La nuova guida ai Bacari antichi e moderni di Venezia
Migliori Bacari di Venezia? Dopo la nostra prima guida ai Bacari di Venezia, ecco un nuovo pezzo aggiornato e molto utile per chi vuole andare oltre la crosta turistica e scoprire l’anima e il gusto di una città unica al mondo.
di Giulia Gavagnin
Bàcaro, dal Dio Bacco o dall’antico adagio veneziano “far bacara” o dal più moderno “far bacan” (rumore, schiamazzi, in una parola: festa). E’ il posticino microscopico con quattro sgabelli e qualche seduta esterna durante la bella stagione che rappresenta una delle anime di Venezia, la città più bella del mondo. Anima in senso di “ombra”, il calice di vino che i Serenissimi bevevano all’ombra del Campanile di San Marco seguendone il ciclo solare, per evitarne i fastidiosi raggi, dalla primavera in avanti. I “bacari” sono molti, cadere nella tentazione di fare il “bacaro tour” è forte. Un’ombra-un cicchetto-un’ombra-un cicchetto-un’ombra-un cicchetto, fino a capitolare. “No tapas, si cicchetti” è il mantra scritto, esposto da molti osti negli ultimi anni. I veneziani sono assai gelosi delle loro antiche tradizioni e non hanno tutti i torti. In Spagna la “tapa” era la fetta di prosciutto che copriva il bicchiere di birra per evitare che fosse aggredita dalle mosche, poi è diventata il quarto di porzione dei piatti di tradizione iberica. Nella Serenissima Repubblica il cicchetto nasce come stuzzichino spezzafame, da consumare in compagnia perché non esiste altra città che unisce le persone come Venezia, dove tutti vanno a piedi, che fa convivere notabili, dottori, pescatori, “siorette” sotto lo stesso tetto. Sì, proprio quello del “bacaro”. Che negli ultimi dieci anni ha cambiato pelle, aumentando in qualità, fantasia, selezione enologica. Questa vuole essere la guida ai bacari della nuova generazione e anche a qualcuno di quella passata, ancora in ottima salute.
“Cicchetti” in vista, perlopiù freddi, su crostini fantasiosamente addobbati. Ma anche qualche inserimento cucinato della tradizione: sarda in saor, polpetta fritto o in umido, “mezo vovo con l’acciuga”, “bovoeti” (lumache di mare), moscardini con sedano e aceto. Una selezione di vino che esce dallo strapotere dello “sfuso” cui ormai solo i più resilienti sopravvivono. Oggi, nei bacari più recenti, è possibile consumare acciughe e champagne, spesso strizzando l’occhio alle nuove tendenze che premiano l’oscuro concetto di “naturalità” del vino. Anche se spiace dirlo, e spiacerà ai serenissimi esercenti, i fantasiosi crostini che caratterizzano il nuovo corso dei bacari ricordano da vicino i pintxos di tradizione basca, con un tripudio di ingredienti, accostamenti anche azzardati, agro.dolce, caldo e freddo. Ormai c’è l’imbarazzo della scelta.
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GLI INTRAMONTABILI
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“Cantine del Vino già Schiavi”
L’antesignana del crostino fantasioso è Alessandra De Respini delle “Cantine del Vino già Schiavi” noto anche come “Cantinone”, una tappa immancabile del percorso veneziano. Bottiglieria di storia centenaria con una delle prime selezioni estese di vino, offre sfuso di ogni genere, qualche buona bottiglia aperta, e dallo scaffale tutto quel che vogliamo, soprattutto per chi, come noi, concepisce il vino a bottiglia e non a bicchiere. Ma il pezzo forte del locale sono i circa settanta crostini che affollano il banco, dove c’è più che l’imbarazzo della scelta. I classici: baccalà, tonno e porro, salmone e aneto, cipollina con acciuga. I creativi, per i quali Alessandra è stato premiata persino in Messico in tempi in cui il carrozzone gastronomico era ben lontano: tartare di tonno e cacao, carciofo, gambero e tartufo, gambero in saor. Un’enciclopedia del Cicchetto.
