Mammaròssa: la grande cucina abruzzese di Franco e Daniela Franciosi e la rivoluzione della bistronomie
Osteria Mammarossa ad Avezzano
Via Garibaldi 386
Tel. 0863 33250
Aperto la sera giovedì, venerdì e sabato, la domenica a pranzo
Chiuso dal lunedì al mercoledì
di Raffaele Mosca
Il ristorante che cerca di cambiare lo storytelling culinario abruzzese, espressione di un fenomeno nazionale che le guide si ostinano a trascurare. E’ quello della nuova bistronomie, rappresentata da insegne che propongono una cucina si ricercata, si internazionale, ma senza fronzoli, clichè o retaggi da nouvelle cuisine. Un modello di ristorazione elevata – ma non elitaria – che sembra aver contagiato anche questa piana nel mezzo dell’appennino, a circa un’ora di macchina dal raccordo anulare, dove Franco e Daniela Franciosi hanno creato qualcosa di difficile da ascrivere alle solite categorie. Una tavola abruzzese nell’anima, ma per niente omologata, dove il territorio è raccontato attraverso le quote, in un concept menu fa forza sulle erbe spontanee, sul vegetale in ogni sua forma, sullo zafferano e sui grani antichi, piuttosto che sulle carni, che continuano a dominare l’immaginario di una parte d’Italia in cui, francamente, la superficie dedicata agli allevamenti di bestiame da macello è molto marginale.
Da Mammarossa ogni piatto restituisce i colori naturali di una terra a tratti incompresa: il verde dei boschi, il giallo del grano, il bianco e il rosso dei fiori di campo che appaiono qua e là nella piana cinta dai monti che ricorda un po’ il Canada e un po’ le Ande ; uno scenario suggestivo che ci accompagna nel viaggio verso questo chalet alle porte di Avezzano, città dove svincolarsi dal solito canovaccio fatto di braci ardenti, arrosticini in coccio e salumi appesi ai muri è meno difficile, perché è un campo quasi neutro, tagliato fuori dai principali itinerari turistici, privato della sua identità architettonica da guerre e terremoti.
L’ambiente è “romitiano” nell’essenzialità quasi nordica degli arredi: una sola sala dove il legno la fa da padrone; una vetrata su di un piccolo cortile alberato, tavoli “a nudo” alla moda scandinava e qualche opera d’arte contemporanea sparsa qua e là. Un contesto moderno, ma non spersonalizzato, che ospita non più di una trentina commensali a pranzo la domenica e a cena tutti i giorni, con un menu fisso di 10 portate a 80 euro (ma se volete mangiare di meno, potete optare per la formula smart, che consiste in quattro portate un po’ più abbandonanti a 60 euro).
Il percorso, che viene aggiornato mensilmente, spazia tra valli ed altopiani, orti e pascoli, partendo con tre bocconi di grandissimo carattere: un carpaccio di manzo speziato in una salsa dai toni acidi rinfrescanti, un cannolo ripieno di coratella al Montepulciano dal sapore verace, senza compromessi; del pane da grani autoctoni con della ricotta che evidenzia da subito un modo assolutamente rivoluzionario di servire i lievitati. Ogni portata, infatti, viene accompagnata da una cialda, un grissino, una fetta, una brioche, che fungono da complemento o da apripista per il piatto seguente. È l’evoluzione successiva di quel ritorno alla centralità del pane nell’esperienza gastronomica promosso da Romito, del quale Franco ha imparato l’arte, per poi declinarla in maniera del tutto personale e forse ancor più visionaria.
Ed è così che una cialda di sesamo affianca e arricchisce “fiume”, ovvero un’insalata dall’orto di famiglia con una salsa bernese di rinforzo e la trota che rinvigorisce solo la texture, passando in secondo piano rispetto alla materia vegetale. Il grissino allo zafferano, invece, dá la terza dimensione con la sua croccantezza alla tagliata di rapa con caprino e senape di selvatica.
Ci si prende una pausa dai carboidrati – e si integrano i tradizionalissimi legumi – con “altopiano”: omaggio alla zona di Navelli, 1400 metri sul mare, terra del famoso zafferano, anche detto “L’Oro d’Abruzzo”. L’estetica è degna di un’ opera d’arte astrattista e la resa in bocca è simile a quella di una fonduta con molti grassi in meno.
