Dove mangiare a Napoli non il solito sushi: Otoro81
Otoro81
Vico Belledonne a Chiaia, 11 – Napoli
[email protected]
0812779597
Aperto a cena
di Francesca Pace
Dovremmo a mio avviso tutti noi imparare la lezione esemplare che ci è stata dallo dallo chef nippo-brasiliano Ignacio Hidemasa Ito, resident di Otoro81, Tre Bacchette Gambero Rosso 2025 e da poco insignito de Il Premio Speciale ‘I Maestri del Sushi’ del Gambero Rosso.
La lezione che è arrivata forte e chiara, quantomeno a me, è quella che non si è mai troppo bravi per non cercare di fare meglio.
Ma non solo questo.
Bisogna farlo sorridendo, essendo disponibili, gentili, umili.
Lo vedi lavorare testa bassa e coltello tra le mani con aria sorniona, sorriso affabile e movimenti eleganti da samurai.
Sarei stata ore ad osservalo, sinceramente anche solo per questo.
Lo chef che ha assorbito totalmente la napoletanità più bella risponde senza sosta alle domande mentre continua a fare il suo lavoro imperterrito, senza perdere la concentrazione.
La sua è una cucina di contaminazione, che strizza l’occhio al fushion. Qui non solo nigiri e sashimi per intenderci. Abbraccia a 360 gradi la cucina nikkei, miscellanea perfetta tra lo stile sacrale giapponese e il ritmo caliente sudamericano.
Dopo aver girato parecchio il mondo ha fatto di Napoli la sua base, ricca com’è di culture e influenze differenti che tanto somigliano alla sua cucina.
Benché lui affermi che la perfezione, sopratutto in cucina è una utopia mai è stanco di ricercarla. E quindi consapevolezza che forse si può ancora migliorare presenta il suo “boccone perfetto”: involtino di ventresca involtino di ventresca con kaibashira, cavolo nero, caviale, pepe sancho. Se è riuscito nell’intento può dirlo solo lui visto che ciascuno di noi ha una propria idea di perfezione, ma è di certo un modo sublime di suggellare all’interno di un piccolo bon bon in cui si riuniscono in un unico morso le esperienze e le visioni futuro questa filosofia. Se non è questo il vero fusion ditemi voi allora cos’è.
La cultura gastronomica mondiale è in effetti leggibile come un libro di storia. In quella nikkei ad esempio si raccontano le vicende di due popoli che a fine Ottocento si sono incontrati e scontrati: Giappone e Sud America. Si leggono ancora le storie di chi, dopo la Seconda Guerra Mondiale dal Giappone è partito per il Sud America per emigrare.
Il termine “Nikkeijin” significa “emigrati giapponesi in terre straniere”.
Ito per questo motivo nei suoi piatti inserisce tutte le caratteristiche delle cucine dei due paesi: via libera a ceviche, tiradito, temaki e uramaki.
Assolutamente da provare il suo amouse bouche: Chicharròn con Moyashi. La cotenna scrocchiarella fa festa in bocca, e imperdibile è il tiradito fatto però con pescato locale.
Ovviamente non manca anche l’influsso partenopeo con la presenza quando possibile di friarielli, carciofi, scorfani e cocci, giusto per citarne alcuni senza però dimenticare quella che è a filosofia Kaiseki, “la cucina dell’imperatore”, che pone al centro l’estetica, la stagionalità e la capacità di esaltare ogni ingrediente.
La precisione millimetrica non solo nelle forme e nelle dimensioni ma nei sapori la si ritrova ad esempio nei nigiri di pescato locale e nella chiusura straordinaria dei ravioli di Wagyu, per me uno dei piatti migliori della serata. Delicatezza ed esplosività camminano a braccetto.
A questo proposito, Ignacio commenta: “La stessa cucina giapponese è frutto di contaminazioni stratificate, grazie alla storica capacità di replicare e reinterpretare le pietanze. Ad esempio, il Yakiniku nasce dalla grigliata coreana, il Gyoza di origine cinese e la tempura si ispira alla cucina portoghese. Tutto si può reinterpretare, ma alla base c’è sempre la scelta del pescato, la qualità del riso e la croccantezza dell’alga; tutto il resto è adattamento al contesto e sensibilità nell’interpretare i desideri del cliente.”
