Hermitage, Nord Rodano. Domaine Jean Louis Chave


Jean Louis e Gerard Chave

Quello dall’altra parte del fiume.
A Mauves, che proprio una meraviglia non è, così vicina ma così lontana dal duetto Tain l’Hermitage / Tournon sur Rhone. In mezzo il Rodano, sinuoso e tranquillo. In alto, incastrato in una ansa del fiume e sovrastante Tain, l’Hermitage, lo sperone di roccia che raccoglie probabilmente la storia più lunga della viticultura francese.

Tournon, Tain e l'Hermitage

E così pare quasi consequenziale che quella famiglia al di la del fiume stia da quelle parti da 500 o 600 anni e che di padre in figlio abbia continuato a fare uno dei vini più antichi di Francia , appunto, L’Hermitage .

I vini dell’Hermitage sono idealmente collegati alla famiglia Chave, che produce anche i vini al di qua del fiume, i St.Joseph, però l’Hermitage è un’altra cosa . Innanzitutto per la particolarità del territorio e del suo clima diverso da ogni altra denominazione del Rodano.
Questa montagna posizionata perpendicolarmente all’asse del Rodano, i cui pendii sono protetti dai venti del nord e dalle gelate primaverili beneficia di un microclima estremamente favorevole.


E anche verso il pieno sud la vigna non soffre la siccità poiché le radici delle vecchie piante di syrah , di marsanne e di roussanne hanno una relativa facilità a scendere in profondità nel terreno .
A volte le precipitazioni piovose, fitte o violente, potrebbero danneggiare il ripido pendio, ma il savoir faire dei vignerons ha rimediato a questa eventualità, avendo costruito un rete di canaletti che garantiscono la buona conservazione dei terreni molto scoscesi.
Dicevo dei vitigni syrah e marsanne, che qui dominano incontrastati e che contribuiscono alla produzione dell’Hermitage blanc o rouge, godendo della medesima alta considerazione da parte degli appassionati di ogni parte del mondo. E l’etichetta di J.L.Chave lo conferma, essendo praticamente identica per il bianco ed il rosso.

Sullo sperone dell’Hermitage è stato possibile individuare nel corso dei secoli una ventina di territori, dei lieu dit, distinti tra di loro per peculiarità di esposizione, di altitudine, di prevalenza di suolo granitico piuttosto che calcareo .
Presso altri grandi produttori come Chapoutier o Jaboulet, tanto per fare due nomi famosi, si etichettano gli Hermitage diversificandoli a seconda della parcella di origine dell’uva (la selezione parcellare di Chapoutier in particolare), mentre Chave vinifica e affina separatamente i vari “climat” che però saranno poi destinati a comporre un’unica cuvèe, un unico vino.
Possiamo paragonare in qualche modo questo metodo tradizionale a quello utilizzato dal nostro grande vecchio del Barolo, l’indimenticato Bartolo Mascarello.

Pertanto, chez Chave si verifica la singola origine di ogni vino, si definisce quali saranno degni di entrare a far parte dell’Hermitage dell’annata , mentre il resto sarà venduto al mercato dei negociants , creando così due soli vini : Hermitage Rouge, Hermitage Blanc.

Ma c’è un’eccezione che si chiama Cuvèe Cathelin, Hermitage rouge . Questa etichetta è dedicata unicamente alle annate eccezionali e si manifesta coerentemente al vino della medesima annata, differenziandosi unicamente per densità e ricchezza di frutto, ma non avendo sostanzialmente complessità così superiori da giustificare i prezzi di mercato, che in questo caso vanno a premiare più la rarità che la qualità.

Tra le annate che ricordo con maggior piacere c’è sicuramente la 1999, di una pienezza straordinaria. Il bianco, con la sua naturale grassezza che si rivela già roteando il bicchiere che prenderà toni gialli intensi con riflessi dorati e sboccerà in sensazioni olfattive vicine al miele e a fiori e frutti bianchi. Il rosso, esuberante ed austero, dritto e sicuro , con le virili speziature che virano fino al cioccolato.
E’ quindi vero o comunque quanto mai condivisibile ciò che si è sempre detto sui vini dell’Hermitage: qui come su nessun terroir il bianco è il rosso hanno pari dignità e forniranno altissime sensazioni, sia che provengano dal vitigno rosso syrah che dai vitigni bianchi marsanne e roussanne. Anche se sono diventato con il passar degli anni un purista del monovitigno e pure bianchista, qui l’imbarazzo è totale. Un Hermitage rouge con un piccione tartufato o un Hermitage blanc con la mitica poularde en vessie sauce foie gras di Alain Chapel ?

E per finire una chicca, che purtroppo pochi possono affermare di aver bevuto, e io, ahimè, stavolta non sono tra quelli.
Il Vin de Paille di Jean Louis Chave: un passito di roussanne e marsanne prodotto in rarissime annate, le ultime sono state il 1989, 1996 e 1997, e ne sono state imbottigliate meno di un migliaio di mezze bottiglie.
Il fascino e il mistero dell’Hermitage.
Non mi permetto neppure di tradurre queste parole di Jean Louis Chave.

