Napoli, Locanda Ntretella. Lacreme d’ammore e cucina artigiana al confine tra via Chiaia e Quartieri Spagnoli
Locanda Ntretella
Salita S. Anna di Palazzo (Adiac.Via Chiaia)
Tel. +39.081.427783 – mob. 39+ 333. 7687 111
www.locandantretella.it
Aperto: pranzo e cena ( 12,00 – 15,30; 19,00 – 23.30)
Chiuso: Domenica
Ferie: 15 gg. in Settembre
C/c e bancomat:si
Buoni pasto: si
“Artigiano”, Nomen Omen. Gennaro Artigiano, per tutti Rino, la passione dell’artigianato, ovvero del fare, o del fatto a mano ce l’ha da sempre. Il locale è zeppo di oggetti tra antiquariato e modernariato, acquistati nei luoghi più disparati. Fare…costruire… pietra…tufo giallo napoletano…Napoli sotterranea…Salita S. Anna di Palazzo n. 52, qui, nel sottosuolo è rimasto uno dei pochi rifugi antiaerei, voluti dall’Ingegner Melisurgo, al quale si deve il primo vero studio su Napoli sotterranea. Egli fece costruire oltre 400 ricoveri con circa 600 punti d’accesso, distribuiti per la città, che salvarono la vita a tantissimi napoletani durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale. Finita la guerra, tutto fu abbandonato o, peggio, utilizzato come discarica, quasi per buttar via anche i ricordi della guerra. Solo negli anni ’90, due rifugi sono stati trasformati in risorsa turistica e luogo di visita, uno presso la chiesa di San Paolo Maggiore, l’altro proprio a pochi passi dalla Locanda “Ntretella” in salita Sant’Anna di Palazzo, proprio al n. 52, direzione Quartieri Spagnoli.
Dicevamo pietra,… pietra = Terra. Per strani casi della vita, Rino si ritrova ad acquistare un rudere a pochi km da Sant’Agata dei Goti: un bel po’ di ettari, orto, frutteto e uliveto da rimettere i piedi, rudere da restaurare. Oggi dopo circa 10 anni, i lavori sono quasi ultimati, si è aggiunta una discreta attività di allevamento di animali di bassa corte, oliveto, orto e affinamento di salumi e formaggi per i quali Rino nutre una vera e propria passione. Il settore, della ristorazione ha, in qualche modo, da sempre influenzato la vita del nostro Artigiano, infatti, fino a poco prima di subire la stessa sorte di “Pulecenella”, ossia innamorarsi perdutamente di “Ntretella” (parliamo ovviamente della locanda che da lei prende il nome), Rino si è occupato di rappresentanze alimentari di prodotti gourmet con target elevato, importati dall’estero e destinati a ristoranti stellati, hotel di lusso etc . Attività certamente redditizia, ma, rischiosa e soggetta agli andamenti della congiuntura internazionale. Visto il momento non particolarmente felice ed i lavori della proprietà a Sant’Agata dei Goti già in buono stato d’avanzamento, avviene la conversione. Il ritorno alla terra, la chiusura del cerchio: “Ntretella”, un piccolo locale, intimo e familiare nascosto, ma non oscurato,dal pizzaiolo più famoso di Napoli.
A pochi metri più su sulla destra, sarete colpiti dall’originalità e dalla garbata accuratezza di questa piccola trattoria (circa 25 posti) della Napoli verace, qualche tavolino all’esterno, per pranzare tra le gente e godersi lo spettacolo, l’allegria e l’ironica sopportazione da parte di una Napoli che sta scomparendo, ma che lotta per sopravvivere.
Gennaro ha scelto questo posto con un preciso obiettivo: preservare un pezzetto della città in rapida trasformazione o, involuzione che dir si voglia… A pochi passi c’è tanto da vedere, a partire dalla monumentale chiesa di Sant’Anna di Palazzo, o Madonna del Rosario del XVII sec., dove si sposò la rivoluzionaria napoletana Eleonora Pimentel de Fonseca.
Il locale, piccolo e soppalcato ha subìto notevoli interventi di recupero architettonico in conservativo. Prima di “Ntretella”, qui c’èra un pizzicagnolo, un’altra di quelle figure in estinzione: un misto tra salumiere, droghiere e merceria dov’era possibile trovare un po’ di tutto, dagli alimentari venduti sfusi a peso, legumi, zucchero farina, lacci per scarpe, ago e cotone.
