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Uliassi. Minestra fredda di seppie crude e fasolare -foto L. Ciomei

Uliassi. Minestra fredda di seppie crude e fasolare -foto L. Ciomei

di Fabrizio Scarpato
Contromano. Fari che vengono dal mare. Ammucchiati. Corro veloce nella notte verso il mare, tornando dal mare: Tirreno – Adriatico in un giorno. Andata e ritorno.

Bruciamo i reggiseni e le gonne / organizziamo un rave alle colonne /

   Ventiquattro maggio calamari freschi / se abitassi qui capiresti.

Un rave sotto le colonne della veranda di Uliassi non sarebbe male. Sbatte sul bagnasciuga l’onda lenta della trap, le labbra di California come quelle di Scarlett. Non ho mangiato calamari, ma ho respirato una ribellione che filtra attraverso le trasparenze dei Venini rossi e blu, che si riflette nel mare, che si scalda sulla sabbia, che rimbalza dagli occhi, che inizia con due Scampi assoluti, morsi di carne di mare, che in un colpo solo spazzano via tutti gli esperti ittici, i frescologi, i sopraccigliosi del baffo del gambero, che ci fanno un baffo, a noi che, qui e ora, in questo bianco abbacinante, del mare proviamo a comprendere l’essenzialità, l’umiltà e l’intimità senza orpelli, dopo aver bruciato ogni fiorellino, ogni ricamino, ogni cialdino, ogni bottoncino.

Uliassi. Scampo, spremuta di testa di scampo e finger lime

Uliassi. Scampo, spremuta di testa di scampo e finger lime

Dopo aver digerito ogni colore. Dopo quegli scampi, certo che capiresti davvero: perché il rave è bianco e nero, bianco o nero. Bianco. Nero.

E tra tutta questa musica che esce fuori / il mio artista rap preferito è De Gregori /

   Ti aspetto in questo bar che sembra calmo / con due Moretti nello zaino

E con le mani amore, con le mani ti prenderò… con le mani strappavo i muscoli dal fango riemergendo in un ululato, di fiato, perché lei mi potesse sentire e capire di quanta fatica e quanta forza avesse bisogno il nostro giovane amore. Avevo le unghie nere come questa Minestra fredda di seppie crude, un frullato di umori nel quale scavi, strappando sapori, iodati, vergini, immutati nel tempo, dimenticati e confusi nel cibo, i tovaglioli annodati, slabbrati, il limone spremuto sui tartufi crudi, aspri, intatti, succhiati. E De Gregori è un principe bianco al latte di mandorla, amico confortevole, un Pancotto che racconta di desideri, di inciampi, di azzardi, di morsi e di baci, del caldo e del freddo, di con chi vorresti stare, godendo della sensualità gelida dei ricci di mare.

Uliassi. Pancotto, latte di mandorle, ricci di mare

Uliassi. Pancotto, latte di mandorle, ricci di mare

E qualcosa alla fine rimane, tra le pagine chiare e le pagine scure: una pasta secca tirata al chiodo, quattro Fusilloni e un ciabattone, i fianchi accarezzati da seta sinuosa, che è lardo, che invece è polpo, trasformato, steso, essiccato, bottargato: non rimane niente, tra le pagine, che ne vorresti venti di quei Verrigni, ferrigni, indimenticabili, come i polpi che infiocinavi, che ti sputavano il nero e ora sono un lenzuolo bianco, sfatto, come un letto, dopo fatto l’amore. E dopo l’amore ti calmi, nell’aria piatta, e fotografi il momento, posate d’oro e d’argento, che di Moretti ne hai uno solo, in bianco e nero anche lui, come un mago, come Sebastiao Salgado.

Uliassi. Fusilloni e Ciabattone con lardo e polvere di polpo

Uliassi. Fusilloni e Ciabattone con lardo e polvere di polpo

Hai mai visto i pompieri lordi di Salgado? Hai mai visto le mani dei suoi contadini? Sporche di vita, traboccanti verità. Anche Mauro Uliassi gioca sporco e del mare mette nel piatto gli odori, gli afrori, persino i rumori. Fruga nel pescato come aruspice tra le viscere, oltre il pescato del giorno, oltre il fighettume delle crudità e ti sbatte in faccia una verità arcaica ed elegiaca. Il Mare dentro: trippe, fegati e cuori che fanno immedesimare, un tuffo di autenticità che diventa sollievo poetico, cucchiaiate estreme, epiche. Muti geneticamente, alle prese con quel che resta del rombo, la Corona alla griglia, le costole che diventano lische, tra collagene e carne, tra nervo e yogurt, tra arancia e semi di noccioli d’oliva. E con le mani afferri poi la Testa di quel rombo, per azzannarla senza distinguere tra carne e occhi, tra branchie e cipolle, in un gesto bestiale, semplice, vero, tra fumi di braci, alla radice, di tutto.

