Napoli. Pizzeria Cafasso: a Fuorigrotta dal 1953
di Monica Piscitelli
La collocazione spazio – temporale
Fuorigrotta è la porta per i Campi ardenti. Il quartiere deve il suo nome alla sua posizione “al di fuori della grotta”, ovvero in quella zona che anticamente era di collegamento, attraverso gallerie (la attuale Quattro Giornate è del 1940) tra Neapolis e l’antica Puteoli.
Quando quest’ultima, già alla fine del II secolo a.C, divenne il più importante scalo commerciale del Mediterraneo occidentale, si rese necessario realizzare un collegamento stradale con la “città nuova”. Si aprì allora la cosiddetta via per colles, che attraversandola, sottrasse all’isolamento la zona di “Fuorigrotta” poi definitivamente divenuta via di passaggio con il traforo della collina di Posillipo chiamato Crypta Neapolitana.
I documenti e le raffigurazioni a tutti i primi del Novecento, la descrivono come un’ampia e malsana zona di campagna. Francesco Alvino (1845) racconta che “il villaggio di Fuorigrotta (…) è tutto occupato dal monte di Posillipo, che per molte ore del giorno gli toglie la benefica luce del sole, perciò è tetro ed umido. Viene abitato da circa 2300 persone e quasi tutte addette all’agricoltura; il suo territorio produce grano, frutta e mediocre vino (…). Recente è la fondazione di questo villaggio, mentre in un’antica pergamena citata dal Chiarito, sotto Costantino si ha che in Fuorigrotta erano paludi e terre selvagge (…). Come pure in due carte citate da Giustiniani, sotto Carlo di Durazzo, chiamavasi luogo e non ancora abitato. Però sorgeva a villaggio già a’ tempi del Capaccio ed egli lo descrive d’aere nociva ed umida. Infatti anche il Mormile nella descrizione di Napoli e Pozzuoli dice che tutto il villaggio e le campagne erano piene di umidi vapori e lo rendevano inabitabile, ma ciò ai suoi tempi già cominciava a svanire per la diligente cultura”.
Il quartiere crebbe e assunse il suo aspetto attuale in epoca fascista, con la creazione del Viale Augusto e della Mostra d’Oltremare nel 1940. Alla luce di quest’ultima, destinata a gran centro esposizioni, il vecchio quartiere fu sventrato: furono abbattute vecchie abitazioni, e con esse anche la storica vecchia Chiesa di S. Vitale che custodiva le spoglie di Giacomo Leopardi poi traslate al Parco Virgiliano.
Il quartiere oggi e la Pizzeria Cafasso
Fuorigrotta si presenta come un quartiere moderno, un quartiere che solo dagli anni Novanta in poi si è guadagnato una sua dignità accogliendo il ceto medio della città, passaggio che ne ha fatto un’area ambita come il Vomero, pur non avendone lo smalto.
Solo un appassionato del genere, può cogliere il pregio dei pochi elementi architettonici degni di nota, per lo più risalenti al secolo scorso: le stazioni della ferrovia Cumana costruite dall’architetto Fradiano Frediani intorno al 1939; l’edificio della Facoltà di ingegneria del 1955, una serie di case popolari, lo stadio San Paolo inaugurato nel 1959 che deve il suo nome al fatto che si racconta che San Paolo raggiunse l’Italia attraccando a Fuorigrotta.
Proprio a un passo da questo quadrilatero, nel 1953, Giuseppe Capasso, dopo aver lavorato lunghi anni nella pizzeria dei genitori, fonda la pizzeria Capasso (oggi Cafasso) con la moglie Elena Gonzales. Me ne racconta la storia il figlio Ugo che con i fratelli Antonio e Rosario (questi scomparso quattro anni fa), ha portato avanti il locale fino ai giorni nostri. Tra le prime cose che mi mostra, un ritaglio di giornale nel quale la pizzeria di famiglia è descritta come “un luogo insolito”. Nata come Pizzeria “Capasso”, a pochi anni dalla sua apertura, il locale cambia nome diventando “Cafasso”. Ma a cambiare nome non è solo la pizzeria, ma la famiglia stessa. La causa, un errore burocratico di trascrizione del cognome scoperto in occasione della rivendicazione della pensione di guerra del nonno. Ancora oggi, in città, ci sono fratelli e sorelle che portano il cognome Capasso e altri che portano quello Cafasso, semplicemente perché non tutti hanno affrontato, al tempo, la lunga procedura di correzione.