Un piatto apparentemente semplice, ma centrato, che precede una pasta memorabile. Ecco, se c’è un difetto nell’impostazione tipica della bistronomie di cui sopra, è proprio la rinuncia al piacere incommensurabile del primo piatto italiano in nome di uno zelo salutista quasi nordico. A questo dogma Franco riesce a contravvenire con un fusillo clamoroso, in cui il vegetale del pesto d’aglio orsino – che non è aglio, ma un’erba spontanea con un sapore molto simile – fa l’amore con la pasta giustamente al dente, appena spolverata di pecorino e caffè che amplificano la persistenza dei sapori.
Cosa si mangia da Mammarossa ad Avezzano
Si prosegue con altri due piatti vegetali che non fanno rimpiangere le proteine animali: radicchio marinato, erborinato, aceto di visciole, con una fetta di pane di Grano Solina bagnata di olio e aceto a richiamare una merenda contadina; poi il pancotto in brodo di capretto con gli “orapi”, spinaci selvatici raccolti ad oltre 1000 metri d’altitudine. Anche qui la carne – o meglio, il sapore della carne – è al servizio dell’elemento vegetale e non il contrario.
Un po’ sotto le aspettative il risotto con stracchinato, estratto d’alloro e fegato di manzo: bene la cottura così come l’intensità dei sapori, ma servirebbe un guizzo acido per rimettere il tutto in equilibrio. Si recupera subito con la prima delle due carni: capocollo di maiale cotto nel fieno, con cipollotto, salsa di soia e verdure. Anche qui la parte vegetale gioca un ruolo fondamentale bilanciare la grassezza di un maialino cotto alla perfezione, insieme all’umami della soia che ci teletrasporta in mondi lontani. Ma si torna subito ai boschi dell’Appenino con l’abbraccio terragno del midollo di vacca alla brace spolverato di tartufo estivo e appena insaporito da un goccio dell’unico ingrediente totalmente alloctono fino a questo momento: la colatura d’alici.
Ultima tappa in vetta con un dessert molto più acido che dolce – latte di mucca cagliato, granita di limone, fragole e rosmarino – e si arriva pieni e soddisfatti al caffè di torrefazione Giamaica.
Come tutti i responsabili del beverage degli indirizzi di questa novelle vague, Daniela ha preso come punto di riferimento la galassia dell’artigianale-naturale, con tanto di omaggio al “guru” Sandro Sangiorgi sulla prima pagina della carta vini. Ma le scelte si rivelano tutt’altro che ideologiche, anzi la proposta è eclettica, ben strutturata, profonda quanto basta. C’è tutto l’Abruzzo “indie”, ma anche Champagne, Borgogna, l’Italia dei grandi vigneron. Noi optiamo per il percorso al calice e facciamo un viaggio quasi tutto abruzzese con giusto un salto in Piemonte per la Barbera spigliata, beverina di Migliavacca. Menzione d’onore per i due rosati di Caprera e di Cato, molto diversi tra loro, ma capaci di mettere in chiaro la versatilità della tipologia sulla cucina vegetale.
La deduzione finale è che qualcosa d’importante sta accadendo nel mondo della ristorazione italiana: è stato inaugurato un capitolo “binostromico” che mette in discussione le divisioni e gli schemi stagni tanto cari alla Rossa e a tutte le altre guide. Mammarossa, come altri ristoranti del filone, sfugge agli stereotipi e dimostra che si può raccontare il territorio senza scadere per forza nel dejavu della trattoria, che si può fare alta cucina senza ricercare il lusso fine a sè stesso, senza diventare schiavi delle distribuzioni che appiattiscono il gusto e privano l’offerta di qualunque legame con il luogo. Ne verrete fuori con circa 100 euro tutto incluso: una cifra più che onesta per un giro per sentieri in “quota” che pochi ristoratori hanno il coraggio d’esplorare.
Via Garibaldi, 388, 67051 Avezzano AQ
Telefono: 0863 33250
21 novembre 2021
di Annamaria Punzo
Franco Franciosi mi accoglie nel suo Abruzzo Appenninico mostrandomi le sofferenze di una terra straordinaria, ferita ma paziente.
Nasce ad Avezzano dove l’identità sembra perduta, ma è rintracciabile dai solchi lasciati dalla transumanza e dalle erbe spontanee, che sostengono le carni buone della pecora e dell’agnello, e dalla nebbia e le sue patate. Cresce inseguendo sogni e idoli, dove mi accompagna per mostrarmene gli aspetti essenziali. Conosciamo Nunzio Marcelli, de La Porta dei Parchi, Lanfranco Centofanti de L’Angolo d’Abruzzo, dove tutto è iniziato. Per poi atterrare a Mammaròssa, dove tutto comincia, o forse riprende da dove la memoria gastronomica si era fermata, oltre un secolo fa.