Uliassi. Corona di rombo alla griglia, tzatziki all'arancia

Uliassi. Corona di rombo alla griglia, tzatziki all’arancia

Uliassi. Mare dentro

Uliassi. Mare dentro

Restano residui fossili cartilaginei e uno spicchio di mela disidratata, profumata d’alloro, a ricordarti che hai felicemente peccato. E muto come un pesce, anzi ormai pesce, ti ritrovi a pensare: ti hanno fatto un regalo, profondo come il mare.

Poi ti ho portata sul Naviglio / con in mano un bicchiere di sale /

   E l’ho buttato in acqua come a dirti / vedi non ho niente però ti regalo il mare

Sapore di sale, sapore di mare. Sapore di sale, sapore di sangue: un pesce vero non è diverso da una bestia vera, se li guardi dentro. Ferro, sodio, potassio, magnesio: elettroliti e emoglobina, lo sapevano gli uomini primitivi, e anche i babbi, gran cacciatori di quaglie e di fagiani, che nelle carni e nei visceri leggevano e reggevano la loro stessa esistenza. Al fondo, dei piatti, dei gesti e dei ricordi, intuisci un sentimento di pietà, un senso della misura, uno stato di grazia, un moto della memoria, un richiamo etico d’affetto, che fan rima con rispetto. Ri-spetto. E un trancio di Ombrina con le pesche è un’oasi di pace che prelude a un percorso terragno impervio come una scalata in montagna, appagante come un’immersione: dipende da che punto di vista vivi la profondità. Acqua di insalata, pane e lumache rinfresca, ma già stridono i denti, affilati quanto basta per mordere le Tagliatelle con rigaglie di selvaggina e formaggio di fossa, come si facevano, chissà quando, la domenica, nelle aie.

Uliassi. Le tagliatelle della domenica

Uliassi. Le tagliatelle della domenica

Ne mangeresti anche il lunedì e tutti i giorni che dio manda in terra: potenti, ematiche, acide di pomodoro, ruvide di migliaia di uova. Rimembranze, in fondo facili, comprensibili, su cui ti potresti adagiare. Non lo fare. La Battuta di colombaccio ti prende a ceffoni in contropiede, sfiorando il montante d’incontro: la carne cruda e il sangue gocciolano freschezza rispetto a un fondo tirato, arterioso, umorale, contrappuntato di eucalipto.

Uliassi. Battuta di colombaccio, sugo di agnello, eucalipto

Uliassi. Battuta di colombaccio, sugo di agnello, eucalipto

Tecnica esasperata, minimalismo selvaggio che ti rimbalza all’indietro: cristo, sei nella giungla, nel paleolitico, sei ai confini dell’esistente. Sei la scimmia e il comandante Bowman davanti a una Lepre in salmì, con tutto il suo carico di intensità e mistero, monolite nero, solitario e vulcanico, che si staglia sugli sfondi bianchi, a riassumere, a concentrare, a rigenerare.

Uliassi. Lepre in salmi', croccante di carbonella, ginepro -foto A. Moretti

Uliassi. Lepre in salmi’, croccante di carbonella, ginepro -foto A. Moretti

Per costringerti a non dimenticare, e stabilire il limite oltre il quale non si può andare. Tempo di valzer, colpo di frusta, Also Sprach Zarathustra.

Scappiamo via ti porto a cena qui vicino: / crudo, rucola, stracchino /

   Bruciamo i reggiseni e le gonne / organizziamo un rave alle colonne /

   Ventiquattro maggio calamari / con le gole secche Kalahari

Dov’è il dolce? Cos’è il dolce? Il sangue è dolce, molto dolce. Così quelli che altrove chiamano dolci ti riportano a terra, ristorando le papille col ghiaccio del lemongrass, col rosso delle ciliegie, il croccante della cipolla, il tannino del polline, la freschezza del sedano, la cremosità dello squacquerone: proprio lui, non altri che lui. Il rave, adesso, potrebbe davvero cominciare.

Uliassi. Squacquerone, cioccolato bianco, sedano e polline

Uliassi. Squacquerone, cioccolato bianco, sedano e polline

Al tramonto, sul mare, col sole alle spalle, inusuale, i piedi nudi sulla sabbia, le scarpe e gli short, abbandonati tra decine di bottiglie vuote di André Beaufort. Lascia stare la rabbia: sotto le colonne frusciano le gonne, ridono le donne e brucia il fuoco di un cuoco che sfida il sole, che risparmia il sale, che insegna il pudore, lo stupore, il rigore, che scalda il cuore.

E’ una notte di giugno, niente calamari, solo fari, che vengono dal mare, che ricongiungono i mari. Gole secche, Kalahari. Sete. Schweppessss.

Crediti: Coma_Cose, Deserto

Ristorante Uliassi
Banchina di Levante
Senigallia

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