Moët & Chandon: Benoit Gouez e l’ascesa del Rosé
di Adele Elisabetta Granieri
Il racconto di un’ora e mezza in compagnia (virtulae) di Benoit Gouez, per degustare e commentare le ultime annate di Moët & Chandon che abbiamo scelto di fare nel ristorante stellato napoletano Palazzo Petrucci.
Nato in Normandia, esperienze in California, Australia e Nuova Zelanda, poi 22 anni trascorsi da Moët & Chandon, di cui 15 da chef de cave: è il ritratto di Benoit Gouez, “sacerdote” di cantina della Maison di champagne più grande al mondo.
Tra i suoi compiti, c’è quello di garantire che l’Imperial Moët, vero biglietto da visita della casa, sia coerente annata dopo annata, mantenga cioè lo stesso gusto riconoscibile che è amato in tutto il mondo. Un lavoro particolarmente complesso, considerando che per ottenere l’Impérial si assemblano i tre uvaggi di Chardonnay, Pinot Noir e Meunier, provenienti da una quantità enorme di vigneti, in una regione come quella dello Champagne che non è uniforme né dal punto di vista climatico né da quello del territorio. Uve che, ad ogni vendemmia, non hanno mai esattamente lo stesso aroma o la stessa maturità, ma che, sapientemente assemblate, garantiscono la riconoscibilità gustativa dello champagne. L’assemblaggio è una pratica in continua evoluzione, frutto dei compromessi, delle decisioni difficili e degli equilibrismi dello chef de cave.
L’impronta di Benoit Gouez ha marcato anche innovazioni significative nello stile della maison, a cominciare dalla graduale diminuzione dei dosaggi: “Quando sono arrivato a Moët & Chandon alla fine degli anni ’90, i dosaggi dei vini erano di circa 14 g/l con un finale in bocca dove lo zucchero si percepiva molto.” – ci racconta lo chef de cave in videoconferenza – “Oggi dosaggi superiori a 10 g/l non sono più adeguati per i nostri vini. Ma non ritengo che basso dosaggio equivalga buono champagne, né che con meno zucchero il risultato sia più autentico. Il dosaggio, che è fatto di zucchero ma anche di vino e solfiti, non è solo un modo per aggiungere equilibrio al vino, ma serve anche per aiutarlo a riprendersi dallo shock ossidativo della sboccatura e contribuisce al potenziale di invecchiamento, quindi, se il dosaggio esiste nello champagne, c’è una ragione.
Con il riscaldamento globale e il miglioramento delle tecniche di viticoltura, però, otteniamo uve più mature rispetto a 30 anni fa. Queste circostanze, combinate con proporzioni più elevate di vini di riserva e un tempo di invecchiamento più lungo in cantina, contribuiscono a una naturale ricchezza degli champagne, che ci consente di utilizzare meno zucchero nel dosaggio.”
Moët Impérial: biglietto da visita della Maison, si compone di due terzi abbondanti di Pinot Noir e Meunier e di quasi un terzo di Chardonnay ed è dosato a 9 grammi per litro. Un vino in cui i profumi di mela verde, pesca bianca e fiori di biancospino si muovono su un sottofondo delicato di brioche e agrumi canditi, che al sorso emerge sotto forma di matura morbidezza, che dona suadenza ad un corpo affusolato.
Ma è il rosé la vera star del momento. A lungo considerato un prodotto secondario nella regione della Champagne, proposto ad un pubblico prevalentemente femminile, il rosé si è finalmente scrollato da dosso tutti i banali cliché e sta godendo di una vera e propria rinascita. 20 anni fa gli champagne rosé di Moët & Chandon rappresentavano solo il 2-3% della produzione. Oggi la produzione di champagne rosé della Maison supera il 20%. “Per produrre champagne rosé di alta qualità, scegliamo non solo uve nere di alta qualità per la componente del vino rosso, ma abbiamo anche costantemente migliorato le nostre tecniche produttive e sviluppato un know-how specifico per la vinificazione in rosso, come la termo-vinificazione per produrre vini rossi destinati agli assemblaggi non vintage” – ci racconta Benoit Gouez.
Quando fu prodotto per la prima volta nel 1996, il Rosé Impérial vedeva l’utilizzo esclusivo di Pinot Noir per realizzare vini rossi fermi da destinare al suo assemblaggio. Con il passare del tempo venne aggiunto il Meunier ai vini rossi fermi per conferire morbidezza all’uvaggio.
Rosé Impérial: nell’assemblaggio è utilizzata una percentuale di Meunier del 40% (di cui il 10% vino rosso fermo), combinata con circa il 45% di Pinot Nero (di cui il 10% vino rosso fermo) e il 15% di Chardonnay, ed è dosato 9 grammi per litro. Un vino intenso sin dal colore, in cui le note di lampone e fragolina di bosco si fondono ai richiami di rabarbaro e corteccia e fanno da preludio ad un sorso caratterizzato dalla morbidezza del frutto e dalla grande succosità.
Moët & Chandon diede inizio alla tradizione dei Grand Vintage nel 1842, per arricchire la produzione di vini dal carattere più maturo e dalla personalità più marcata. Assemblati esclusivamente dalle uve di un’unica annata, e solo nelle annate migliori, i Grand Vintage esprimono il massimo dell’individualità e le caratteristiche più identitarie di una determinata vendemmia. Ogni anno Benoit Gouez valuta il potenziale di quell’annata e decide se dichiararla “Vintage” ed elaborare un uvaggio che ne colga al meglio l’unicità. La componente di vini rossi miscelata con l’assemblaggio di vini bianchi del Grand Vintage Rosé è costituita unicamente da uve di Pinot Noir provenienti da vigneti “Premiers Cru” e “Grands Cru”.
Il Grand Vintage Rosé 2012, lanciato nel 2018, è il 43° champagne rosé millesimato della Maison.
Grand Vintage Rosé 2012: L’annata 2012 è stata particolarmente favorevole per le uve a bacca nera, motivo per cui costituiscono una parte preponderante dell’assemblaggio. L’uvaggio è composto per il 42% da Pinot Noir (di cui il 13% vino rosso fermo), per il 23% da Meunier e per il 35% da Chardonnay, ed è dosato a 5 grammi per litro. Un vino dal deciso color corallo che si muove sulle note di arancia rossa e fico d’india, con soffusi richiami di foglia di pomodoro e un delicato sottofondo di pietra focaia che fanno da preludio al sorso intenso, verticale e pieno. Perfetto accompagnamento a tutto pasto.
Un ringraziamento sentito ad Edoardo Trotta che ci ha gentilmente ospitato per la degustazione e allo staff di Palazzo Petrucci che ci ha elegantemente supportato.