Perché Franciosi non dimentica, anzi approfondisce e si lascia coinvolgere da questa terra che ama e che vuole salvare: da cosa? Dalla possibilità che nessuno se ne ricordi più. Lo fa soprattutto a Mammaròssa, “la mamma grossa”, la nonna. L’Osteria, uno spazio contemporaneo un luogo della creatività, che assieme a Daniela, sua sorella, porta avanti dal 2012 con profonda attenzione. Ad affiancarli Francesco d’Alessandro, coadiutore di Franco in cucina dove insieme forgiano menu da grandi narrazioni, come raramente se ne vedono e se ne assaggiano.
Il menu di Osteria Mammarossa
La zuppa, di ceci, castagne e fichi secchi, è preannunciata da un piccolo benvenuto. Il protagonista della tavola è il pane, fatto bene, con farine di territorio autoprodotte frutto di ricerca e competenza.
L’amarezza vegetale, un radicchio arrosto con erborinato e aceto di visciole, racconta la vocazione agricola del Fucino e i grandi pascoli appenninici, essenza verde di questi spazi. –
Nella nostra ricerca sul territorio abbiamo notato quanto si tenda a dimenticare l’aspetto vegetale della zona circostante Avezzano mentre invece a Mammaròssa sono tutti gli elementi a concorrere alla preparazione dei piatti del suo menu. Un’eccezione che non sta solo nella presentazione, ma proprio nella scelta di raccontare una geografia dei sapori, in otto portate. E così dalle durezze del radicchio e dal retrogusto acidulo delle visciole, ci si prepara a accogliere la polenta in brodo di capretto, premiato dai broccoletti dell’orto di prossimità (un orto vero e non di “copertina”).
Pizz’e foje viene servito con il brodo che si versa nel piatto direttamente a tavola. Un gesto che richiama l’attenzione alle tradizioni di un tempo, quando si voleva ammorbidire la polenta.
Il Raviolo è una sfoglia ripiena di ricotta e di pomodoro mezzotempo. Il sale quasi non si percepisce e non lo si pretende. Il bilancio del piatto è paritario, la dolcezza del pomodoro incontra la sapidità della ricotta. La sfoglia, perfettamente distesa, racchiude e accoglie la magia.
Il risotto d’autunno è una passeggiata in montagna con Carnaroli, polvere di cipolla e caciocavallo di Scanno. Lo sguardo della lumaca offre un continuum alla prima immersione tra le selve, con funghi, hummus di mandorle e erbe di bosco.
E se non fosse bastato il primo cammino, il sottobosco si esprime perfettamente con il brodo di bosco, dragoncello e spezie. Una tazza elegante accoglie un liquido che riscalda il corpo, mentre si riflette silenziosamente. Ma la convivialità è tutta a tavola, tra le bottiglie naturali proposte da Daniela, e il Pascolo: un filetto di Sopravvisana alla brace, erbe di montagna, spezie del deserto e patate. Il ristoro è compiuto, la mente è serena, lo spirito e l’intestino si incontrano nella serenità del dessert, una cagliatella di giornata con latte di mucca, sambuco, barbabietola e cicoria.
L’Osteria contemporanea Mammaròssa è ad Avezzano, in provincia dell’Aquila. Poco distante dalla grande ‘piazza’ romana e dalla estrosa Napoli.
I commensali sono diversi, da tutta Italia perchè in auto si raggiunge comodamente. La creatività di Franco Franciosi si palesa anche nei dolci e nella sua proposta più provocatoria.
Il panettone che, come il pane, diventa l’anima della tavola, racchiude il rituale del pasto e la narrazione di una terra che merita personaggi come questi, in grado di raccontare e di proporre nuove visioni, di passate geografie dimenticate.
Osteria Mammarossa ad Avezzano
Via Garibaldi 386
Tel. 0863 33250
Aperto la sera giovedì, venerdì e sabato, la domenica a pranzo
Chiuso dal lunedì al mercoledì
Reporto del 10 luglio 2015
Non ci sono molti motivi per andare ad Avezzano, ma sicuramente se siete in Abruzzo e siete diretti a Roma o viceversa a Pescara merita una sosta, questo moderno ristorante a pochi km dall’uscita autostradale. Il territorio è quello marsicano ……
Visto lo stile moderno è un ristorante che poteva trovarsi in una grande città europea, ma siamo nella periferia di Avezzano, ed è proprio da qui che Franco e Daniela lanciano la loro sfida a un territorio povero di una ristorazione di qualità.