La passione dei Cafasso per la pizza risale a un bel pezzo più indietro nel tempo di Giuseppe Cafasso, Don Peppino, che, mettendo da parte le sue aspirazioni a un tranquillo lavoro da impiegato, avviò la pizzeria rendendola negli anni un riferimento tra quelle della città. Ugo, che oggi si alterna al banco con il figlio Stefano, mi racconta che anche i nonni Giovanni e Adele (nata Lieto) lo erano. Anzi, che era stata proprio la nonna Adele, pizzaiola proveniente da una famiglia di pizzaioli, a convincere il nonno, che era impiegato in una fabbrica, a dedicarsi a quest’arte. Avevano cosi’ fondato insieme, sui primi del ‘900, la pizzeria Capasso a Porta San Gennaro E’ qui che Don Peppino impara a fare le pizze, prima di lasciare il locale di famiglia per creare la sua attività a Fuorigrotta. La Pizzeria Capasso di Via Foria, tra quelle storiche della città, dopo la morte dei genitori, è rimasta nelle mani dei fratelli di Giuseppe, Antonio, scomparso circa 10 anni fa, e Vincenzo, ottantunenne, che ancor oggi la guida con il figlio.
In un ambiente semplice e familiare, la pizzeria Cafasso, con i suoi 80 coperti, propone, elaborata con la miscela di farine preparata a mano secondo la ricetta di Don Peppino, la sua pizza, piccola e vaporosa. Cornicione ben demarcato e perfetta rotondità. “La pizza è come il caffè. Una pizzeria adotta una miscela di farine come un bar adotta quella di caffè. E’ un aspetto che le differenzia profondamente” dice Ugo Cafasso.
L’impasto, del quale si occupa, oggi, per lo più Stefano, è preparato al mattino e utilizzato per le pizze sfornate a partire dal mattino successivo, per l’intera giornata. La proposta è sostanzialmente centrata sulla tradizione: Margherita, Marinara, Ripieno e tutte le più classiche.
Cavalli di battaglia del locale che, racconta Ugo, più per spirito di servizio che per convinzione, viene incontro alle richieste dei clienti più giovani con qualche strappo alla regola (una per tutte la pizza con le patatine), sono il “Calzone ripieno di scarola” (con la sua crosticina di formaggio grattugiato sopra) ; la “Doc” (filetto di pomodoro, mozzarella di bufala, basilico e olio extra vergine a crudo) e la “Ciro” (provola, filetto di pesce spada affumicato, rucola e scaglie di parmigiano).
Le precedono la classica fritturina all’italiana, “rigorosamente preparata fresca ogni mattina” sottolinea Ugo, crocchè, arancini, frittatine e qualche antipasto (alici marinate, insalata di mare ecc) tra quelli elencati della carta della Osteria che viaggia parallelamente a l’attività di Pizzeria. Anche qui la scelta è più che tradizionale. Tra i primi, dagli Gnocchi alla sorrentina agli Spaghetti alle vongole o alle cozze; tra i secondi, dalla Cotoletta alla milanese alla Bistecca alla pizzaiola oppure, per il pesce (per lo più indicato come congelato), dal Baccalà (fritto o alla siciliana) ai Polpi in cassuola.
Un fritto per iniziare, pizza e birra nazionale mediamente 15 euro, servizio incluso.
La pizza di Cafasso, si diceva, è piccola come quella che si incontra più spesso al Vomero. Per chi ritiene lo sia troppo, con un sovrapprezzo del 50% viene servita una versione gigante che mette in pace lo stomaco. Al ristorante si cena con, mediamente, dall’antipasto al dolce, con poco meno di 30 euro, servizio incluso.
Per l’immagine ottocentesca di Fuorigrotta: http://www.flickr.com/photos/9764655@N07/2154272236/
Pizzeria Fratelli Cafasso
Via Giulio Cesare, 156
tel. 081 2395281
9 Commenti
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Brava Monica ! Bella descrizione di una bella Pizzeria !
grazie, felice tu la abbia gradita! : )
Credo fermamente che l’ambito enogastronomico abbia bisogno estremo di essere raccontato con intelligenza e cultura.Monica Piscitelli, che non ho l’onore di conoscere, ha reso la mera illustrazione di una pizzeria che , per quanto importante,per qualcuno potrebbe dire poco o niente, bene Lei ha reso di questo fatto un evento contestualizzato con eccellente dovizia storiologica e sociale che arrivi a voler poi assaggiare la pizza di Cafasso con un bagaglio di notizie acquisito con una leggerezza che non si incotra facilmente nelle migliori riviste del settore.I miei complimenti(anche se valgono poco!).
