Napoli, pizzeria Ciro a Santa Brigida e la tradizione dei Pace dal 1850
di Monica Piscitelli
Esistono a Napoli, tra gli esercizi della ristorazione, nomi che ricorrono. Ciro è per il popolo napoletano come Giuseppe, Gennaro, Antonio, Luciano: un nome comune e anche piuttosto datato. Ma c’è Ciro e Ciro e Luciano e Luciano. Ci sono “Ciro” della ristorazione che brillano in città da molti decenni, al Borgo Marinari, a Mergellina, e cosi’ via, e che sono diventati sinonimo di buona cucina. Dire “Ciro”, a un napoletano, significa parlargli di spaghetti a vongole, almeno quanto “Luciano” di zuppa di cozze. Ma Ciro a Santa Brigida, il ristorante pizzeria, è stato l’iniziatore della sequela dei “Ciro”.
Il suo successo negli anni Cinquanta ha suggerito a chi dovesse inventarsi un nome (oggi, chissà, sarebbe tristemente Donald!) , in città, di pescare un Ciro cui attribuire la mano d’oro ai fornelli. La famiglia Pace, oggi rappresentata dal signor Antonio, è una delle grandi dinastie della pizza napoletana, ricordata nei pochi testi che trattano la storia di questa preparazione (tra questi, l’eccellente lavoro di Antonio Mattozzi edito da Slow Food).
Già nel 1850, Raffaele Pace con la sua licenza di “Laboratorio” faceva, a Piazza San Gaetano, le pizze che, secondo il concetto stesso di questo tipo di esercizio, non erano vendute al pubblico, ma ai pizzaioli di strada che ne curavano la vendita in tutta la città. Solo alcuni decenni dopo sarebbero stati messi, nei piccoli locali di pizzeria che si diffusero nei pressi delle cantine per poter usufruire delle bevande alcoliche vietate dalla loro licenza, alcuni tavoli e sedie per il consumo della pizza. Raffaele, con i fratelli, si trasferì poi a Santa Teresa degli Scalzi, e poi ancora a Via Foria.
Ai primi del ‘900, il locale di Carmine Pace diventò, nei pressi di Piazza Cavour, sinonimo di pizza, tanto che in città lo chiamano colloquialmente “Carminiello a’ Partenope”, dal nome del celebre teatro nel quel si sono esibite tutte le grandi stelle della rivista napoletana. “Totò, che ho avuto occasione di conoscere personalmente – racconta Antonio Pace, straordinario personaggio fondatore e anima dell’Associazione Verace Pizza Napoletana – una volta mi disse ‘devo ancora a tuo nonno alcuni soldi per la pizza. Quando non ero ancora Principe (ndr. con questo soprannome è noto Totò) alcune volte mandavo la maschera a prendere per me la pizza alla vostra pizzeria e nessuno ne ha mai reclamato il pagamento’”.
Nel 1932, a seguito del profondo lavoro di bonifica che interessò la zona del Corso Umberto, i Pace decisero di lasciare il centro storico. La moglie di Carmine, Rosa Cuomo, colei che teneva le file dell’amministrazione del locale, ebbe l’intuizione di puntare su Via Toledo e così, in breve, si realizzò il trasloco a Via Santa Brigida, all’epoca unico asse viario di una certa rilevanza a collegare la grande strada voluta dal Vicerè spagnolo, al mare. Avviata l’attività di trattoria, alcuni anni dopo, subito dopo la seconda guerra mondiale, il locale divenne Ristorante Pizzeria.
In una città che, uscita dal conflitto mondiale, aveva tutta la voglia di guardare al futuro e ricostruire spazi di vivibilità e benessere fino a quel momento compressi, la scelta di collocarsi vicino a via Toledo, alla Galleria Umberto, al Teatro S. Carlo, al porto, al Palazzo S. Giacomo e a Piazza Plebiscito si dimostrò vincente. Il locale di Don Carmine con i figli Ciro (che come primogenito si vide dedicato il nome del locale) Vincenzo e Nunzia, non stentò a decollare.
Una vecchia cartolina in bianco e nero, degli anni Cinquanta, ritrae una lunga fila di auto d’epoca che staziona sotto le finestre del locale. L’alta borghesia spendacciona del tempo che cominciò a frequentarlo sembrava tutta bramare per sedersi ad uno dei tavolini dell’elegante locale. In 80 anni circa di lavoro hanno seduto ai suoi tavoli, generazioni di napoletani ma anche nomi noti dell’arte e della cultura internazionali: Marconi, Toscanini, D’Annunzio, Pirandello, Tebaldi. De Filippo. Gassman, De Curtis, Loren e cosi’ via. Affissa alle pareti del locale si trova il ricordo di una delle compagnie più insolite e incredibilmente assortite di clienti che si sia mai vista in città. Scrivono una cartolina proveniente da Milano datata 1952, a Vincenzo Pace, infatti, con un caloroso “ti ricordiamo sempre”, addirittura che Re Faruk, Ingrid Bergman, Josephin Baker e Greta Garbo.
Ma questa è solo una delle storie che Antonio Pace può raccontare ai suoi ospiti con un pizzico di nostalgia per il grandioso passato della città. I racconti più interessanti riguardano il mondo della pizza del quale è un assoluto protagonista, un personaggio di raro carisma.
