Montevetrano 1999 Colli di Salerno igt
Montevetrano 1999. Lo troviamo in una serata dove l’inverno fa il suo ultimo colpo di coda. Alla Contrada di Aversa che, per gli appassionati della cucina anni ’90, può diventare un riferimento (pesce avvolto nel lardo di Colonnata, pecorino toscano come se piovesse, pochissimi vini regionali). Noi però siamo lì per provare le pizze e il servizio gentile e attento ci propone anche vini fuori carta, tra cui, per restare negli anni ’90, questa bottiglia.
Nel 1999 forse Silvia Imparato avrebbe arricciato il naso sapendo che questo suo capolavoro sarebbe stato bevuto su una margherita, una marinara e un’aglio e olio, ma oggi per fortuna che ci sono le pizzerie, per ogni tipo di vino e tutto è più easy, meno formale, più essenziale. Come, in fondo, piace a lei.
Il Montevetrano 1999 è capitato in altre verticali, ma un tete a tete mancava davvero da tempo.
Rileggendo la scheda del 2008 ci accorgiamo di non aver esagerato e possiamo confermarla in toto. Il 1999 è stata davvero un’annata speciale per tutti e anche per questo vino che non ha neanche bisogno di ossigenazione dopo vent’anni. Evidentemente è stato ben conservato. Lo sbocchiamo e lo versiamo nei bicchieri, bastano cinque minuti per sentire ancora il profumo di frutta fresca, rabarbaro, note di liquirizia, carruba, caffé, lieve rimandò fume. Un vino perfetto dal punto di vista olfattivo, ancora giovane e ancora giovanissimo al palato dove la freshcezza domina la beva, ne detta i tempi, accelera in maniera incredibile il tempo: sembra una freccia. La chiusura è travolgente, l’unga, ricca, pulita e precisa.
Niente, in grado di competere con qualsiasi rosso sulla scena mondiale.
Un capolavoro vero.
Scheda del 25 novembre 2008. Miglior rosso campano del momento
Non amo particolarmente le classifiche assolute, quelle apodittiche. Ché tutto è movimento e i vini, come le persone, cambiano, si confrontano con la realtà. Ma in questi giorni c’è una domanda ripetitiva, eterna, importante alla quale saprei dare una risposta ed è per questo che ve la giro: quale rosso campano ti piace di più? La risposta è questa: il Montevetrano 1999. C’è poco da aggiungere alla scheda dello scorso anno da un punto di vista dei descrittori: ho riassaggiato il bicchiere in una discreta batteria di recente a Parigi e ne sono rimasto coinvolto. L’annata, si sa, è stata straordinaria, ma le espressioni di queste uve nel terreno grasso e opulento della piccola tenuta di Silvia sono davvero straordinarie. Non vi sto a dire della freschezza, della integrità, quanto, piuttosto, di un equilibrio incredibile tra le diverse componenti che fanno del 1999 un vino da bere tutto di un fiato. Una tavolata di critici francesi, tra cui Michelle Bettane, l’ha trovato straordinario e in molti lo hanno preferito. Sì, è vero, i parigini sono complimentosi come tutti i commercianti di esperienza, ma le osservazioni di quel tavolo tecnico erano precise e non giravano attorno al problema. Due indicazioni su tutte mi hanno colpito: la leggerezza della materia del 2006 che fa da contraltare a quanti invece lo hanno trovato sovraestratto, la valutazione del Montevetrano come espressione del territorio dell’Italia del Sud. E queste trasferte in Francia sono davvero interessanti e formative per chi scrive e si occupa di vino nel nostro Paese per misurare non tanto la superiorità di certe sensibilità quanto la differenza, ed avere la conferma, se pure ce ne fosse bisogno, di quanto sia necessario essere ad alta quota per poter rappresentare un territorio in modo costante e autorevole per ormai quasi 20 anni. Molti discorsi nei quali siamo immersi, io per primo, sono assolutamente superflui e spesso non colgono l’essenza del bicchiere. Per capire ad esempio quanto sia importante la serietà commerciale e di come, alla fine, siano ancora pochi i rossi del Sud in grado di sostenere queste serate. Il motivo infatti è che molti, non solo in Campania, ma in Italia, hanno cercato la copertura del legno in eccesso per imitare uno stile anglosassone di concentrazione, dolcezza, spesso eccessiva morbidezza. Sicché, anche lavorando con vitigni autoctoni, in realtà alcune cantine presentano vini abbastanza omologati, difficili da terminare dopo il primo bicchiere. Non sono vini cattivi ma, come dice Moio, inutili. Una bottiglia, dal mio modesto punto di vista, deve avere, oltre che essere venduta con correttezza, tre requisiti per entrare a far parte della storia vitivinicola di un territorio: essere molto complessa al naso, facilmente abbinabile al cibo e in perfetto equilibrio, tale da poter essere terminata senza accorgersene. Erano queste le tre caratteristiche apprezzate secondo una scaletta interessante, ossia la degustazione incrociata, ben diversa da quella un po’ scolastica molto in voga da noi, ossia verticale. Sicché si è proceduto per coppie: 2004 e 1998, 2003 e 1999, 2001 e 2000. E’ possibile disvelare con faciltà una trama comune che solo la scarsa esperienza impedisce di leggere, ma il vino è bello perché rivelandosi smaschera chi lo beve. Personalmente, mi aspetto un bel cammino delle ultime tre annate, adesso ancora troppo giovani ed esuberanti, a giusta ragione servite la 2006 e a 2005 come iniziazione. Il Montevetrano resta un capolavoro di Riccardo Cotarella, il bene prezioso per tutti i produttori di vino in Campania perché ha certificato e certifica il territorio rendendolo leggibile a chi abita fuori. Ma è soprattutto espressione della personalità dirompente di una donna eccezionale, combattente coraggiosa e colta.
