Nuwave Aretina – innovare è un duro lavoro: qualcosa di nuovo si sta muovendo nel territorio vitivinicolo di Arezzo
di Fabio Panci
Finalmente a distanza di tempo sono riuscito a mettere insieme tutte gli spunti e le riflessioni maturate a seguito della bella serata dal titolo “Nuwave Aretina –Innovare è un duro lavoro ”, svoltasi alcune settimane orsono presso lo Sporting Club Restaurant di Arezzo con le creazioni culinarie dello Chef Stefano Baglioni e dove ho avuto l’onere ed il piacere di partecipare nel ruolo di ambasciatore (ringrazio ancora oggi le tre aziende per la fiducia) del neonato movimento enoico aretino.
Come dicevo mi ci è voluto un po’ a scrivere questo pezzo, in quanto non si trattava della classica cena degustazione con abbinamento cibo-vino, ma di qualcosa di più. Una sorta di esperimento, laboratorio, officina di idee promosso da tre giovani aziende del territorio aretino: in rigoroso ordine alfabetico Ornina, Pomaio e Tunia.
Cosa ha unito i giovani vignaioli della NuWave può riassumersi, a mio modesto parere, in una sola parola: vision. Proprio così una visione comune di come “fare vino”, rispettando in maniera assoluta tre fattori fondamentali quali terra, vite, uomo. Un triangolo equilatero dove ognuno fa la sua parte essendo propedeutico all’altro, senza necessità di prevalere ma con l’esigenza di completare ciò che è stato fatto dal predecessore.
Evitando di dilungarmi troppo in pensieri “poetici” vengo alla “prosa” della serata con un menù creato per l’occasione con alcuni abbinamenti estremi, forse anche azzardati, ma che nella summa finale hanno reso il tutto davvero superlativo, un’esplosione di sensazioni visive, olfattive e gustative.
Come antipasto siamo partiti forte con un coniglio in tempura servito su un fresco gazpacho , in abbinamento al Rosantico 2014 azienda Pomaio. La delicatezza della carne, la “non invasività” della leggerissima pastella, l’aromaticità data dalle verdure componenti il gazpacho hanno fornito un assist perfetto per il primo vino in degustazione. Rosantico 2014 (sangiovese 100% con breve macerazione sulle bucce provenienti dal vigneto cru dell’azienda Pomaio, situato a quasi 500 m di altitudine) ha messo nel bicchiere i suoi profumi molto fini con evidenti note minerali, una buona struttura ed una bellissima scia sapida finale perfetta per ripulire la bocca.
Poi siamo passati al primo piatto con un abbinamento davvero magistrale. Tagliolini di pasta all’uovo con pesto di frutta secca e listarelle di prosciutto toscano dop, in abbinamento al Chiarofiore 2012 azienda Tunia. L’estrema varietà degli ingredienti, il loro imprinting deciso al piatto, potevano mettere in difficoltà il vino che in realtà ha retto benissimo il confronto. Il Chiarofiore (70% trebbiano, 30% vermentino, frutto di ben 4 vendemmie diverse di trebbiano, con una lunghissima permanenza sulle fecce fini, prima del riposo finale in bottiglia) ha spiazzato tutti con una parte olfattiva giocata su note floreali ed eteree, grande struttura, perfetto mix di sapidità-freschezza e finale su noti morbide di leggera dolcezza. Un equilibrio piatto-vino sorprendente, al limite della perfezione.
Infine la degna conclusione della serata con la pluma di Pata Negra confit su crema di fagioli borlotti, in abbinamento all’Ornina 2011 dell’azienda Ornina. Il particolare taglio ed il metodo di cottura, la grande aromaticità e la morbidezza della carne, tagliabile anche senza il coltello d’ordinanza, hanno trovato il giusto contraltare nel vino. Il carattere arcigno del Sangiovese (intorno all’80%) insieme alle doti di bevibilità apportate dalla Malvasia nera (per il restante 20%), la barrique (1 anno di passaggio) ormai completamente metabolizzata ed il lungo affinamento in bottiglia, ci hanno fatto degustare un’Ornina in forma perfetta, al massimo del suo potenziale.
Cosa aggiungere di più se non il fare i complimenti a tutti gli attori della serata, vignaioli, chef e naturalmente i commensali che si sono lasciati guidare dal sottoscritto in un viaggio affascinante, tra vitigni autoctoni, rispetto del territorio, amore per il proprio lavoro, sperando di aver completato solo una prima tappa di un lungo percorso.