Moutonne Grand Cru – Domaine Long Depaquit Chablis
Lo splendido edificio è di grande impatto visivo e oggetto di visite assidue da parte dei molti turisti che in estate affollano la Borgogna.
Si tratta del Domaine Long Depaquit , facente parte del gruppo Albert Bichot, che tra gli altri è proprietario di altre due importanti entità dedite alla vinificazione a Beaune ( Domaine de Pavillon) e a Nuits St. Georges (Clos Frantin). Qui come altrove, sotto l’impulso di Monsieur Alberico Bichot il Domaine Bichot ha progressivamente rinnovato la tecnica in cantina, gli elevage e nel complesso adeguato lo stile dei suoi chablis rendendoli sempre più aderenti al ventaglio di ottimi terroir a disposizione, tra cui il grand cru più prestigioso di chablis : Moutonne, che possiede in Monopole.
Però siccome nella mia gioventù vinicola ritengo di averne bevuto a sufficienza di legno più o meno buono, quel giorno proprio non mi andava di partecipare a quella festa campestre organizzata nel giardino del castello .
Una calda domenica estiva, una degustazione in corso aperta al pubblico. Un amico che insiste e mi dice, che ti costa, dai entriamo, se poi è ancora come dici giriamo i cavalli e ce ne andiamo. E va bene, facciamoci ancora una volta del male, entriamo.
L’uomo magro piazzato dietro il banco di degustazione, con camicia sudata e cravatta multicolor stretta al collo incurante della temperatura estiva , ci individua e ci invita all’assaggio di non so più quale premier cru.
Lo interrompo, guardi, sono entrato qui dentro per far contento il mio amico, ma normalmente questi vini non li gradisco più ormai perché sanno sempre troppo di legno. Ho comprato in passato diverse cassette dei millesimi della vostra Moutonne primi anni 90 ma adesso basta, secondo me ci date troppo di legno qui dentro, ormai ho cambiato gusto, non riesco più a bere questi succhi di banana.
Il nostro mette una mano in tasca e esibisce il suo biglietto da visita e si presenta.
Piacere, Alberic Bichot, posso stapparle una verticale di Moutonne?
Ecco mi dico, ne ho combinata una delle mie , una provocazione che si è messa subito male e adesso ben mi sta, andiamo ad affrontare addirittura una verticale piramidale di legname.
Ma le cose tutto sommato non andarono così, male, l’immaginazione è spesso peggio della realtà e quindi confermate le spremute di legno 1990 (che peccato, in un millesimo così grande…) e alcuni millesimi successivi, ecco arrivare finalmente un elegante e complesso 1999 dove la mineralità e la nobiltà del terroir riusciva finalmente ad emergere e reggere il peso dell’affinamento. Il 2000 e il 2001 a seguire una traccia comune in riduzione di utilizzo di legno nuovo o di secondo passaggio sempre più a dare spazio alla natura. Merci Alberic, mi hai convinto, posso ritornare a bere serenamente la mitica Moutonne senza stuzzicadenti per rimuovere le schegge di legno incastrate tra gli incisivi.
Storicamente lo Chateau Long Depaquit ha la particolarità di avere avuto dall’ undicesimo secolo a oggi solo tre proprietari ( quando si parla di tradizione ) e cioè prima le monache cistercensi, poi la famiglia Depaquit e infine i Bichot. Il patrimonio di vigne è eccezionale se pensiamo che il Domaine detiene il 10% di tutti i terreni classificati grand cru, tra cui il gioiello di famiglia di cui sopra, la totalità del grand cru Moutonne, un enclave a cavallo tra i grand cru Vaudesir e Preuses, i cui confini sono stati definiti nel quindicesimo secolo.
66 ettari di chardonnay e mezzo milione di bottiglie non sono poche, e quindi il progressivo ritorno ad una viticoltura di qualità si sta facendo gradatamente, con il rigoroso ritorno ad una coltivazione meno meccanizzata , fino ad arrivare ad un raccolto manuale almeno dei premier cru e grand cru. Fermentazioni con lieviti indigeni , ricerche e verifiche sulla durata necessaria degli affinamenti che sempre più definiscono con precisione le peculiarità dei terroir.
Tra le annate recenti di grande interesse ci sono sicuramente la 2005 e la 2007, acquistabili anche direttamente al Chateau, dove l’ospitalità e l’apertura al turismo enologico è sempre rispettata.
Una ventina di euro per i premier cru, poco più di trenta per i grand cru mentre Moutonne necessiterà di una spesa attorno ai 60-70 euro che per chablis è un prezzo veramente importante, ma bersi mille anni di storia ha il suo fascino.
Prima di arrivarci però non sarebbe male anticipare la visita con una sosta all’Abbazia di Fontenay per un bagno di storia Cistercense.
http://www.bourgogne-bichot.com/FR/
gdf
6 Commenti
I commenti sono chiusi.
Ciao Roberto. Bisogna pur lasciare spazio ad altri produttori di Chablis, perchè La Moutonne non è quello che si dice il migliore. Certamente non all’altezza di un Vielles Vignes di La Chablisienne, di un Valmur o Mont de Milieu di Collet, il Les Preuses della famiglia Dauvissat, il Vaudésir di Michel, o il Les Clos di Droin e quello omonimo di Raveneau (di quest’ultimo sono ottimi anche il Valmur, lo Chapelot e il Butteaux). Un bel furbacchione è stato poi Louis Long-Depaquit. Nel XVIII secolo, infatti, La Moutonne era un semplice climat di un ettaro di Vaudésir non classificato come Grand Cru. Il furbo Louis pensò bene di mischiare i suoi vini con quelli di altri tre Grands Crus e cioè Les Preuses, Les Clos e Valmur e così ottenne una sorta di provvisoria autorizzazione per l’indicazione Gran Cru in etichetta, perché faceva parte comunque fisicamente degli altri Grand Crus. Nel 1950 il Domaine Long-Depaquit fece un altro tentativo di ottenere ufficialmente la denominazione, con la limitazione dell’area territoriale fra Vaudésir e Les Preuses, ma non ottenne questo ambito status , anche se le autorità chiudono sempre un occhio e ufficiosamente acconsentono che i due vini provenienti dall’area di Vaudésir e Les Preuses continuino a fregiarsi dell’appellativo di Gran Cru. Certo i francesi fanno un ottimo vino su tutto il loro territorio, ma comunque non sono poi così ligi alle regole. Quando noi ci lamentiamo poi delle nostre denominazioni e dei disciplinari da rispettare. Mah… Abbracci.
Ottimo Enrico, hai visto che meritava di essere raccontata questa storia .. ;-)
Grazie dell’integrazione e alla prossima, ti dedico il prossimo pezzo , che sarà sul Medoc finalmente.
ahia,ahia,ahia: ‘mo cominciano i casini………
Ti sei deciso finalmente! Lo aspetto con ansia. Naturalmente, penso, non ti limiterai al solo Medoc, ma a tutta l’area del bordolese, che merita tutta la tua competente attenzione. Abbracci.
Da questi terreni che vedo nella foto, non si può non ricavare un “concentrato di mineralità”. La “povertà” del suolo, in termini di macroelementi (azoto, fosforo e potassio), costringe la vite a “bere la roccia”.
Ancora una volta possiamo dire che il “terroir” è fondamentale…
Grazie GdF
Terroir , mineralità , ridotto utilizzo del legno rappresentano le chiavi di successo per una viticoltura di qualità.