Menu degustazione / Exit Gastronomia Urbana, Milano
di Fabrizio Scarpato
Exit Gastronomia Urbana Milano. Ce l’ho, mi manca. Tre ragazzini in pantaloni corti giocano sul selciato di una piazza chiusa ai quattro lati, intatta, intonsa, bei palazzi dalle finestre quadrate, lo sfondo interamente disegnato da grandi, luminose vetrate settecentesche. Al centro un chiosco verde, ombrelloni, qualche tenda, una veranda. La camera scende zoomando in pianosequenza. I ragazzini si spostano sulla sinistra, ne senti l’eco che sfuma: ora quello che colpisce è una signora vestita color fucsia, una macchia di colore che spicca nell’aria grigioverde, al di là dei vetri del chiosco. Ha l’aria pensierosa. Il regista deve aver visto e amato la maestria di Scorsese nella scena finale di Hugo Cabret, e adesso spinge l’obiettivo fin dentro il chiosco, planando sui divanetti neri, sulle sedie thonet, tra le coppole dei cuochi e le belle bottiglie del bar; sfiora i tavoli nudi e ravvicinati, per fermarsi sul fotogramma di un nodo scuro marchiato sul legno vivo, accanto a un tovagliolo e due posate.
Piazza Erculea è un luogo d’atmosfera cinematografica, un set asettico, una bolla d’aria attraversata leggiadramente dalla via Rugabella, che ti conduce fin sotto la Torre Velasca. Milano austera e vera, nitida. E il chiosco di Exit sembra un’oasi, un gioco, una ricreazione, un contrasto che diventa armonia, un film di là dallo schermo: è facile farsi coinvolgere, istintivo partecipare, immediato guardarsi da fuori, immersi nell’attimo che dovrebbe fermarsi, anche se mai, il perfido, ti darà questa soddisfazione. Ecco, tutto questo ce l’ho, lo avverto a portata di occhi e di cuore: quel che manca è una tovaglia, forse no, un runner, forse nemmeno quello, magari basterebbero quei due piccoli parallelepipedi di pietra su cui posare coltello e forchetta, che sono su quel tavolo e non sul mio.
Anche il gusto ce l’ho, e la soddisfazione di piatti che vivono di luce propria, sia per qualità che per composizione, esente quest’ultima da qualsivoglia ausilio fittizio di fogliolismi ed esasperazioni geometriche. Attingi da una carta sintetica e priva di spartito, senza graduatorie né suddivisioni, seguendo semplicemente la voglia del momento e la suggestione di questo o quell’ingrediente, spaziando attraverso il Mediterraneo: escono pietanze equilibrate, sufficientemente ruvide, non particolarmente spinte nei sapori, ma lodevolmente rispettose dell’orto e dei colori. Così alle Puntarelle con acciughe e cipolla rossa, mordaci e ben bilanciate nel gusto, un po’ meno nel prezzo, seguono le Uova Exit, col loro bagaglio di ricordi, di gesti e languori corroborati dalla sapidità pungente di qualche fetta di prosciutto iberico, e le Triglie con aria di cedro e piselli nani, perfettamente al dente e di una bellezza vagamente nordica.
Ogni piatto rispetta i contrasti, riservando piccoli, significativi giochi di consistenze: la sottile sfoglia di cavolfiore alla base delle uova e della spuma di patate, le puntarelle stesse che pimpanti lo son di natura, gli splendidi piselli nani di Zollino che accompagnano la triglia. Allo stesso modo il porro croccante servito con l’Agnello e rape rosse, e la crosticina della Guancia di maialino iberico con ricotta di bufala e ortica, sono gli unici e insostituibili appigli in piatti carnivori tendenzialmente morbidi, frutto di cotture prolungate, che hanno fatto i conti più col calore che con la fiamma viva.
Mi manca la pasta, però: mi domando se tra forni e roner, evidenti protagonisti nella piccola cucina, non poteva trovare posto un cestello per l’acqua bollente o un fornello per una spadellata. Ho letto della probabile mancanza di canna fumaria, ma anche di una chiara scelta filosofica in una proposta che proprio vorrebbe evitare la pasta, perché figlia di una precisa collocazione temporale nell’arco della giornata, e di un desinare tradizionale legato a una scansione delle portate che sin dalla minuta delle vivande, come detto, appare rigettata, in nome di una presunta contemporaneità metropolitana del genere ”nonhotempodaperdere” che però, ahimè, volta le spalle a quanto di più autentico, e al tempo stesso innovativo e creativo, possa esprimere oggi la cucina italiana. Bum, augh… ciò detto, l’agnello era davvero buono.
Il milanese, imbruttito o meno, queste cose moderne le sa, le assorbe e le maneggia con sommo gaudio, cavalcandole con efferata partecipazione: bottiglia di Krug nel secchiello, un bellissimo piatto di culatello, uno di quaglie, un bicchiere di rosso francese a inframezzare, una chiacchierata, un giretto nella piazza per una sigaretta, per poi ricominciare con un’altra fetta di culatello, un altro giro di Krug e così via. E’ Milano bellezza: a questo punto, con gli occhi che stranamente indugiano sulla boccia di champagne lasciata lì sola soletta, a parte un inopinato quanto senile senso di invidia, sento di esser mancante di molte, troppe cose, non ultima della capacità di farmi una padellata di casi miei. Ma il Duomo di Milano è come il paracetamolo e lenisce ogni dolore, e Exit con la sua piazza è certamente uno di quegli angoli della città in cui potersi rifugiare per gioire o leccarsi le ferite. In questo senso fa il suo sporco lavoro anche un dessert fuori carta con variazioni sul cioccolato, dal wafer al brownie, dalla spugna alla ganache, alle quali si appoggia lepido un bel gelato alla mandorla.
Insomma l’innamoramento, o l’infatuazione, ci può stare, ma manca il senso del tempo, quella sensazione che distingue la cronaca dalla storia. Perché sembra difficile innamorarsi di un format, di un’idea di cucina multitasking come questa, e come altre del momento, che magari si moltiplicherà o finirà o si sposterà, come quegli amori estivi da stabilimento balneare che sapevi da subito che a settembre sarebbero finiti. Però, come tutti gli innamoramenti, anche questo vale certamente la pena di essere vissuto, qui e ora.
Adesso la carrellata indugia sulla veranda, per poi uscire nuovamente all’aperto sfiorando la signora in fucsia: non era pensierosa, ma semplicemente concentrata, e col miglior tempo sul giro stava gustando una superlativa Crème Brulée con ricotta, rosmarino e l’apporto decisivo quanto inconsueto di qualche spicchio di arancia e di un gelato al mandarino. O forse il contrario… Comunque ce l’ho, e un po’ mi manca.
Exit Gastronomia Urbana
Piazza Erculea
Milano