E se quando pensate al sushi o alla cucina giapponese in generale, la vostra mente vira verso solo a pietanze di pesce, beh, sappiate che Ito porta in tavola anche carne pregiatissima, cotta in maniera talvolta stupefacente, ovvero “alla robata”, una griglia molto elaborata di origine giapponese.
Come ci viene spiegato, il Buddismo e lo Shcintoismo hanno decisamente influenzato gli usi locali rendendo l’alimentazione quasi vegetariana. Solo con la Restaurazione Meiji, la famosa carne di Kobe è entrata a far parte dell’alimentazione nipponica.
Vedere come funziona questo meccanismo arzigogolato dal vivo, che sembra uscire da un film dei fratelli Lumiere, è un’esperienza nell’esperienza stessa. L’ossobuco alla robata con Tartare di Fassona è un piatto complesso, caldo-freddo, morbido-tenace. Di certo è uno di quelli che non lascia per nulla indifferenti.
Se siete quindi appassionati delle filosofie orientali e siete curiosi di vivere un’esperienza che va al di là del solito sushi, Otoro81 e Ito fanno al caso vostro. Il viaggio Napoli-Giappone- Sud America, vale il biglietto. Il locale al primo piano del complesso Magnolia ha il motore caldissimo.
Scheda del 10 giugno 2018
di Ugo Marchionne
Di nuove aperture convincenti ve ne sono molte, moltissime. Ben strutturate e congegniate, nel mondo della cucina giapponese però il quadro spesso è diverso, tante progettualità che si arenano in poco tempo. Otoro81 è l’esatto opposto, Otoro 81 è un progetto che nasce dalla passione per la cucina giapponese delle sorelle Luigia Alberta e Fabiana Chiacchio. La cucina è affidata a Diyan Weerapura. Nato in Sri Lanka impara il giapponese al Tokyo world language Academy. Mentre studia in Giappone inizia a lavorare come part-time in alcuni ristoranti di Tokyo. Una volta completato il suo percorso di studi l’amore per la cultura e la cucina giapponese lo portano ad accettare un ruolo a tempo pieno in un ristorante di Tokyo come sushi –chef. Durante questa esperienza in Giappone allarga i suoi orizzonti nel mondo culinario iniziando ad esplorare e sperimentare la cucina europea. Esperienze al Finger’s Garden di Roberto Okabe e all’Armani Nobu di Milano. Una premessa tosta da rispettare…vediamo com’è andato il mio primo percorso da Otoro81.
L’ingresso è uno spioncino sul cuore di una delle vie dello shopping della città, Via Nisco, fulcro della gioielleria al dettaglio e della sartoria napoletana. Otoro81 è un ristorante dal design minimale, ligneo e ricercatissimo, il progetto estetico riprende le ambientazioni e la vibra dei locali di Londra, Milano e Singapore. Illuminazione fotografica sui tavoli e più soffusa in sala. Impatto da manuale.
Servizio giovane e attento. Carta dei vini e degli Champagne da menzione d’onore e cura all’avanguardia del servizio. Sono presenti a disposizione del cliente delle vere e proprie coccole, quali ad esempio gli Oshibori sempre caldi e la possibilità di sbicchierare i vini al Coravin. Il menù non è infinito e la cucina fusion è appena sussurrata. Grande materia prima e la giusta dose di ricerca negli abbinamenti. Sottile il richiamo al feel di Tokyo soprattutto evidenziato dalla sezione di taglio del Sashimi e dei Nigiri. La tartare di Toro, di chiara ispirazione dei grandi nomi meneghini del sushi è inappuntabile, taglio micronizzato ed elegante sensazione palatale. Giusta la marinatura. Il sashimi è delicato e di ottima fattura. Riccio di mare, Gambero Rosso di Mazara, Senaka di Tonno, Toro & Ricciola pescata ad amo.
Accattivante la Tataki di Tonno, Pico de Gallo di Pomodoro in salsa Tacos e Julienne di Carciofo fritto. Un elogio al valore della semplicità, tanta fattura sulla marinatura della Tataki, un unicum per la città di Napoli vedere un Maguro Tataki marinato. Divertente il gioco di freschezza, attributo che descrive puntualmente il piatto e consistenza.