Fondamenta Nani 992 – Dorsoduro
“All’Arco”
Un altro classico in via di parziale trasformazione è “All’Arco”, della famiglia Pinto. Francesco ha sempre confezionato i migliori cicchetti di Rialto, tra crostini con baccalà mantecato, “canoce” (cicale di mare), pomodori secchi, sarda in saor (eccellente), francobolli (tramezzini) da riscaldare o da consumare freddi e qualche monito. Se gli chiedevi una birra alla spina ti rispondeva “qua alla spina c’è solo la corrente” perché alla spina c’era il prosecchino, altrochè. Oggi Francesco è affiancato dal figlio Matteo e da Anna, che preparano anche tartare di pesce e di crostacei e una selezione di crostini ancora più ampia. Con un po’ di fortuna si riesce ad intercettare anche qualche primo, come le reginette col “sugo della nonna”, una specie di amatriciana alleggerita che non dimenticherete facilmente. Vini da migliorare, si potrebbe optare per un prosecco rifermentato Cà dei Zago. Ma la vicinanza con il mercato del pesce e con il tribunale fa assaporare ancora il gusto della “vecchia Venezia”.
Campo San Polo, 436, Venezia
“Al Marca’”
Un buco nel cuore di Rialto, nel Campo della Bella Vienna dove abitualmente i veneziani si ritrovano il sabato a mezzogiorno dopo la spesa al mercato del pesce e della frutta. E’ il regno del cosiddetto “sabato del villaggio” dove a scorrere a fiumi sono spriz al Campari, all’Aperol e al Select e tanto prosecco. Ma la selezione dei vini di questo piccolissimo esercizio non è da sottovalutare: sono stati i primi a tenere Gravner anche al bicchiere. I ragazzi non propongono crostini ma paninetti con salumi e pesce e polpette di carne, tonno, melanzane. E’ facile arrivare a tre-quattro unità in questo regno della chiacchiera. E poi sentire le chiacchiere deformarsi a piacimento.
Campo Bella Vienna 213, San Polo
“Bacaro Da Fiore”
Un superclassico che non conosce crisi. Il via vai è continuo, la posizione è invidiabile, tra campo Santo Stefano e Palazzo Grassi. Equamente frequentato da turisti e locali, con il banco costantemente affollato, serve soprattutto cicchetti caldi, di ispirazione classica: polpette fritte di carne e pesce, polpette al sugo, sarde in saor, polenta e baccalà, seppie alla griglia, “folpetti” venduti al piatto o a pezzo, piatto di patate arroste, verdure. Ci si fa riempire un piatto, si chiede un prosecco e il tempo scorre amico. L’attiguo ristorante è un po’ più turistico, forse trascurabile. I veneziani si limitano al bancone e alla vista su S. Stefano non rinunciano. Anche senza essere troppo pretenziosi sui vini.
Calle de le Boteghe 3461, San Marco
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I MODERNI
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“Estro”
La modernità vera e propria inizia da “Estro” che non è solo bacaro, ma anche ristorante che offre una certa creatività senza esagerazioni. Dai cicchetti tradizionali a tartare di tonno e mandarino, lingua di vitello con cipolle borrettane, bigoli in salsa rivisti dallo chef Alberto Spezzamonte, anguilla grigliata con carciofi fritti, carni dei fratelli Damini di Arzignano. Ma il pezzo forte è la cantina, orientata soprattutto alle nuove tendenze “naturalistiche”, con tante etichette straniere, vini rifermentati e “orange”. La vetrina dei tramezzini è tra le migliori della città, quindi una sosta al banco o al tavolo conviviale nell’anticamera del ristorante è sempre un’ottima scelta, anche se non è la tappa finale del percorso. La vicinanza con il “campo degli studenti”, ovvero Campo S. Margherita, agevolerà l’ebbrezza alcolica, perché gioventù e spriz non mancano (storico il “Caffè Rosso”).
Dorsoduro 3778 Crosera, Calle S. Pantalon
“Cantine Arnaldi”
Sono belli e giovani, hanno avuto esperienze di ristorazione internazionale, adorano i prodotti artigianali a partire dal vino, rigorosamente a basso contenuto di solfiti. Un’ampia sala con un bella vetrina di cicchetti, fuori le botti dove appoggiarsi e appoggiare, a seconda dell’estro: cabernet italiani o francesi, viogner o catarratti siciliani, rifermentati emiliani. Una selezione simile ma non identica a quella degli amici di “Estro”, non a caso il fornitore principale è Meteri, un’autorità nel mondo dei vini artigianali, con etichette da tutta Europa. Una zia rifornisce i ragazzi di salumi e formaggi artigianali: un must da non perdere. Un’ottima tappa per iniziare il “Cammino di Santiago”, ops, della Serenissima, data la vicinanza con Piazzale Roma.
