Monastero Santa Rosa a Conca dei Marini: il Refettorio di Christoph Bob
Monastero Santa Rosa Hotel & Spa
Ristorante Il Refettorio
Via Roma, 2
Conca dei Marini (Sa)
Tel. 089.8321199
www.monasterosantarosa.com
A strapiombo su un costone di roccia domina l’intero golfo di Salerno dall’alto di Conca dei Marini, a pochi chilometri da Amalfi, il Monastero Santa Rosa Hotel & Spa, albergo di lusso con il ristorante Il Refettorio. Costruito nella seconda metà del ‘600 è stato un convento domenicano e tra le sue mura è nata la sfogliatella Santa Rosa, ancora oggi uno dei baluardi dell’arte dolciaria campana. Un’imponente ristrutturazione durata molti anni restituisce alla Costiera Amalfitana un struttura che non ha eguali in maestosità ed eleganza. Alla guida della cucina Christoph Bob che approda qui dopo Relais Blu, Grand Hotel Villa Feltrinelli, La Pergola, ed il Restaurant Alain Ducasse au Plaza Athénée.
Con questa nuovo hotel alla sua terza stagione si consolida così anche su questo versante della Costiera un polo di eccellenza turistica di livello altissimo, dove alla qualità di camere e servizi si aggiunge una ristorazione di altissimo livello che fa compagnia a Palazzo Avino con il suo Rossellinis, al San Pietro ed a Le Sirenuse, solo per citarne alcuni ricadenti nella provincia di Salerno. Veramente questa penisola è un mondo a se, così distante nelle visioni da altre zone amene della Campania e lontana anni luce dalla scarsa reattività imprenditoriale del capoluogo, Hotel Romeo a parte.
Nel ristorante Il Refettorio, aperto anche a pubblico esterno all’hotel, la proposta si disegna tra territorio e grandi prodotti campani. “E’ quello che i nostri ospiti internazionali si aspettano da noi” ci dice Chrispoph. Non si inseguono qui scaloppe di foie, saint-jacques, maialini e quant’altro di standard Selecta esista. Applausi.
Ricerca sul territorio, dura e difficile, perché la morfologia non aiuta la facile mobilità degli uomini e delle merci soprattutto d’estate. Orto privato ricco di ortaggi ed erbe. Applausi applausi.
I piatti sono freschi ed apparentemente semplici, ma in ognuno di quelli che abbiamo assaggiato c’è una ricerca di spessore, di equilibrio, di profondità ed anche di piacevole rotondità che li rende appaganti e non banali. Una fotografia dei prodotti e dei gusti campani visti con gli occhi di uno chef tedesco che ha fatto suo questo patrimonio dandogli una visione personale. La sala si muove con discreto garbo destreggiandosi con simpatia tra ospiti in cerca di un momento indimenticabile, star hollywoodiane e miliardari americani.
Apertura con un richiamo ad un piatto tradizionale, la triglia va ad incontrare arance e sedano. La dolcezza del pesce sottolinea questa fresca insalata con un finocchio che chiude ed addolcisce.
La tartare di ricciola ed ananas abbinata alle erbette amare dell’orto fa fare uno scatto avanti nel percorso della cena, se prima la freschezza era aromatica e suadente, qui saltiamo il fosso e le papille gustative vengono stimolate in maniera più intesa. Fresco, estivo ed intrigante nonostante le punte di amaro e acido riesce a mantenersi piacione mangiandolo però senza noia.
Saliamo di intensità con un ricordo di parmigiana di melenzane, gamberi e cialda di riso nero. Un piatto da assaporare lentamente per goderne di tutte le belle sfumature di amaro che restano insieme con eleganza bilanciate da un buonissimo gambero.
Con il tortello ripieno di pomodoro crudo di spigola, cacioricotta e salsa di peperoncini verdi arriviamo ai primi piatti, questo probabilmente il piatto più difficile. In due a tavola abbiamo pareri diversi. Per me la bella fotografia del Cilento, dei gusti incisi nel mio palato, quelli della memoria, qui resi in maniera raffinata per un tratto e con rusticità nel boccone di chiusura. Un piatto difficile con il gusto forte del cacioricotta e l’inteso aroma dei peperoncini sulla freschezza del pomodoro e la dolcezza della pasta all’uovo e della spigola, quest’ultima nella mia visione solo un prezioso orpello.
Con il risotto alla burrata, battuto di gamberi e polvere di olive, un paio di minuti oltre la soglia del gusto delle parti del Po, iniziamo ad addolcire il palato. La salivazione è piacevole complice la buona freschezza del formaggio e i diversi tipi di sapidità, iodica quella del gambero, minerale quella delle olive.
Botta di sontuosa carnalità con lo spaghetto dei Campi con patata viola, maruzzielli e sfusato amalfitano. Forse il pitto simbolo. Protagonista l’ingrediente che più tipico non si può: la pasta. Il mare roccioso e sapido, il terrazzo di limoni. Tutto sta insieme con una facilità apparente mentre un grande lavoro di equilibrio è stato fatto per restituirne tutte le sfaccettature aromatiche degli ingredienti, partendo dal grano.
Si chiude con un esempio di orto e mare, un piatto godibile fino all’ultima goccia di brodo di pomodoro questo merluzzo in sfoglia, esempio di tecnica molto evoluta. Cottura millimetrica del pesce, sapidità e iodio ti consentono una chiusura della cena che lascia il segno.
Tra i dolci, una Santa Rosa, certo non poteva mancare, in due interpretazioni: classica e scomposta. Entrambe godibili offuscano un po’ gli altri dessert che non sono propriamente in linea con la portata stellare della cucina.
Il menù degustazione parte da 70 euro, non è un posto inaccessibile. Un prezzo che i francesi chiamerebbero di “découverte” perché se la vostra passione per la cucina d’autore si sta delineando in questo periodo questa tavola è una bella tappa per scoprire classicità, visione contemporanea e semplice godibilità del piatto. In una trattoria del Cilento ho speso la stessa cifra con soddisfazione molto diversa.
Un commento
I commenti sono chiusi.
Bell’articolo, belle foto……..peccato che la frase finale generalizzi negativamente sul Cilento, senza capire dove e come. Sarei curioso di conoscere questa “trattoria” da settanta euro