Il nostro Artigiano ha fatto le cose con calma, un pezzo qui, un altro lì: mercatini, rigattieri, privati. Mi colpisce in bella vista una bandiera con lo stemma borbonico, ne chiedo ragione, Rino mi risponde senza esitazione: “sono stati gli unici a fare qualcosa di buono per Napoli, Caserta e dintorni”. Lungo la strada che conduce a Sant’Agata dei Goti, incontriamo una delle opere più innovative del periodo Borbonico: L’Acquedotto Carolino, protetto dall’Unesco come patrimonio dell’umanità, la costruzione di un acquedotto, che portasse l’acqua dalle sorgenti del Fizzo alle vie d’acqua del Palazzo Reale di Caserta, fu uno straordinario successo tecnico che diede ulteriore fama all’architetto Luigi Vanvitelli che riuscì così a smentire tanti uomini di scienza che avevano teorizzato che mai l’acqua del Fizzo sarebbe giunta a Caserta.
L’acquedotto portò acqua a Sant’Agata dei Goti, San Leucio, ai mulini, alle vasche, alle fontane, alle peschiere, ai giardini e agli impianti idrici dell’intera reggia e della città di Caserta, oltre a servire all’irrigazione dei campi casertani, all’abbeveraggio del bestiame, ai pastifici. Immessa infine nell’acquedotto Carmignano, arricchì la portata di questo acquedotto che portava l’acqua a Napoli. Nel 1759 Carlo di Borbone inaugurò il primo blocco di lavori. Nel 1762, l’acquedotto funzionava in pieno fino all’imbocco del traforo del monte Garzano. L’inaugurazione di questo tratto ebbe momenti drammatici perché l’acqua ritardò a raggiungere la fine della condotta tra lo scetticismo di molti, il disagio del giovane Ferdinando IV e il panico di Vanvitelli.
Finalmente l’acqua arrivò tra gli applausi della folla ed il re, raggiante, abbracciò Vanvitelli e lo gratificò di 1000 ducati. Circa un secolo dopo, i Ponti della Valle divennero famosi per lo scontro delle forze garibaldine comandate da Nino Bixio con le truppe di Francesco II.
Un ossario fu costruito per commemorare i garibaldini periti nella battaglia e ricordare l’evento.
Nei giorni festivi e di bel tempo, è ancora usanza fare pic-nic e scampagnate tra la mole dei ponti e l’Ossario dei garibaldini. Può capitare perciò, di trovare sul posto venditori vari, compresi quelli che vendono ‘o pere e ‘o musso, saporiti pezzi di carne meno nobili: il piede del maiale e il muso del vitello conditi con sale e limone, il tutto in un foglio di carta oleata. Si mangia ovviamente con le mani.
La Locanda Ntretella è un misto ben bilanciato, tra antico, vintage e moderno .
I richiami e le immagini di Pulcinella sono tanti, il motivo tuttavia, non attiene all’usuale e folkloristica immagine della maschera più amata dai napoletani, giocherellona e scansafatiche, ma, dipinge un “pulecenella ‘nnamurato”, che si dispera perché non corrisposto.
Il locale arredato da Rino, originario del centro storico di Napoli, ha un’aria familiare e colorata, pieno di tanti piccoli segreti da scoprire, oggetti da guardare, capovolgere, subissando di domande il nostro Artigiano. Si tratta, come dicevamo, o, di suppellettili scovate tra mercatini dell’usato e botteghe antiquarie, o, di oggetti provenienti da viaggi in giro per il mondo. Nulla risulta banale, tutto provoca una domanda. Ad esempio all’ingresso trionfa un antica macchina da caffè in rame originale anni ’50,
mentre, nella seconda delle due minuscole sale di cui si compone la locanda, rifulge in tutto il suo splendore una fiammante Berkel rossa del 1950, perfettamente funzionante.
Fini sedie in legno e tavoli quadrati ricoperti da un allegra mise en place di stile “Vietri – Ikea”, nel senso che i deliziosi piatti nessuno uguale all’altro sono creati e personalizzati da “ mò ce vò”, un artigiano vietrese, e i colorati bicchieri da acqua sembrerebbero di stile nord europeo. Nostrani quelli da vino.
La cucina, regno dello chef Carmine Motti, è strategicamente posizionata sul piano soppalcato, collegato alla sala da un’impegnativa scala a chiocciola. I tavoli sono molto vicini tra loro, ma l’atmosfera che si crea è talmente International – familiare, che, anche quello che potrebbe essere un disagio, si trasforma in un pregio. L’Artigiano fa la spesa quotidianamente, ergo non c’è menù, ci sono almeno 2 proposte complete a base di mare e di terra e una serie di piatti espresso a richiesta dei clienti. Il profumatissimo pane arriva, come ho spesso riscontrato in altre osterie, da Frattamaggiore (Na).