Salizada San Pantalon 35, Dorsoduro
“Al Timon”
Un tripudio di gente di ogni età, veneziani e non, giovani di bell’aspetto che si concedono un poco di tempo bohemienne a cavalcioni sul barcone attraccato alle bitte, un via vai di barche e di clacson. La Fondamenta della Misericordia e i suoi dintorni da pochi anni è diventato il nuovo centro della Movida Veneziana e “Al Timon” ne è il cuore pulsante. Caldo arredamento in legno e mattoni, qualche tavolo interno ed esterno, un banco di crostini tra i più svariati: mortadella, prosciutti con cren e non, baccalà su polenta, polpette, formaggi con tartufo o con fichi, bottiglie piuttosto convenzionali ma di qualità, che spaziano dal Friuli alla Sicilia. Dopo la chiusura del bar i tavoli sono presi d’assalto per la costata o la picanha con le patate (prenotare sempre) ma il via vai di gente continua fuori dal locale fino a chiusura. Approfittate per una passeggiata nel vecchio Ghetto.
Fondamenta dei Ormesini 2754, Cannaregio
“Vino Vero”
Il bacaro più interessante degli ultimi anni, secondo chi scrive, si trova a qualche passo dal Timon, ed è “Vino Vero”. Sono piuttosto talebani, tengono una grande selezione di vini di “Triple A” e una lavagna ricca di proposte al bicchiere, ripartita tra bolle, bianchi, rosati e rossi che spaziano dallo zelen sloveno al riesling alsaziano fino al grand cru di St. Emilion. Il banco è sempre affollato e trabocca di crostini di concezione superiore, che mescolano salumi ricercati come mortadella al tartufo, nduja, soppressata ovvero pesci cotti dalla cucina come tonno scottato, salmone, sgombro, sarde, acciughe a salse creative, anche orientaleggianti, come hummus, babaganoush, menta, melanzane, zucchine. Vale la pena cenarvi se in previsione c’è una serata “easy”, magari sui tavolini fuori in fondamenta, oppure tenere uno spazio per un piatto di pesce nell’ottimo ristorante informale “Anice Stellato”.
Fondamenta Misericordia 2497, Cannaregio
Migliori Bacari di Venezia
“Basegò”
Si trova in Campo San Tomà, baricentrico pressoché a tutto (vaporetti, piazzale Roma, Rialto, San Marco), e si chiama “Basegò”, che in veneziano significa “basilico”. Il proprietario è un musicista, ha girato il mondo e lui sì ha contaminato il cicchetto con il modello spagnolo. Organizza tutti i venerdì un evento musicale, fa respirare cultura, non solo bevute. Luogo ideale per una sosta in piedi, l’arredamento è caldo e la vetrina contiene una selezione impressionante di crostini, con ogni genere di salumi e verdure, anche con accostamenti azzardati, come fragole, brie, aceto balsamico. La selezione di vini è interessante, privilegia alcune etichette di agricolture “eroica” come i vini dell’Isola del Giglio ovvero etichette più convenzionali ma bastevoli per una gradevole sosta tra ribolle friulane, Soave, Valpolicella ripasso e Chianti Classico. Particolare attenzione alle esigenze dei più piccoli. Bravi.
Calle del Scaleter, 2863, San Polo
“Bar 5000”
Il nome non invita, ma sarebbe un errore. E’ al numero 5000 di Castello, il sestiere veneziano più autentico, quello che un tempo si diceva fosse popolato dai veneziani veri. E’ probabilmente così, ma il dato più allettante è la vicinanza con Piazza San Marco. Più che bacaro è wine bar, con un’ottima selezione di crostini preparati al momento con pane cotto in casa e ingredienti freschissimi, di eccellente ispirazione. Un bel soffitto a volta, un banco piccolo ma lussuoso e una Berkel in bella mostra impreziosiscono il locale, che di fatto è la dependance del ristorante emergente “Luna Sentada” di ispirazione mediterranea. I vini sono biologici, biodinamici e vegan.
Ne ha parlato recentemente anche il New York Times: secondo chi scrive, anche la doppietta wine bar-ristorante non è per niente male.
Fondamenta S. Severo, 5000, Castello