Paccheri e considerazioni sulla semplicità che tutti vogliamo
di Marco Galetti
…ecco il mio piatto, paccheri di un antico pastificio di Gragnano, che usa farine di grano di provenienza italiana, sugo di pomodori pelati e ciliegino siciliano frullato e filtrato per rendere setosa la salsa, olio, basilico, peperoncino e grana padano riserva venti mesi.
Una preparazione semplice che entusiasma, mantecati velocemente e subito impiattati per un’adeguata temperatura di servizio, i paccheri, dalla cottura perfetta, si faranno ricordare a lungo.
Un solo presupposto, non dovessi riuscire a spiegarmi adeguatamente, se mangio malissimo non c’è maitre che tenga…
…ma, se quel che esce dalla cucina non mi convince del tutto e alcuni piatti si presentano all’appello in modo approssimato, se in sala vengo accolto bene, ascoltato, consigliato, in quel locale ci torno, dando alla cucina possibilità di riscatto.
Se il maitre, non prende neppure in considerazione l’idea di accoglienza, si propone con un atteggiamento svogliato, si dimostra impreparato, usa il contagocce per un sorriso forzato e per servirmi un calice di vino, non accetta eventuali rimostranze e si lascia scivolare addosso macchie di unto e lamentele, sarà improbabilissimo rivedersi, anche se, magari, la cucina meriterebbe maggiori attenzioni, perché lo chef ha molte potenzialità espresse, come le sue cotture, ed inespresse che aspettano solo di poter aprir bocca, o meglio, di farcela aprire con soddisfazione.
Purtroppo se la sala è lasciata alla deriva, non si percepisce calore ma freddezza, i piatti vengono portati al tavolo quasi controvoglia da personale decisamente antipatico e poco disponibile, per quanto bene abbia potuto cenare sarà molto improbabile che rivarchi la soglia, la mia soglia di attenzione a questo riguardo è molto alta, posso comprendere un piatto salato quanto il conto, sorvolare su una temperatura tiepida, non sull’accoglienza tiepida e sulla mancanza di garbo.
Capita, raramente ma capita, che in sala sappiano fare il loro mestiere, si sente trasparire la voglia e la disponibilità di contatto, che non deve essere assolutamente ossessivo, l’armonia prende il sopravvento, cambia l’umore e conseguentemente ed inevitabilmente le valutazioni che, nolenti, sono soggette allo stato d’animo.
È rassicurante sapere che in quel determinato locale ritroveremo una figura di riferimento che ancora una volta, si prenderà cura di noi, con poche attenzioni, calibrate, al momento giusto, percepiremo passione e disponibilità, non è necessario nulla di più ma nemmeno nulla di meno.
Personalmente non gradisco neppure chi si presenta con la “lezioncina” imparata a memoria e non mi entusiasmano persone troppo servizievoli al limite dello stucchevole, bastano modi naturali, comportamento educato e non invadente.
Se sollecitato, il nostro piccolo grande maitre, dovrebbe capire che se tendo la mano sarà alquanto facile per lui prendermi il braccio e far si che io spenda volentieri di più di quanto preventivato magari scegliendo un buon vino, un distillato, o che mi lasci tentare assaggiando qualche fuori carta, in fondo si vive una sola volta, la variabile è il come.
Tornando a casa, mentre guido a fari spenti (nella notte se si tratta di cena e non di pranzo li accendo), devo sentire il desiderio di ritornare in quel locale dove l’armonia viaggia di pari passo con il passo cadenzato dello chef.
Il maitre, ogni tanto qualcuno merita una segnalazione per il valore aggiunto all’indubbio valore del piatto in sé, capperi che paccheri…
Se alziamo l’asticella, se il locale in questione, ad esempio, brilla di monostella acquisita o aspirata, l’uomo di sala dovrebbe essere qualcosa a metà strada tra uno psicologo ed un consigliere spirituale, deve capire il cliente, avere spirito e deve saper proporre spirito di qualità nel calice, questa figura di riferimento si occupa di un aspetto non più desueto, come il termine stesso ma, al contrario, d’attualità, perché c’è una sorta di riscoperta del servizio al tavolo che talvolta, è preferibile ad un impiattamento coreografico.
Un servizio al tavolo, credo possa meglio valorizzare un apparentemente semplice piatto di paccheri al pomodoro mantecati al Grana Padano, che, servito in una casseruola di rame e distribuito con sapienza da un bravo maitre, potrà riempire gli occhi del cliente, generare accenni di deglutizione, altrimenti detti acquolina in bocca, stimolare le cellule grigie e solo successivamente riempire, con estrema soddisfazione, anche la pancia.
3 Commenti
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quanto hai ragione; Marco. Anche un piatto così semplice è più buono con un maitre che conosce il suo mestiere. Considerazioni che calzano a pennello proprio oggi: hai letto il bel pezzo di Federico De Cesare Viola su Repubblica Sapori? Un caso di sala perfetta che andrebbe studiato a scuola.
Grazie, l’ho appena letto, professione che può dare grandi soddisfazioni, impegno sotto traccia ma indispensabile, per una vita da mediano…
Gran bel piatto. Sui paccheri: molti anni fa mi pare che a Napoli fossero in vendita anche paccheri rigati tagliati obliqui, insomma dei pennoni più grandi, chiamati se mi ricordo bene maltagliati. Il nome è sparito probabilmente per ragioni commericali, esiste tuttora un pastificio toscano Maltagliati, ma quel formato di pasta esiste ancora?