che il suo percorso sia più breve se oltre a cucinare ha anche la capacità di comunicare.
Ma non si da il caso di comunicazione subentrata alla sostanza, se questa è l’obiezione, capace di convincere clienti ed esperti.
L’egemonia della cultura urbana, ormai affermata da almeno un secolo anche in Italia, predilige le novità, la conoscenza, il modo di porsi, le mode. E non ci vedo nulla di male, anzi.
Io credo che un cuoco sia veramente grande quando tutto è perfetto anche se è assente.
Poi, per età e formazione politica, posso avere simpatia per le miniature presepistiche del bravo cuciniere sconosciuto al circo ma che cucina meglio dei tre stellati. Ma questa è solo mitologia chiacchierologica e bloggeristica. La realtà è fatta di economia e di raggiungimento della qualità.
Si mangia meglio o peggio? Chi ama la qualità è sicuramente più appagato di venti o trent’anni fa: oggi ci sono giovani che fanno minestre maritate o ragù eccezionali mentre lo stile delle nonne, quello degli anni ’50 per capirci, sarebbe improponibile a meno che non torni la carestia.
Chi non si cura del cibo invece mangia sicuramente meno sano e peggio. Pensiamo, appunto, ad una zuppa di lenticchie e un panino mac.