Gentile Maurizio, la ringrazio. Nessun parere vale poco. Mai, mi creda. Se non ci fossero gli apprezzamenti e le critiche, se non ci fossero i commenti, come potrei sapere che quel che ho scritto ha, perlomeno, stuzzicato un’altra persona? E come potrebbero saperlo quelli che ci leggono e chi queste pagine le ha create?
Non si discute che un post sia molto letto, ma quando, secondo me, qualcuno spende pure pochi secondi per dire la sua, vale ancora di più. Sono certa che molti leggono senza commentare. Ma io invito tutti, specie quelli che non lo fanno per timore o pensando che quello che hanno da dire non sia interessante o sufficientemente “enogastronomicamente colto”, a rompere gli indugi. Se solo la 100000 esima parte dei napoletani che vivono a Napoli, mi dicessero quale è la loro pizza preferita, ad esempio, lo sa che grande arricchimento per me e per noi tutti? Il suo commento mi ha fatto molto piacere e la ringrazio ancora. Aspetto anche quelli meno favorevoli, purchè non offensivi. : )
davvero un bel lavoro, vale la pena di raccogliere queste nostre documentazioni di una Napoli da difendere e che ha bisogno anche di questi strumenti per andare avanti e riappropriarsi del proprio orgoglio e identità
Leggo spesso gli articoli pubblicati nel blog ed in particolare le sue recensioni, che trovo sempre molto garbate e precise. Anche questa lo è ed ho apprezzato molto anche la contestualizzazione che ha effettuato. Peccato che la mia personale esperienza della Pizzeria Cafasso è stata in assoluto tra le peggiori esperienze gastronomiche mai avute. Non sono certo un’esperta enogastronoma, solo un’appassionata, ma ho avuto la possibilità e l’onore di mangiare dai più grandi ed, essendo napoletana, di gustare la pizza dai migliori. La sera in cui sono capitata a Fuorigrotta ed ho deciso di assaggiare la pizza presso la Pizzeria Cafasso, che dalle varie guide/riviste veniva segnalata come un’ottima pizzeria, è stata una gran brutta serata. Pessima accoglienza del personale che sembrava essere seccato dalla nostra presenza; nessun menù e nessuna illustrazione delle pizze classiche o delle specialità; attesa più lunga del previsto visto che il locale era praticamente vuoto; impasto leggermente gommoso; pizza di piccole diemensioni; sulla mia pizza con verdure c’erano dei peperoni decisamente acidi, tant’è che è stato impossibile continuare a mangiare; attesa altrattanto lunga per il conto. I miei commensali hanno, espresso più o meno, le mie stesse perplessità e riserve. Voglio sperare, dato il gran parlare che si fa di questa pizzeria, che si sia trattato solo di una serata “storta”. Io non ripeterò l’esperienza.
Gentile Susy, avrà notato che non c sono elementi di giudizio sulla pizza. Posso dirle che la pizzeria è apprezzata. Ho incontrato là un ristoratore e uno chef che la frequentano abitualmente, cosa che mi fa pensare che male non può essere. Quella che io ho mangiato in un paio di occasioni non era gommosa, ma soffice. Direi cmq piuttosto in linea con le pizze che per i 70% si mangiano a Napoli. Sul servizio posso dire poco in questa occasione perchè ero una visita nota. Mi farebbe piacer mi dicesse a quando risale la sua visita ed invito tutti a darmi i loro pareri sulle pizzerie di cui scrivo nei termini in cui ha fatto lei anche alla mia mail (su http://www.campaniachevai.it la si trova). Ho in animo di ritornare in questi locali. In ogni caso di esprimere, possibilmente, d’accordo con Luciano Pignataro, una sorta di classifica sulle pizze degustate. A beneficio di tutti, visto che me ne dà l’occasione, ribadisco che stiamo raccontando qui le più antiche pizzeria, alcune volete sono anche le migliori. La ringrazio di cuore per i complimenti e conto sulla collaborazione sua e di chi ci legge. ps: E anche che MAFFI torni a farsi vivo. : ) ps2: a domani con un’altra pizza vecchia come il mondo
Sì, certo! Ci sono stata il 4 agosto scorso, lo ricordiamo tutti perfettamente. Grazie per la risposta e continui il suo prezioso lavoro.