« Le vin de paille, c’est au-delà d’un vin, c’est un vin un peu transcendé. C’est un vin qu’on ne fait pas, c’est un vin qu’on ne peut qu’essayer de faire, qui se fait tout seul. C’est ce qui est fascinant dans ce vin-là. « (Jean-Louis Chave)

GDF

13 Commenti

  1. Da quando scrive il Guardiano del Faro su questo blog, trovo imbarazzante scrivere a mia volta.

  2. Altra viticultura eroica! Ma immaginate che significa fare i trattamenti sù e giù per la montagna(una volta si facevano con l’elicottero, ora per esigenze biologiche, si fanno a mano) o portare il materiale organico atto alla concimazione nelle vigne, oppure giunti alla fine dell’annata raccogliere l’uva in quelle condizioni geo-morfologiche del terreno? Se non lo immaginate ve lo dico io : significa fare gli “spalloni” ma non di quelli che portano danaro, ma di quelli che portano pesi che “pesano”, in un territorio dove anche la salita a vuoto è una faticaccia, figuriamoci con gli zaini pieni sulle spalle. In termini economici i costi incidono all’incirca del 100% in più. Ma se quel qualcosa in più può venire da questo tipo di terroir, onore al merito! Fondamentale nel risultato sono anche la vinificazione separata delle uve provenienti da ciascun climat e l’arte della successiva miscelazione in cui i Chaves sono veri e propri maestri ed è una delle ragioni principali per la complessità e la profondità nei loro vini. Infatti, ogni annata presuppone delle percentuali diverse provenienti da ogni Climat a seconda dei caratteri della vendemmia. Vi domando e mi domando, come può un siffatto vino costare meno di 150 euro a bottiglia? Un solo cruccio, non ce lo possiamo permettere tutti…

    1. Possibile che non ci siano trenini a cremagliera? Eroico sì, per la manutenzione dei muretti, per i canaletti di scolo, per le condizioni tutte, non dissimili da altre viticolture “eroiche”. Ma gli spalloni … ho dei dubbi. O no? Ma se è così, perchè? Duri e puri?

      1. Le cremagliere di Ischia sono spettacolari, sono convinto che ti uscirebbe un grande pezzo
        Elicottero Liguria-Isola Verde pagato. (da maffi 3, il ricco) :-))

      2. Può anche essere che ci siano i trenini, anche se non ne ho trovato traccia alcuna in ognidove sul web, ma anche se così fosse, considerando solo gli impegni che tu stesso menzioni, sono lavori come dice Maffi “mica da ridere”!

  3. @Marina
    Sicuramente il Guardiano del Faro ha una bellissima scrittura.
    Ma anche i tuoi reportage sono molti belli e ricco di passione.
    Da lettore, credo che questo sia il blog dove l’italiano non solo è rispettato, ma celebrato. Ci sono un sacco di autori eccellenti.
    In rete è merce rara

    1. Quoto, qui non è certo la qualità media degli scritti a mancare… ognuno porta un suo contributo e nessuno si deve sentire sminuito ;-)

      A bientot les amis.

  4. @marina : non dirlo a me !
    @pignataro v.f.c…. e comunque forse ce le ha pure vicino a la spezia, quindi perchè buttare soldi in petrolio ?
    @ gdf : un filo di moderata ironia ? :-)

  5. Riprendendo il filo eoliano, secondo Lei Guardiano non abbiamo un passito di Pantelleria,o di dove vuole in Italia,che non abbia le stesse note di questo vino de Paille? Non le chiedo nomi ma sostanzialmente vorrei sapere se le sue schede, in cui è da ammirare questa memoria dei sapori così longeva, puntano essenzialmente alle peculiarità di questi vini francesi o al fatto che le abbiano solo loro.

    1. Scusa se mi intrometto Alba
      Il tema dell’eleganza e della sapidità è uno dei nodi irrisolti dei passiti siciliani.
      Calabria da tenere d’occhio

  6. Io adoro queste due terre tant’è che tornerò presto in Sicilia per riprovare le stesse sensazioni che hai indicato. Poi, seguendo il tuo blog, terrò gli occhi aperti anche sulla Calabria di cui per ora ho conosciuto bene la costa ionica. Grazie Luciano.

  7. Un tempo tutto l’Hermitage blanc era un vin de paille , una tipologia di vino che risale almeno al 1760.Un metodo tradizionale usato a Hermitage per la produzione di questo vino non è tanto radicale quanto quello che, in tempi relativamente recenti, è stato riportato in auge in Alsazia e che prevede che, prima di passare alla spremitura, le uve vengono lasciate seccare su uno strato di paglia, finché il 90% del succo non sia evaporato. Chave ha prodotto un vin de paille leggendario nel 1974 e, successivamente, atra grande annata è stata quella del 1986. Alcuni di questi vini sono ricchi e sanno di uva passa, mentre i migliori hanno una freschezza vivida, con intensi aromi di fiori e di agrumi e un immenso e lunghissimo retrogusto di miele. Quello di Chave, quindi, è considerato il miglior vin de paille ed è molto difficile trovarlo sul mercato. Altri buoni vini di questa tipologhia li producono, oltre a quelli più commerciali di Chapoutier, Michele Ferraton, Guigal e, soprattutto, Jean-Louis Grippat con due grandi annate: 1985 e 1986. Altra storia, naturalmente, è quella dei vins de paille lieux-dits Còtes du Jura.

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