Nel 1984, intorno alla figura del padre Vincenzo, fu proprio lui (trentacinquenne) a mettere insieme 17 pizzaioli recalcitranti, tra i più importanti della città, per dar vita alla Associazione che oggi presiede e che fu la prima a mettere nero su bianco, non senza le prevedibili difficoltà e resistenze, il primo documento che statuiva le regole per la realizzazione di una vera pizza napoletana. Entrato definitivamente a collaborare con il padre nel 1964, pur non essendo un pizzaiolo nel senso stretto del termine, ha sempre sostenuto con vigore l’importanza di essere un ristoratore con la R maiuscola. Il che significa, per lui, conoscere meglio e di più dei propri collaboratori i segreti della cucina e della pizza. Ma esiste un segreto nella pizza? “E’ tutto nel disco di pasta, semplicemente” risponde Antonio Pace che continua il suo discorso appassionato dicendo che “l’essenza della pizza napoletana non cambia per il sol fatto di aggiungerci questo o quel ingrediente purchè le variazioni rispettino le regole della nostra alta tradizione gastronomica”. Ma come è la vera pizza napoletana, secondo Antonio Pace?
“Dicevano i pizzaioli di un tempo ‘fine di pasta’, sottile al centro. Ovviamente sarà racchiusa in un cornicione morbido e alto” risponde. Se credete che la pizza non meriti dignità pari all’alta cucina, fate due chiacchiere con Antonio Pace, “A volte – mi dice – mi chiedono, entrando nel locale, dove possono accomodarsi per consumare una pizza, come se quasi questa meritasse uno spazio di serie B. Io allora rispondo ‘ovunque vogliate’. Per noi la pizza è uno dei piatti più solenni della nostra tradizione culinaria”.
Ma torniamo al locale. Ne ha fatta di strada Ciro a Santa Brigida da quel lontano 1932. Oggi conta 180 coperti ed è affidato all’ospitalità dei Pace, i fratelli Carmine e Antonio, appunto, con il cugino Lino Stendardo. Mentre è già pronta la nuova generazione, tra cui la bella Fortuna, figlia di Antonio. Nella incantevole veranda con vista su Via Santa Brigida, dalla quale potrete idealmente toccare i torrioni del Maschio Angioino, o all’interno delle sale, distribuite tra il primo e il secondo piano, potrete apprezzare la pizza del locale, frutto della “concezione Pace” di questo alimento: luculliana.
Regina delle regine, qui, è la “Pizza D’Oro” quella che altri hanno chiamata “Doc”, “Extra”, ovvero la pizza con la Mozzarella di Bufala. “Se chiedete a un pizzaiolo, lui, la sera, prima di smontare quale pizza mangia, vi risponderà ‘quella con la Mozzarella di Bufala’. Non quella con il Fiodilatte. Per noi questa è il cavallo di battaglia” afferma Pace. La carta delle pizze rispetta questa idea: la pizza napoletana è quella con la Mozzarella di Bufala. Troverete, dunque, da un canto, le Pizze d’Oro arricchite con rucola, funghi, Parmigiano a scaglie, pomodorini e in altre varianti e, dall’altro, le Pizze Margherita, con il Fiordilatte, con una serie di ingredienti. Lo stesso dicasi per le Marinara, che, Antonio Pace ricorda, in passato, come tutte le altre, non aveva un nome proprio e la si chiamava “olio e pomodoro”. Tra le varianti di questa, profumata con l’aglio, quelle con i frutti di mare e i pesciolini all’occorrenza. “Sulla Margherita mi rifiuto di metterceli. Occorre rispettare l’armonia degli ingredienti tra loro” conclude Pace. Pizza e birra (servizio incluso) 15 euro mediamente. Al ristorante, nel quale trionfano i piatti della tradizione, quelli a base di pesce e che meritoriamente conserva uno spazio per le zuppe, un menù degustazione è proposto a 30 euro, vini esclusi. Alla carta si mangia con 45 euro, sempre vini esclusi.
Ristorante Pizzeria Ciro a Santa Brigida
via Santa Brigida 73 I – 80132 Napoli
Tel. 081.5524072
www.ciroasantabrigida.it
10 Commenti
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Uno splendido passato !
Sai Monica non ho mai abbandonato la speranza che Big Luc potesse veramente realizzare, fatti i debiti scogniuri, un Pizza Day con tutte queste risorse che abbiamo tra Napoli e provincia.
Caro Tommaso, ho parlato con Antonio Pace. Una grande festa: un tavolo che arrivi fino a piazza Plebiscito. Si mangia in strada. la grande vera festa mondiale della pizza. Lasciamo il mondo a bocca aperta, ci divertiamo e tiriamo fuori tutte le endorfine che abbiamo noi napoletani. Ci devono dare solo il suolo pubblico. Altro che notte bianca! E Piedigrotta!
Va bene Monica, il tuo entusiasmo mi coinvolge: magari tra quindici giorni tutti sotto la galleria Umberto?
Magari. Con i pizzaioli. Tu non mi credi io a Pace glie lo detto davvero: questa si che è il grande evento della città. Io dico che si può fare. In piazza in alcune città visto che veramente non sanno che propore se ne escono con i momenti di relax e terapia collettiva. Esempio: cuscinate e yoga in piazza. E noi che abbiamo nella pizza il piu’ grande massaggio dell’anima, universalmente riconosciuto come tale, che siamo la patria di una preparazione che tutti conoscono, non possiamo prganizzare la più grande festa della pizza del Mondo? Si! sarebbe il pienone negli hotel. Poi ci vorrebbero tutti i cavolo di artisti a suonare che abbiamo e che non sanno dove esibirsi. Sogno di vederli tutti in starda a suonare come acacde a Perugia.Rimettiamo in circolo la vera gioia napoletana che non si ancora spenta.
Sarebbe fantastico. Prima però togliamola “monnezza”
Tommà, ogni giorno a Napoli è Pizza Day:-)
Il number one della Verace Pizza Napoletana!!!
bisogna risvegliare la memoria del gusto delle giovani generazioni a NAPOLI e questo è sicuramente uno dei luoghi piu’ adatti a farlo:)
Il ristorante preferito del grande Alberto Giovannini, Direttore del Roma