In abbinamento alla prima sequenza, un inaspettatamente delicato Dom Ruinart 2006, eleganza finissima, note di lievito e di fermentazione spinte ma non troppo. Mandorla amara. Attacco schietto e prolungato, lunga freschezza e buona sapidità. Un giovane che si farà. La carta di Otoro81 spazia a piene mani in tutto lo Champagne, da Selosse a Krug passando per le declinazioni del Dom Perignon di cui non vedo l’ora di provare la Vertical Experience presente in carta. 2004,2006,2009 in sequenza. Ottima la carta dei rossi, soprattutto campani, con qualche chicca. Sassicaia e Masseto 2000 su tutte.
I secondi sono spettacolari, dal Black Cod al Maialino passando per un buonissimo filetto di Wagyu Giapponese di cui il maestro Luciano Pignataro, autore della foto ha apprezzato la fragranza e la fattura. Le proteine vengono trattare giustamente con rispetto. La materia prima da catalogo sembra altro da sè. Un maggior coinvolgimento dei produttori forse gioverebbe ancor di più al reperimento della materia.
I Rolls sono ben sviluppati, poche componenti, mai ridondanti. Risentono delle influenze della cucina fusion meneghina, questo è innegabile, ma finalmente sono preparazioni prive di salse mielose, dense e coprenti. Le tartare o i crudi come topping sono lavorati pochissimo. Margini di crescita impressionanti. Unico il tocco del wasabi fresco disponibile per il cliente. In pochi sanno quanto difficile e volatile sia da reperire questo tubero della famiglia del rafano.
I dolci sono affidati a Federico di Persio che si diploma con il massimo dei voti nella scuola di pasticceria di Brescia, CastAlimenti, di Igino Massari, lavora poi per Gino Fabbri a Bologna, poi in Spagna e in Croazia, poi torna a Pescara e apre la sua pasticceria. Ora da Otoro81 il giovane Federico ha composto una linea di dolci di grande impatto estetico e gustativo. La frutta a guscio e la struttura delle creme la fa da padrone, ma la sua linea di post-cena riesce ad essere esteticamente inappuntabile e avveniristica nelle forme. Imperdibili i gelati.
Un’affascinante nuova apertura, gastrofighettismo spinto ma corroborato da una grande sostanza, margini di crescita verticali e imprevedibile. Una posizione tra i Top Players nipponici da conquistare e consolidare. Impattante il primo approccio, promettente la carta e la gioventù dei ragazzi di squadra. La proprietà e la dirigenza hanno fornito al locale e al team tutto ciò che serve per diventare il primo nome in città. Tanta voglia di fare ed un look accattivante. Staremo a vedere quale sarà l’evoluzione di Otoro81, per adesso il campo di casa offre una grande cucina e una solida squadra che non vedo l’ora di raccontare nuovamente.
4 Commenti
I commenti sono chiusi.
Vibe? Seriamente? Non è che serva aver fatto corsi di italiano e di cucina per scrivere di un ristorante, ma almeno un paio d’anni di superiori non guasterebbero.
Gentilissimo,
Mi Dispiace Deluderla Ma Le Superiori Le Ho Completate Con Profitto Al Liceo Classico A.Genovesi Di Napoli Con Il Punteggio di 100 Centesimi. E I Miei inglesismi tra cui Vibe derivano da una Mia Permanenza In Inghilterra di 3 Anni nella quale ho conseguito l’attestato C2 A Cambridge oltre che la mia formazione accademica.
Sinceramente Suo
Ugo Marchionne
Mi sta bene in tale ristorante una carta di vini e champagne altisonanti ma ,e lo dico da parte in causa come sommelier ed una vita nel mondo del vino,anche se può sembrare banale non guasterebbe una buona selezione di sakè.Persnalmente ritengo il “vino “di riso la bevanda più appropriata alla cucina giapponese giapponese che tra l’altro non si caratterizza certo neppure per un’offerta esagerata nel dolce finale.FM.
Ha Perfettamente Ragione.
Al Più Presto Parlerò Dell’Argomento In Un articolo dedicato.
Sinceramente Suo
Ugo Marchionne