La mostra. Civiltà napoletana del vino alla Floridiana
Villa Floridiana. Ore 8,30-14. Ingresso libero
A 200 metri sulla sinistra ultima fermata funicolare Piazza Amedeo-Vomero
Ai cultori del vino, ma anche a tutti coloro che amano il bello e si chiedono come sia stato possibile, ad un certo punto della nostra storia, anche solo pensare di versare il vino in un bicchiere di plastica, questa mostra sull’arte e sul vino – aperta sino al 15 aprile 2012 al Museo Duca di Martina a Villa Floridiana – aprirà senz’altro il cuore. In esposizione una ricca selezione di oltre duecento opere tra calici, anfore, bottiglie, brocche, coppe e rinfrescatoi di tutte le forme e le fogge.
Il catalogo curato da Luisa Ambrosio, Maia Confalone e Patrizia Piscitello, ripercorre gli spazi e gli oggetti della mostra attraverso cinque raccolte: i vetri, le oreficerie, le maioliche, le porcellane e, infine, i dipinti. D’altro canto le mostre che hanno preceduto questa sul vino hanno già con successo sottolineato l’intima atmosfera di «museo-casa» della Floridiana, dimora neoclassica donata dal re Ferdinando I di Borbone a Lucia Migliaccio.
E così nella sala da pranzo si trovano scene di banchetti e di vendemmie, fastoso vasellame in bronzo e porcellana, delicati centrotavola. Nelle sale successive si alternano vetri e cristalli veneziani, segue poi l’iconografia e l’oggettistica meno raffinata dei bevitori da taverna, con le scene da osteria e le brocche di metallo fino ad arrivare all’ambientazione di banchetti campestri.
Il catalogo, molto ben scritto e di piacevole lettura anche per i non esperti d’arte, aiuta il visitatore ad individuare un percorso non solo temporale – che va dal Quattrocento all’inizio dell’Ottocento – ma, come spiega bene una delle curatrici della mostra, Maia Confalone, a «tracciare un rapido excursus sui principali contesti d’uso del vino e del vasellame ad esso associato per tenerlo in fresco, mescerlo e degustarlo, primo tra tutti quello del banchetto, analizzato nelle sue diverse accezioni: profana, mitologica e liturgica». Elegantissimi ed eterei i calici in vetro del Cinquecento realizzati a Murano, dove già nel 1200 si producevano bottiglie sulle quali il governo veneto – esattamente come sul vino – esercitava una sorta di monopolio ricavando grandi profitti.
Tutt’altro tipo di calici, ma altrettanto preziosi, quelli della sezione dedicata all’oreficeria, che stupiscono per il dispiego di oro e argento ma, soprattutto, per le soluzioni artistiche adoperate. E qui si trovano diversi esemplari di arte sacra, destinata al vino dell’Eucarestia, come le insuperabili creazioni delle botteghe napoletane tra Settecento e Ottocento. Il tripudio di colori e di forme ritorna nelle sezioni dedicate alle maioliche e alla porcellana, dove naturalmente si distinguono i meravigliosi oggetti creati per il vino a Capodimonte come, ad esempio, i secchielli per il ghiaccio oppure i «rinfrescatoi» per i bicchieri di fine Settecento. Last but not least, la mostra si chiude con un racconto sui colori del vino e il colore dei quadri.
Dal sorriso che sembra parlare del giovane oste che mesce il vino («Il Gusto», 1612, attribuito al Ribera) alle guance rosse del «Bacco giovane» firmato da Tommaso Salini; alle festose scene seicentesche come «L’offerta a Bacco» di Niccolò De Simone (1643 ca.) e il «Baccanale» di Domenico Gargiulo detto Micco Spadaro (1655 ca.). E ancora, dalle opulente nature morte con le uva e il vino – anche di scuola fiamminga – alle allegorie della stagione autunnale, con le vendemmie, come ad esempio «L’allegoria dell’autunno» di Giuseppe Bonito (1744); per finire con i banchetti all’aperto del Settecento neoclassico di Francesco Celebrano, pittore di corte di Ferdinando IV. Un percorso lungo due secoli a ricordare l’inscindibile affinità del bello nell’arte del vino. E del vino nell’arte.