Paccari al pomodoro, da Chicco Cerea a Raffaele Vitale Nord e Sud così vicini e così diversi
Paccari (o paccheri) al pomodoro, una semplicità raggiunta dopo mille anni di storia gastronomica, dalle prime paste create ad Amalfi (i dunderi) alla scoperta dell’America e alla trasformazione del pomodoro da pianta ornamentale a fondamentale elemento acidificante nei piatti, a Napoli, nel Sud e poi in tutta Italia.
Il nostro è un paese meraviglioso per la sua diversità, non c’è regione dove non si mangi alla grande. Nonostante le fortissime pressioni omologanti della grande industria alimentare e di trasmissioni come quella sulla pizza di Report, c’è ancora tantissima differenza.
La differenza che ci regala il viaggio. Ed è proprio nel piatto più semplice che ci godiamo, con lo stesso piacere, una delle ricette più essenziali anche se più complesse, i paccari al pomodoro. In questo caso si tratta del paccaro di Vicidemoni che per cuocere impiega almeno 20 minuti e che beve più acqua oltre che più condimento di un cammello dopo la traversata del Sahara.
I Paccari al pomodoro di Chicco Cerea, Da Vittorio a Brusaporto
Un piatto storico inventato da Vittorio Cerea e conservato dai figli nella nuova sede a Brusaporto. Certo, un palato napoletano si troverebbe inizialmente in difficoltà perché si raggiunge la perfetta fusione tra il pomodoro, la pasta e il parmigiano usato per la mantecatura. L’acidità e di sottofondo, non protagonista.
C’è un rimando ovviamente dalla tradizione dei risotti, il risultato è quello di un sapore pieno, appagante, in cui l’enorme materia della pasta viene sommersa dal pomodoro e dal parmigiano in un equilibrio molto ben studiato e collaudato.
Si gioca dunque molto sulla morbidezza del piatto, su quel gusto che piace sin da piccoli della pasta con il parmigiano nel quale il pomodoro è quasi solo una spalla. Mangiarlo, dunque, è quasi come tornare ragazzi e forse è questa la chiave del successo immortale di questo piatto.
I Paccari al Pomodoro di Raffaele Vitale, Casa del Nonno 13
Raffele Vitale è cresciuto in terra di San Marzano e il suo contributo alla storia gastronomica italiana è nel recupero di questo ingrediente nella cucina.
Il concetto da cui si parte è sostanzialmente diverso da quello di Chicco Cerea, qui il pomodoro è il protagonista principale perché fornisce l’acidità necessaria per mangiare la pasta. Dunque qui l’equilibrio non è dato dalla fusione con il parmigiano, ma nel rapporto tra il pomodoro, l’olio d’oliva e il paccaro. Un equilibrio facile da raggiungere con gli spaghetti ma difficile con il paccaro che ha una superfice da coprire e uno spessore infinitamente più grandi, e che per questo predilige sughi più densi e robusti (esempio classico i ragù di pesce e di carne).
Qui il palato del Nord è spiazzato dal ruolo predominante dell’acidità sgrassante e potrà trovare il piatto poco opulento, magari un po’ magro, insomma eccessivamente essenziale. Esattamenti i motivi per cui si predilige al Sud, soprattutto nei mesi più caldi.
Insomma, si vede come con due elementi simili e uno variabile (il grasso) come si riesce ad entrare bene in ciò che unisce e ciò che divide il gusto del Nord e quello del Sud.
Come sempre, è necessario capire il contesto, ma quel che ci piace sottolineare è una cosa, forse la più fondamentale di tutte, a nostro giudizio: in entrambi i casi la cottura è perfettamente al dente, al chiodo come esclamerebbe Arcangelo Dandini.
E allora, per dirla con Tinto Brass, viva l’Italia!
2 Commenti
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Ma, se mi permetti Luciano, fare il risotto con l’olio e’ una esercitazione tecnica e provocatoria un po’ fine a se stessa, nel pacchero dei Cerea c’è burro in abbondanza. E non mi pare che ti sia dispiaciuto :-)
Ma si dice Paccheri, via…quali Paccari