Mastroberardino e il vino in Irpinia: una spettacolare storia di 300 anni
Oggi Taurasi intitola una piazzetta del centro storico ad Antonio Mastroberardino. Un evento storico, per la prima volta un viticoltore campano riceve questo onore a dieci anni dalla sco parsa. In questa intervista pubblicata sul Mattino di Avellino il figlio Piero ci ricorda questa ineguagliabile storia secolare.
di Alberto Nigro
A partire dal Settecento, attraversando la storia, la famiglia Mastroberardino ha scritto pagine fondamentali della viticoltura irpina e campana e oggi si posiziona ai vertici del settore enologico nazionale. A raccontare le tappe principali di quell’epopea, con lo sguardo rivolto verso il futuro, è il professore Piero Mastroberardino, al timone aziendale dagli anni ’90.
Professore, partiamo dalle origini: quando nasce e come si sviluppa l’azienda Mastroberardino?
«Le origini della famiglia Mastroberardino nella viticoltura in Irpinia risalgono agli inizi del ‘700 e proseguono senza soluzione di continuità fino ad oggi, come testimoniano atti e documenti originali esposti nel MIMA, il Museo d’Impresa Mastroberardino di Atripalda. L’impegno nella crescita del settore viticolo si consolida lungo tutto il periodo del dominio borbonico, con numerosi atti notarili di acquisizioni di terreni e fabbricati, la realizzazione delle cantine storiche di Atripalda che sin dal principio accolsero anche la principale residenza della famiglia, e molte citazioni alle finalità delle colture di vigneto che già all’epoca venivano evidenziate negli atti d’acquisto dei fondi».
Poi la parentesi napoleonica…
«Nel 1810 Gioacchino Murat promosse un’indagine delle risorse agrarie del Regno di Napoli da cui emerse la presenza di 59mila moggi a vigneto nel Principato Ulteriore, caratterizzati da siti alto-collinari e clima tipicamente montano. Un secolo più tardi, nel 1910, la Campania era la quarta regione italiana per produzione di uve, con circa 7,5 milioni di quintali e circa 5 milioni di ettolitri di vini prodotti, con l’Irpinia in grande evidenza, con circa 2 milioni di quintali per circa 1,3 milioni di ettolitri prodotti e 63mila ettari a vigneto. La provincia di Avellino era in quel periodo la settima provincia italiana per quantità di uve prodotte».
Qual è stata la figura centrale dei primi tempi?
«Nella prima metà dell’800 Michele Mastroberardino, il mio trisnonno, compì un’opera importante di crescita del patrimonio agricolo familiare. Nel corso degli anni Settanta dell’800 Angelo Mastroberardino, mio bisnonno, che fu nominato Cavaliere del Re nel 1905 da Vittorio Emanuele III di Savoia, avviò le esportazioni e attuò un programma di partecipazione con i suoi vini ai principali concorsi enologici internazionali, tra cui gli importanti eventi dell’expo di Parigi (1900) e del Crystal Palace a Londra (1906), ponendo le basi per l’attività che suo figlio Michele, mio nonno, avrebbe poi realizzato a inizio ‘900, ovvero la copertura dei mercati di tutti i continenti del globo».
Quali eventi hanno inciso maggiormente sullo sviluppo aziendale?
«La crescita degli investimenti agricoli nel corso del ‘700 e dell‘800 si accompagnò con l’evoluzione dell’impresa familiare dalla dimensione agricola a quella agro-commerciale, con l’apertura dei mercati e la realizzazione di una struttura organizzativa fatta di responsabili commerciali per le varie aree del mondo, servizi di traduzione interni. Nonno Michele circa un secolo fa pubblicò studi che vennero forniti al Governo e alle rappresentanze istituzionali per contribuire alla crescita dell’economia del vino italiano».
Ricordiamo l’intreccio tra l’impresa fiumana di Gabriele D’Annunzio e il pionierismo imprenditoriale di casa Mastroberardino?
«Michele, in risposta all’avvento del proibizionismo negli USA, aprì i mercati latino-americani, ma una delle navi che trasportava un importante carico di vini Mastroberardino a Buenos Aires, il Cogne, il 5 settembre 1920 divenne oggetto degli atti di pirateria compiuti quell’anno dai legionari del Poeta armato e fu dirottata a Fiume.Mo nonno per sei mesi, da gennaio a giugno del 1921, girovagò in America del Sud per risolvere la questione e versò un riscatto al Vate pari al 25% del valore del prodotto rubato».
Come ne usciste?
«Si sviluppò un fiorente traffico commerciale tra l’azienda Mastroberardino e i distributori di vini locali che durò fino alla seconda guerra mondiale. Nel 1923 l’Irpinia del vino valeva ancora 2 milioni di ettolitri e la famiglia Mastroberardino figurava tra i principali produttori ed esportatori. Nessuna delle altre famiglie, circa 60, censite come attive e operanti all’epoca è più attiva nella filiera vino attuale».