A proposito di pane, giusto di fronte alla Locanda c’è una Panetteria – monumento che risale a 110 anni fa. Il portale esterno, per fortuna, è stato conservato tal quale, mentre gli interni, banconi di legno e marmo, sono sati sostituiti da tristissime vetrine in pvc. Il nostro Artigiano previdente li ha acquistati e messi da parte, non si sa mai…
Al mio ingresso il titolare è a tavola, mi siedo con lui, mi invita ad ordinare perché magari più tardi potrebbe essere troppo occupato. Lui mangia una magnifica mozzarella, ovviamente rispondo: “la stessa cosa che mangia lei” :-)
Diciamo che ormai chi scrive per questo blog, soprattutto se ritiene che la mozzarella sia meglio della cioccolata e della Nutella, si è fatto una discreta esperienza di assaggi di mozzarella, tra quella aversana e quella della Piana di Paestum. La prima cosa è l’aspetto, turgido con il segno della mozzatura a mano, poi il taglio, la pasta oppone resistenza mentre il latticello fuoriesce, una volta aperta, l’esame della pasta, consistenza, occhiature. Al palato è giustamente stridente in perfetto equilibrio tra sapidità e tendenza dolce, incredibilmente persistente. Ebbene sì, è lei: Sua Maestà la Mozzarella di Bufala.
Fa caldo, in estate a Napoli sono in pochi ad optare per un pranzo completo, mi arrampico coraggiosamente su per la scala a chiocciola per andare a curiosare in cucina…ai fornelli trovo lo chef Carmine Motti , il quale si scusa per non avermi accolto in divisa, non ci faccio caso e annuso il profumo dei “purptielli alla luciana” in preparazione. Il pesce mi dice Rino arriva o da una pescheria a Mergellina o dal noto mercato “Fuori Porta Nolana ‘Ncopp ‘e ‘mmura”.
Sul pavimento della cucina ci sono, in ordine sparso, cassette di cipolle, zucchine, pomodori datterini, e boccioni di vetro contenenti un olio dal colore inequivocabile: artigiano. Sì, mi conferma Rino, l’olio, come gli ortaggi , le uova ed i polli ruspanti arrivano tutti dalla proprietà di Sant’Agata dei Goti.
Naturalmente con cipolle, uova e olio di tal fatta, lo chef prepara sia, una “genovese”, sia, una frittata di cipolle memorabili.
Parliamo un po’ dei piatti, verdure, frutta e insalata, l’abbiamo detto, arrivano dall’orto di 1000 mq di Sant’Agata. Ecco quindi, a seconda della stagione: friarielli, peperoncini verdi, scarole, carciofi, zucchine alla scapece o a barchetta , farcite di ricotta e provola. Ancora, parmigiana di melanzane, broccoli e croccanti insalate.
La composizione giornaliera del menù, fa ruotare, a seconda della disponibilità, oltre una cinquantina di piatti, tutti classici partenopei: mezzanielli lardiati, pasta e patate con la provola, pasta e fagioli con le cozze, pasta e zucca, pasta e ceci, ragù e genovese con le rispettive carni. Tra i primi anche il nostro Artigiano rientra in quella piccola schiera di ristoratori che non ha dimenticato “ ‘O Roje”: spaghetti conditi con passata di pomodoro a crudo, rigorosamente artigianale, scaglie di pecorino o, cacio ricotta, basilico e un filo di extravergine. Oppure in versione più elaborata, si fa per dire, tagliatelle fresche con basilico nell’impasto condite con pomodoro a crudo e scaglie di grana. Parlando di materie prime non va dimenticato che Rino è stato un selezionatore di prodotti, ergo per carne, pesce, formaggi, sceglie solo il meglio in piccole quantità. Per la carne, marchigiana o angus, ma anche quella per scaloppine, polpette e polpettoni. Sul versante mare : tonno rosso, baccalà, coroniello, ma anche tanto pesce povero, soprattutto azzurro: alici, pesce bandiera e poi frutti di mare e polipetti.
Quello che più mi ha colpito della locanda di Ntretella, è stata la capacità di ottimizzare gli spazi con allegria e buongusto, offrendo agli avventori un ambiente, sì, magari “tipico”, ma, soprattutto, familiare e accogliente. Il servizio garbato ed il menù che offre la possibilità di affidarsi all’ Artigiano per le proposte del giorno di mare e di terra contribuiscono ad una sosta rilassata e familiare. Naturalmente, si sa, i napoletani sono flessibili e accondiscendenti per natura, per cui nessun problema per richieste speciali o per una combinazione di menu’ di mare e di terra.
