Oscar Farinetti, l’ottimismo e “LUI”. Appunti sulla presentazione del Barolo del Comune di Serralunga d’Alba 2021
di Giulia Gavagnin
“Possiamo lamentarci perché le rose hanno le spine, oppure gioire perché le spine hanno le rose” di Alphonse Karr è una delle frasi più citate sull’Ottimismo. Sentendo parlare Oscar Farinetti proprio dell’Ottimismo, non abbiamo dubbi ch’egli direbbe che senza fillossera non ci sarebbe stato il primo rinascimento del vino e senza le tante crisi che hanno colpito mondo della vite, oggi non ci sarebbe il movimento coniato dal’imprenditore piemontese: il “Rinascimento Verde”.
Qualche settimana fa, Farinetti ha presentato l’annata 2021 del Barolo Fontanafredda del comune di Serralunga d’Alba nei colti spazi del Circolo dei Lettori di Torino; a seguire pranzo con degustazione guidata dal Master of Wine Gabriele Gorelli nientemeno che Dal Cambio. Tutto torna, giacché Fontanafredda nasce nel 1858 dalla storia d’amore tra Vittorio Emanuele II e Rosa Vercellana e dove vuoi fare una degustazione se non Dal Cambio di cavouriana memoria e, soprattutto, dare un segnale forte, fortissimo: il vino è cultura, il vino è sentimento, soprattutto se la storia dell’azienda è sì tanto blasonata.
Dell’annata 2021 e i suoi antecedenti su queste pagine ha già dato conto Chiara Giorleo.
Del “sentimento” sotteso a codesta annata del Barolo del Comune di Serralunga d’Alba, muscolare rive droit della produzione nebbiolista, vale la pena approfondire qualche aspetto per un approccio diverso, più maturo ed umanista ai grandi vini italiani.
Tutto nasce nel 2021, dice Farinetti, durante l’assaggio dell’annata 2018, che sarebbe stata messa in commercio l’anno successivo. Compresero che –finalmente- dopo undici vendemmie, era stato realizzato il vino identitario di quelle colline, fresco ma anche idoneo all’invecchiamento.
Quello “step” decisivo andava celebrato associando il millesimo con il sentimento che l’aveva contraddistinto e il progetto complessivo sarebbe stato chiamato Rinascimento Verde. Dunque, Oscar Farinetti un po’ tra un Lorenzo de’Medici piemontese e l’illuminato Adriano Olivetti che piemontese lo era per davvero.
Così, il 2018 fu “speranza” perché sino all’ultimo si auspicò che il risultato finale fosse il medesimo del primo assaggio; il 2019 “fiducia” perché confidarono che da un’infausta grandinata si sarebbero colti preziosi frutti; nel 2020 del Covid non si poteva che essere coraggiosi, perché solo con tanto “coraggio” si sarebbe usciti dalla peggior crisi degli ultimi cinquant’anni. E, infine, da tutti questi sentimenti germina l’”ottimismo”, perché se ce l’hai fatta a resistere e a crescere non puoi non dirti ottimista.
Ecco, secondo le parole dello stesso Farinetti: “l’ottimismo non è solo una postura nei confronti della vita, è un vero e proprio sentimento, nasce dal cuore e segna i passi successivi della filiera che timbra il nostro modo di essere. Contraddistingue pensieri, parole, azioni. E, fidatevi, migliora di gran lunga sia la nostra vita che di chi ci sta intorno”.
Per esemplificare con parole dotte, Farinetti quest’anno ha scelto Chiara Gamberale a trasfigurare il significato dell’ottimismo attraverso un racconto.
Libero si trova dinanzi una donna che lo ammalia e le racconta la sua storia. Di famiglia povera, di sorella non del tutto in sé, padre di tre con due relazioni finite tra abbandoni, malattie, rinunce e fatiche.
Tuttavia, lo stesso racconto contempla l’altro lato della medaglia: la famiglia non abbiente l’ha abituato alla resilienza, la sorella non del tutto in sé trova la sua strada, le relazioni finite l’hanno piegato ma non spezzato e un futuro migliore è sempre là a venire se si è imparato dalle esperienze trascorse, che non necessariamente sono errori colpevoli.
Il tutto si traduce, dal punto di vista visivo, nelle illustrazioni dell’alessandrino Riccardo Guasco, che ha disegnato le etichette del Barolo e le brochure con la maschera, che contiene la metafora della doppia visione del mondo, dove convivono ottimismo e malinconia, felicità e tristezza.
Dolore e sofferenza che possono essere superati solo grazie alla forza interiore corroborata dall’ottimismo, per approdare a una superiore, sorridente serenità.
Dunque, chi sta meglio? Chi si lascia abbattere e perisce o chi vede dal fallimento l’occasione per risorgere dalle proprie ceneri come l’Araba Fenice?
Vale sempre la pena d’essere ottimisti, e vedere il bicchiere mezzo pieno.
A proposito, prende posizione Farinetti sull’allarme sociale dettato da più di un bicchiere pieno, vedi Codice della Strada.
Dice che bisogna bere meno, ma bere molto bene, come due bicchieri di Barolo che sono la giusta misura per intraprendere la strada dell’Ottimismo.
Anche perché, dice sempre l’imprenditore, non c’è bevanda più buona e ricca di anima come il vino.
Su questo, direi che siamo tutti d’accordo.
Curiosamente, proprio perché tra dazi e limitazioni varie la bufera sul vino non si sta placando, in questi giorni, sul punto s’è schierato anche un altro grande della viticoltura piemontese, uno per cui Farinetti ha una particolare deferenza. E’ Angelo Gaja.
Nel suo ultimo libro “Hai mangiato?”, Farinetti lo menziona in un capitolo connotato da amore e un pizzico d’odio insieme, e vi allude chiamandolo semplicemente “LUI”.
C’è deferenza, appunto, ma nella diversità sono nella stessa lunghezza d’onda.
Infatti, intervistato da Salvatore Merlo su “Il Foglio” del 24 marzo, il re del Barbaresco dice: “il vino non è solo alcol. E’ il piacere di consumarlo a tavola con gli amici, è la convivialità. E’ una bevanda terribile, nel senso di straordinaria. Quali altre bevande nel mondo occidentale si accompagnano al cibo, alla tavola? Non c’è niente che faccia competizione al vino. Il vino ha un contenuto che affonda le radici nella storia, nell’umanità, nel paesaggio, nella religione, nella tradizione: una ricchezza incredibile”.
Sentimenti, ottimismo, cultura.
Great minds think alike.
Noi siamo con Farinetti e con Gaja.
Il vino ne uscirà vincitore, sempre. Se sapremo farlo capire al mondo intero.