A quali mercati guardavate allora?
«Di quegli anni sono le aperture dei più svariati mercati, con una forte presenza in Paesi come la Norvegia, l’Albania, l’intero continente americano anche con presenze di Paesi minori come Haiti (grande compratore del Taurasi negli anni Trenta del Novecento), la Jugoslavia, tutto il continente africano passando per le Filippine e l’Impero Anglo-Indiano, e così via. Una straordinaria capacità organizzativa e gestionale per una piccola impresa dell’entroterra del Sud Italia».
Oggi si parla diffusamente di Fiano, Greco e Aglianico, ma nella seconda metà del Novecento puntare su questi vitigni era tutt’altro che scontato….
«Il dopoguerra fu il periodo più cupo della nostra storia. Antonio Mastroberardino avviò un’opera straordinaria di riqualificazione e rifondazione del patrimonio viticolo d’Irpinia fondato proprio su Aglianico, Greco e Fiano, remando controcorrente rispetto ai dettami della scuola dell’epoca che puntava decisamente verso varietà più produttive quali Trebbiano, Sangiovese e le varietà internazionali. Era l’orgoglio di riportare alla luce il grande patrimonio di reputazione dei vini d’Irpinia con cui suo nonno e suo padre prima di lui avevano solcato gli oceani e vinto ogni forma di avversità».
Cosa avvenne esattamente?
«Iniziò un’opera di proselitismo presso le famiglie dei viticoltori nelle diverse contrade d’Irpinia assistendole nei programmi di reimpianto e nel frattempo iniziò a lavorare a un progetto di zonazione ante litteram che sarebbe poi stato la base per la costruzione dei primi disciplinari di produzione del Taurasi DOC e del Greco di Tufo DOC che videro la luce nel 1970. Poco più avanti, nel 1978, giunse anche quello del Fiano di Avellino DOC. Le grandi vendemmie dei nostri Taurasi di quel decennio sono tuttora considerate tra le migliori dieci interpretazioni enologiche mai espresse dall’Italia nel mondo. Nel 1968 l’Accademia Italiana della Vite e del Vino organizzò una visita ad Atripalda. Antonio Mastroberardino pubblicò il contributo dal titolo “I vini tipici irpini” (1968) in cui fornì una panoramica dell’Irpinia del vino, dei suoi vitigni, dell’intero territorio viticolo provinciale.
Qualche esempio?
«Nel 1972 il Greco di Tufo e il Taurasi di casa Mastroberardino furono premiati al 1° Concorso Mondiale dei Vini di Budapest. Nel 1976 La Domenica del Corriere dedicò al nostro Taurasi il Premio del pittore Salvatore Fiume. Nel 1980 lo scrittore inglese Burton Anderson intervistò Antonio Mastroberardino per il suo volume «The Wines & Winemakers of Italy». Nel settembre 1984 fu la rivista americana Wine Spectator ad accendere i riflettori sulla nostra attività con un articolo dal titolo “The South shall rise again”. Antonio Mastroberardino inaugurò proprio quell’anno la presenza aziendale alla più importante kermesse mondiale del vino, la New York Wine Experience e tuttora la nostra famiglia è l’unica rappresentante dei vini del Centro-Sud Italia. Nel 1989 lo scrittore Hugh Johnson dedicò un capitolo del suo storico libro “Vintage. The story of wine” ad Antonio Mastroberardino: “The Grape Archaeologist”».
Poi venne la DOCG…
«Nel 1992 giunse il riconoscimento della DOCG del Taurasi, che ho curato personalmente. Esistevano solo due aziende che producevano Taurasi: Mastroberardino e Struzziero. Solo la prima delle due aveva però il requisito della rinomanza internazionale che la legge 164/1992 poneva come condizione essenziale per l’ottenimento del riconoscimento. Il 2 giugno del 1994 Antonio Mastroberardino venne insignito dell’onorificenza di Cavaliere al Merito del Lavoro dalla Presidenza della Repubblica Italiana».
Oggi Mastroberardino è tra le realtà più note e apprezzate d’Italia. Il Taurasi Radici Riserva 2016, solo per fare un esempio, si è recentemente posizionato al quinto posto della prestigiosa classifica di Wine Spectator. Si è fatto il massimo o si può ancora migliorare?
«I processi di crescita non hanno mai fine. Il riconoscimento che abbiamo quest’anno raccolto con Radici Taurasi Riserva 2016 è il risultato di un lavoro di generazioni, non il frutto di un lampo di genio. Siamo riusciti con costanza a portare la nostra terra sul tetto del mondo e consegniamo questo risultato ai nostri conterranei con orgoglio, raccomandando che di questa reputazione straordinaria si faccia uso accorto e maturo».