Nessun problema quindi a mischiare un primo di mare, saporite fettuccelle ai frutti di mare.
con la magnifica mozzarella di cui sopra, accompagnata dai pomodori dell’orto di Sant’Agata.
Oppure dai magnifici salumi di Sant’Agata, penzolanti dalle travi in legno del soppalco, che il buon Artigiano affina pazientemente .
Locali di questo tipo vanno progressivamente scomparendo, per lasciare il posto a locali più grandi, più cari, più di design, più globali, ma, privi di quell’atmosfera genuina, cordiale e familiare che caratterizza la classica trattoria napoletana, dove ci sente un po’ a casa, si mangia bene e si spende poco. Logistica perfetta, a due passi da Piazza del Plebiscito, Palazzo Reale, la Pignasecca e il centro chic di città. Insomma a fine pasto ci si alza dal “tinello” di casa e si va in giro per monumenti, o, back to work, rasserenati da un vivace pranzo in famiglia.
La scelta dei vini varia da degni aglianico e falanghina sanniti alla mescita, accompagnati da qualche etichetta campana di buon livello: prime tra tutte le bottiglie di Nicola Venditti, la catalanesca di cantine Olivella e gli irpini di Benito Ferrara, pochi ma buoni. Corretto il ricarico. In alternativa una buona birra alla spina.
I dessert sono in parte di produzione propria ed in parte acquistati presso una nota pasticceria- gelateria della zona.
Insomma il nostro Artigiano si è dimostrato uomo colto, umile, con passione da vendere per la propria terra e tanta voglia di comunicare il buono. Cosa che gli riesce egregiamente in squadra con il team, ormai collaudato: Carmine Motti ai fornelli e Urmat tra sala e cucina.
Veniamo alla volgar pecunia prima di passare ad una splendida serenata…I menù del giorno variano tra i 15 e i 20 euro, per mangiare a la carte non si superano i 20 euro per piatti di terra, 25 euro per ricette di mare.
Torniamo a Ntretella, la ragione per la quale Rino Artigiano ha dato il nome alla locanda: Pulcinella è sotto al balcone della sua bella e cerca, come suo solito, di strapparle un sorriso con le cialtronerie tipiche della sua maschera. Di fronte all’ indifferenza dell’amata, i frizzi e le buffonerie si trasformano gradualmente in una richiesta disperata d’amore. Per la prima volta la maschera di Pulcinella cala e rivela il suo volto umano, stravolto dal dolore per un amore non corrisposto.
Napoli, come la sua icona Pulecenella, ride, balla, e soffre ogni giorno, “carugnona, carugnona, carugnona, carugnona, carugnona “? Quando si deciderà a ribellarsi ?
Serenata a Ntretella mia interpretata da Peppe Barra
con la nuova Compagnia di Canto Popolare
“Ué, ué, nenné s’affaccia,
E ca sta’ Pullecenella, Pullecenella, Pullecenella
te caccia la lenguella
e dice i’ sto ccà, i’ sto ccà, ué ca i’ sto ccà….
(recitato:) ma pecché nun t’affacce, che t’aggio fatto de male, ‘nteretella mia?
Ué, ué cu’ sta resella,
e cu ‘st’uocchie e cu’ ‘sti vruoccole, cu’ ‘sti vruoccole, cu’ ‘sti vruoccole
lu core comm’a spruoccole,
me staje a strazia’, a strazia’, ué a strazia’….
(recitato:) ma pecché nun t’affacce, nun vide ca ce sta Pullecennella ca fa ‘a sputazzella?
Gioia de ‘st’alma mia jesce ccà ffora,
ca mammeta nun c’è, jesce a ‘mmalora.
(recitato:) viento ventatela, munte muntatela, stelle stellatela, acqua addacquatela, fuoco ‘nfucatela!
Si craje tu truove ‘nfosa ‘sta chiazza
so’ llacreme d’ammore e no sputazza.
(recitato:) carugnona, carugnona, carugnona, carugnona, carugnona!
Ué, ué, nenné s’affaccia,
e ca sta’ Pullecenella, Pullecenella, Pullecenella
te caccia la lenguella
e dice i’ sto ccà, i’ sto ccà, ué ca i’ sto ccà….
(recitato:) ma pecché nun t’affacce, che t’aggio fatto de male, ‘nteretella mia?
Ué, ué cu’ sta resella,
e cu ‘st’uocchie e cu’ ‘sti vruoccole, cu’ ‘sti vruoccole, cu’ ‘sti vruoccole
lu core comm’a spruoccole,
me staje a strazia’, a strazia’, ué a strazia’….