Entrare sembra di oltrepassare una porta che ti catapulta in un’altra dimensione, ma anche la gente è diversa; eleganza e stile contraddistinguono ognuno di loro, quasi a sentirmi a disagio, con jeans e scarpe da running: tornavamo da una giornata fitta di degustazioni senza avere il tempo di risistemarsi.
A gestire con maestria la cucina è Franco: nasce come grafico designer, ma scopre la passione per la cucina e decide di frequentare corsi, diventando uno specialista della panificazione con lievito madre: oggi è spesso coinvolto nella scuola di cucina di Niko Romito a Castel di Sangro.
Mentre Daniela si occupa della sala e scopre la passione per il vino, frequentando a sua volta corsi e incontri sul vino con santoni romani. La carta è in continua crescita e sempre con un taglio territoriale.
L’aperitivo passa dalla cucina con un panino di pizza bianca con rosmarino, farcita di acciughe del Mar Cantabrico con mozzarella di bufala fragrante e ricca di sapore, ma non pesante come tante altre: non vi commento il gusto ma basterà guardare per capire.
A tavola arriva subito un cestino di pane da favola, su cui ci catapultammo vista la bontà e la freschezza evidentissima: “a questo non posso dire di no ,e assaggia questo”, e così continuammo per tutta la cena.
Ad accompagnare tutta la cena i vini in anfora di Francesco Cirelli, di cui ve ne ho già parlato: il trebbiano accompagnava egregiamente questo entrée: cocktail di parmigiana, salsa di pomodori datterini arrosto, mozzarella di bufala e spuma di parmigiano.
E poi il risotto Acquerello con caprino, maggiorana e limone, che apre una successione di primi a cui non si poteva rinunciare. I profumi del riso si legavano bene con la piacevolezza gustativa tanto da creare continuità gusto-olfattiva molto persistente.
Ma, il piatto che più mi ha stupito piacevolmente è stato lo spaghettone Verrigni con aglio orsino e gambero crudo: orsino perché sembra che sia molto gradito dagli orsi quando escono dal letargo invernale. Comunque è un piatto da provare, molto delicato, può sembrare semplice ma è molto equilibrato, con profumi sfumati di aglio quasi ad assomigliare all’erba cipollina –il colore verde è dato dall’aglio in emulsione; un piatto che riassume la cucina di Franco, che quando resta in queste note è vincente, ma scivola nell’ordinario quando vuole stupire.
Il rigatone all’amatriciana con il pecorino di Scanno e la cipolla caramellata viene esaltato dal peperone “crusco”, che gli dà colore e morbidezza, stemperando la nota grassa del guanciale.
Semplicità e sobrietà sia nei colori che al gusto per questa lasagnetta, dove l’ingrediente principale è il pomodoro, dolce e succulento, che riesce a tenere assieme senza mortificarli, la sfoglia fragrante integrale e lo scorfano.
Il brodetto di pesce, sembrava un “pesce fuor d’acqua”: ma qui nell’Abruzzo marsicano, per chi mangia sempre agnello e arrosticini, ci stava bene ed era anche di ottima fattura. I pesci nel barattolo mantenevano gusto e sapidità, azzeccato la scelta di non arricchire con altri ingredienti, abitudine abbastanza diffusa in questa regione.
Il collo di maiale croccante, con senape e cicorielle ci è servito quasi come sorbetto, tanto era delicato ma utile con la sua senape a rinvigorire un palato stanco e assuefatto.
Ma è nei dessert che ritorna la vena creativa dello chef, ma visti i precedenti, ci accontentiamo di una ciliegia con gelato alla vaniglia, croccante di mandorle e cioccolato di Guanaja 70%.
Da evidenziare la grande attenzione per la cucina vegetariana e senza glutine, ben evidenziati i piatti legati a questo stile di alimentazione.
Intelligente scelta di menu degustazione dal più tipico abruzzese ad altri molto creativi; prezzi da 35 a 65 euro. Prezzo medio alla carta da 35 a 50 euro
Mammaròssa
Osteria contemporanea
Via Garibaldi 388
Avezzano (AQ)
Tel. 0863.33250 – 347.1167474
Aperto sempre
Chiuso la domenica
Ferie variabili
Carte di credito tutte
Un commento
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Grazie a Franco e Luciano per le parole spese sul nostro superspaghettone( non è megalomania è il nome del formato?…) quando premiate il nostro lavoro vi siamo sinceramente grati!