Così è nata la Falanghina. Parla Antonio Razzano, ex braccio destro di Mustilli e ultimo testimone
di Pasquale Carlo
Quali le origini della Falanghina?
«Il nome ci piaceva. E ci ha spronato ad andare avanti». Quel nome è Falanghina e a parlare è Antonio Razzano, novant’anni ben portati. Novant’anni di esperienza e lucidità.
È affascinante il racconto che ho avuto la fortuna di ascoltare, insieme a tanti, nel corso della degustazione ‘I volti della Falanghina/Cinque Comuni – Cinque Suoli – Cinque Vini – Cinque Storie’ che ho condotto insieme a Mariagrazia de Luca nell’ambito della manifestazione ‘Storie di Falanghina – La città europea del vino nella terra natale della falanghina’ organizzata dal Gal Taburno e della Città di Sant’Agata dei Goti. Con Razzano (ospite in rappresentanza di Sant’Agata dei Goti) c’erano Almerico Tommasiello (Solopaca), Sandro Tacinelli (Guardia Sanframondi), Angelo Zotti (Torrecuso) e Mario Scetta (Castelvenere).
È stata una serata estremamente piacevole ed interessante, con l’emozione che ha preso il sopravvento quando è stato proprio Razzano a presentare l’etichetta ‘Falanghina del Sannio Sant’Agata dei Goti Vigna Segreta 2015’ di Mustilli. Ci ha coinvolti in una narrazione fatta di ricordi, che ci ha trascinati all’indietro nel tempo, fino alla metà degli anni ’70.
«Ricordo bene la storia di come si arrivò a produrre la prima Falanghina in purezza. Lo ricordo bene perché ero il braccio dell’ingegnere Leonardo Mustilli. Lui la mente visionaria e io il braccio. Le vinificazioni delle uve falanghina – ricorda il signor Antonio – iniziarono con la vendemmia del 1975. I risultati furono catastrofici (in realtà ha usato il termine “una schifezza”). Ma non ci fermammo, perché l’ingegnere scorgeva in quel vino qualcosa di piacevole. Le acidità erano altissime, ma si pensava che quelle uve potessero produrre qualcosa di diverso, potessero trovare un destino alternativo rispetto alla strada dell’acetificazione. E poi quel nome piaceva tantissimo. Un nome che avrebbe dato l’opportunità di differenziarci rispetto ai Trebbiano, Malvasia di Candia e alle altre uve che dominavano incontrastate in quel periodo».
Si partì dagli accorgimenti in vigna. Autentico segno di venerazione che la mente e il braccio di questa avventura manifestarono per questa pianta. Ennesima dimostrazione che se è vero che i fattori che influenzano la coltivazione di una vigna sono certamente legati al territorio e al suo clima, è pur necessario il sapiente intervento della mano dell’uomo per riuscire ad armonizzare tutte queste componenti.
«Modificammo il sistema di potatura delle viti e già l’anno successivo le cose andarono meglio. L’ingegnere iniziò a far provare i frutti delle sue vinificazioni ad esperti e studiosi del settore. Arrivarono i primi incoraggiamenti. Ma non fu solo per questo che continuammo ad andare avanti. Credo che la convinzione che mostrava l’ingegnere non lo avrebbe fatto desistere, anche se questi primi incoraggiamenti non fossero arrivati. Anno dopo anno il prodotto migliorò fino ad arrivare alla vendemmia del 1979, quando vennero imbottigliate le prime famose tremila bottiglie».
Questa testimonianza è solo l’ulteriore conferma di quanto Leonardo Mustilli sia stato un autentico visionario. Un visionario a cui il Sannio del vino deve tanto. Un leader, ma mai un capo, capace di aggregare intorno a quella visione il fedele Antonio Razzano, per raggiungere un obiettivo che oggi è diventato patrimonio di tutti.
Le foto della serata sono di Gennaro Sebastianelli
Origini Falanghina Mustilli Sannio