La scuola: la burocrazia al servizio dei cibi imbustati, torniamo alle merendine
di Laura Guerra
Ricomincia la scuola ed insieme al suono della campanella sono pronte a rimettersi in moto nei corridoi pieni di studenti vocianti, i distributori automatici di bibite gasate e merendine confezionate.
Le mamme contemporanee, custodi del ricordo del panino portato da casa o comprato dal salumiere vicino al liceo e della fetta di torta homemade, provano a combattere una battaglia che le vede perdenti in partenza. Merenda fatta in casa contro snack confezionati: non c’è gara, discussione, dibattito, possibilità di scelta.
La contraddizione prima di essere discussa in casa si consuma interamente a scuola luogo che forma l’impronta culturale degli studenti.
La scuola italiana contemporanea sta dicendo ai giovani che la frequentano e attraversano che questo è un Paese senza alcuna tradizione alimentare.
A scuola, prossime alle aule ci sono “le macchinette” meta ambita dagli studenti che le raggiungono per un break, consumano cibo industriale e rosicchiano un po’ di tempo alle ore di lezione.
Provate a dire ad un adolescente che sarebbe meglio portarsi la merenda da casa; non riuscirete a finire la frase senza essere accusati in ordine sparso di: voler replicare abitudini antiche; voler distaccare il giovin studente dagli usi del gruppo con gravi conseguenze sulla sua vita sociale; fare i tirchi sulla paghetta settimanale.
A scuola è vietato portare torte e dolci, pizzette e rustici fatti in casa.
Ogni istituto, di ogni ordine e grado ha la sua perentoria circolare che proibisce l’introduzione e la condivisione di cibo che non sia stato preparato, confezionato ed etichettato su nastri aziendali.
A scuola i presidi, o meglio i dirigenti scolastici si mettono al riparo da ogni possibile responsabilità vietando fin dall’asilo (pardon scuola dell’infanzia) festicciole per compleanni, onomastici, saggi di fine anno. Intolleranze, abitudini culturali nelle classi multietniche, diffidenza nell’addentare una cosa che chissà come è stata fatta li fanno rifugiare nella normativa preventiva del non permettere per non rischiare. Ligi a leggi e regolamenti nazionali e comunitari che hanno spedito la bella consuetudine di mangiare insieme nel novero delle cose pericolose.
A scuola gli stessi dirigenti vidimano, ligi, i programmi scolastici di Scienze e i progetti di Educazione Alimentante in cui si i distribuiscono simpatici gadget e opuscoli colorati che ripropongono la Piramide Alimentare e invitano gli studenti a ridurre il consumo di cibi industriali.
La schizofrenia del messaggio è compiuta: la scuola raccomanda agli studenti di mangiare sano ma non a scuola. E le madri combattono, quando la combattono, la battaglia e la perdono. Salvo sentire poi le solite chiacchiere sull’Alleanza Educativa Scuola-Famiglia o l’urticante frase fatta: “Bisogna partire dalla scuola”.
Piuttosto lasciamo entrare in classe un bel vassoio di chiacchere croccanti.
2 Commenti
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Il problema sussiste solo nelle scuole primarie, in quanto i bambini non saprebbero ancora distinguere cosa mangiare o no in caso di allergie. Vietare di introdurre cibi “marenna” è sicuramente una buona cosa, onde evitare serie preoccupazioni per i genitori di soggetti allergici. Per le scuole superiori, è solo cultura alimentare.
Sono d’accordo anch’io:ormai non c’è classe in cui non ci siano bambini allergici o intolleranti a quello o quell’altro alimento. Sembra strano anche a me che sono cresciuta a cose fatte in casa ma sono sicura che sia corretto. Spesso mi sembra ridicolo un paradossale ricorso ad alimenti “sani” vedi ad es. Frutta che viene servita spesso immangiabile, per grado di maturazione e qualità . Pretendere che i bambini preferiscano ad una merendina una mela verdognola ed acerba,una pera che sa di legno o una banana conservata così a lungo in frigo da essere completamente nera all’interno, questo sì mi sembra grave.