(recitato:) ma pecché nun t’affacce, nun vide ca ce sta Pullecennella ca fa ‘a sputazzella?
Gioia de ‘st’alma mia jesce ccà ffora,
ca mammeta nun c’è, jesce a ‘mmalora.
(recitato:) viento ventatela, munte muntatela, stelle stellatela, acqua addacquatela, fuoco ‘nfucatela!
Si craje tu truove ‘nfosa ‘sta chiazza
so’ llacreme d’ammore e no sputazza.
(recitato:) carugnona, carugnona, carugnona, carugnona, carugnona”!
13 Commenti
I commenti sono chiusi.
L’ho letto tutto d’un fiato. Sembra l’inizio di un romanzo d’altra epoca…ti fa vivere emozioni che non hai mai provato prima. Bello!
…che bella storia ! …Io e Gennaro, culturalmente, abbiamo tante affinità…devo venire al più presto….la bandiera borbonica è un “certificato” di garanzia!
P.S. Giulia: complimenti per il servizio…veramente bello!
..e noi dovremmo prima o poi riuscire a tornare nella fedelissima fortezza…
Ti sei superata!!!
Bravissima Giulia,
è facile recensire luoghi già famosi,
ma tu arricchisci la descrizione di quella storia millenaria
che si respira e forse non sempre si percepisce della Nostra Città.
Napoli, non è solo “monnezza”,
Napoli è Cultura,
Napoli è Anima,
Napoli è Integrazione.
Però… questa mi sembra un po’ più avanti di un’osteria napoletana… davvero una dritta interessante, da provare quanto prima (a due passi da via Toledo, va bene anche per la pausa pranzo)… e poi quella Berkel è un incanto: grazie Giulia!!!
Un altro magnifico capitolo di napoletanità nella storia e …a tavola .
Complimenti !
bello e colto , un racconto emozionante in cui descrivi l’anima verace e nobile di napoli , la napoli che noi amiamo che non è solo camorra e monnezza , questi sono i posti che ispirano le mie ideee ,grande giulia ambasciatrice della napoletanità
spesso incontro Gennaro ‘ncopp e mura… un caffè, una chiacchiera e qualche scambio sempre necessario per fare meglio questo gioco-missione in cui ci siamo fiondati… del resto, con la concessione di Shakespeare…sotto sotto: “Siamo fatti della stessa sostanza dei nostri sogni….”… e per questo ci incontriamo…
PULCINELLA (facendo le corna con tutte e due le mani) Se vogliamo andare d’accordo non parliamo di morte. Questo pensiero già mi ossessiona da diversi secoli. Capirai, uno che sente continuamente: «Pulcinella è morto! Pulcinella non esiste più!» Piano Piano uno si convince, e arriva a nu certo punto can un sape cchiù si è morto o è vivo. (I, p.270)
E. De Filippo Il figlio di Pucinella, in Cantata dei giorni dispari, vol. II Einaudi, Torino 1995.
Se sostituiamo il nome a di Pulcinella a quello di artigiano o a quello di Napoli mi sembra di vivere nella situazione attuale. Basta. Esistono artigiani, esistono luoghi celebrati dal lavoro quotidiano di questi artigiani e dai loro prodotti. Questo è comunicato benissimo da questa rubrica! Sono orgogliosa di essere “un’ artigiana” e di conoscerne tanti in questa Campania che viene ri-conosciuta sempre meglio grazie a questi articoli e a questo blog… grazie…
Giulia appassionatamente grandi le tue note napoletane. A prestissimo
giulia cara, stai scavando nel cuore della storia di Napoli con amore,competenza e con la consapevolezza che la nostra città non può essere distrutta dagli interessi di chi ha deciso che dobbiamo affogare nella monnezza , i tuoi racconti ci lasciano sperare e ci aiutano ad amare sempre di più Napoli e i napoletani vai sempre avanti così !!!!
Brava Giulia,
come al solito bello, ricco e scorrevole il tuo racconto. mi piace pensare che tutti possano capire che Napoli va preservata e civilizzata, non stravolta e ridisegnata. Aborro chi ritiene che la nostra città debba essere lasciata deperire. Oggi Napoli è come una persona morsa da un vampiro che gli succhia il sangue sufficiente a poter vivere senza mai lasciarla morire per cibarsene sempre. Svegliamoci napoletani, il tesoro ce l’abbiamo in casa, e possiamo viverne tutti!
Complimenti per la recenzione e grazie davvero mi fate scoprire posti della mia città tutti da vivere e assaporare.