Assaggio del 27 marzo 1999. Ci vediamo con Silvia e Anna Imparato per testare, sì proprio così, testare, la pizza con il pomodoro San Marzano (Cirio 3) dell’azienda La Carmela di Pasquale D’Acunzi, presidente del Consorzio di tutela della dop. Un creazione di Cosimo Mogavero di Ciripizza che farà il suo esordio a Milano a settembre con il lancio dell’associazione I Devoti del San Marzano. L’idea è farla provare ai nostri ospiti giapponesi, il collega Isao Miyajima che conosce ogni cru, annata per annata, del mondo, una sorta di Pico della Mirandola dalla cultura enciclopedica e dalla memoria mostruosa e Daisuke Yamane, chef owner del ristorante italiano Ponte Vecchio e di una catena a Osaka, i cui pizzaioli hanno imparato l’arte del mestiere dal nostro amico Enzo Coccia de La Notizia a via Caravaggio. Con loro l’importatore di prodotti italiani, ha tra l’altro la colatura di alici di Delfino a Cetara. Beh, cosa bere su questa pizza se non un Montevetrano 1999 che Daisuke vende a go gò da sempre? Devo dire che erano molti anni che non tornavo su questo vino, ricordo che mi era piaciuto più del 1998 e il riassaggio ha confermato questa mia impressione: devo anzitutto osservare come il terreno vulcanico reclama la sua parte soprattutto in bocca dove la freschezza e la pulizia sono assolute a differenza della stragrande maggioranza dei Cabernet e dei Merlot in circolazione in Italia. Il vino infatti è perfettamente integro, al naso un leggero sentore di ridotto appena aperto poi andato via lasciando spazio alla consueta complessità che caratterizza il Montevetrano, dalle note balsamiche al cuoio, al caffé appena tostato, alla liquirizia, ancora un po’ di frutta rossa matura. In bocca la beva è imponente, con un ingresso discreto ma deciso, che poi si allarga a tutto il palato coinvolgendolo completamente per un finale lungo e intenso: ancora una volta il rosso di San Cipriano si conferma essere un grande ambasciatore del territorio nel mondo come a pochi altri è capitato. Ogni volta che incontro questo vino non posso fare a meno di pensare al momento in cui è nato, quando cioé in Campania non c’era quasi nulla e nessuno credeva alla possibilità che il Sud potesse fare grandi rossi concedendo al massimo il bianco e i passiti siciliani. L’ottusità politica di questa seconda repubblica voleva far attraversare al suo vigneto l’alta velocità, ma per fortuna questo rischio è cessato, per il momento. Che dire, qualcuno troverà troppo snob bere il Montevetrano1999 sulla pizza al San Marzano, ma l’abbinamento è stato a dir poco perfetto, con i nostri amici giapponesi piacevolmenti sorpresi di scoprire le scritte nella loro lingua sulle scatole: il problema non è, infatti, il costo dei prodotti, ma la loro essenziale classicità, cioé la possibilità di offrire la sensazione che siano sempre esistiti, a prescindere da noi. Così il San Marzano, così, ovviamente, il Montevetrano. Il 1999 ha infatti lo scheletro dei grandi rossi da invecchiamento che nel corso degli anni si spogliano progressivamente di ogni superfetazione fruttata e persino tannica conservando straordinaria mineralità e freschezza che nel vino corrisponde alla voglia di vivere presente nell’uomo. La sua integrità, rosso granato intenso, rivela infatti questa possibilità e noi speriamo davvero di poterne godere negli anni che ci aspettano.
Sede a San Cipriano Picentino, Via Montevetrano, Località Nido
Tel. 089.882285, fax 089.882010
Sito: http://www.montevetrano.com
Enologo: Riccardo Cotarella
Bottiglie prodotte: 30.000
Ettari: 5 di proprietà
Vitigni: cabernet sauvignon, merlot, aglianico
Montevetrano 1999
Un commento
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La fine è fine gloriosa o meno che sia anche per una bottiglia.L’ultima del secolo in cui siamo nati.Non è questione di arricciare il naso ma l’istinto di andarsele a cercare e spesso trovare nei posti più impensabili.Questione di fiuto ma anche di classe anzi di Capoclasse.Ad maiora da FM .