Master sulle Tecniche di Cantina Primo Incontro da Alois: la vinificazione in bianco


Fattoria Alois: la vigna di Pontelatone Audelino

di Annito Abate

Carpe diem! Cogliere l’attimo fuggente in Cantina, entrare nel backstage di un’Azienda Vitivinicola nel momento giusto per capire ed approfondire il “progetto” di un vino in compagnia del suo “architetto” e del “committente”.

Questo è il racconto di una bella giornata, del primo di quattro incontri quando essere nel posto giusto al momento giusto diventa importante, ad esempio, dopo la vendemmia dei chicchi d’oro quando cominciano le prime pratiche di cantina.

Gli argomenti trattati. La raccolta delle uve, la pigiatura, la vinificazione in bianco; la cura del colore, dei profumi, del sapore, l’importanza della buccia, la crio-macerazione, la macerazione pellicolare, gli acidi organici e post fermentativi, i microrganismi di fermentazione.

Si vive in questo periodo dell’anno uno dei Momenti Enoici fondamentali per molti Territori della Nostra Regione dove è tempo di raccolta delle uve. Per essere precisi si parla, ora, ancora di grappoli “dorati” perché quelli “purpurei”, almeno per le varietà più autoctone, devono ancora scaldarsi alla luce della cara, indispensabile, vecchia Stella del nostro sistema solare.

Per chi volesse saperne di più e magari cimentarsi anche in una vinificazione in bianco può essere utile fare qualche riflessione, magari in compagnia di un enologo; qualche sabato fa io l’ho fatto alla Fattoria Alois di Pontelatone, nella bellissima cornice dell’Alto Casertano, in uno splendido altopiano alle pendici dei Monti Caiatini, dove ho potuto godere di una deliziosa giornata di sole, di quelle che aiutano a caricare gli acini di zuccheri, di acidi e di tante altre sostanze che, ben “addomesticate”, regalano nei calici emozioni allo stato liquido.

Siamo a circa 300 metri sul livello del mare e la catena di emergenze naturali che circonda i vigneti favorisce la giusta escursione termica e ventilazione per donare all’uva tutte le ulteriori sostanze che nel vino saranno restituite in termini di colori, profumi e sapori.

E’ importante partire da un grappolo sano per poter assicurare all’architetto del vino (l’enologo) una “materia prima” tale da soddisfare l’idea progettuale che, con il committente (il vigneron) si è pensato di realizzare.

La luce radente del mattino disegna luci ed ombre tre le botti e la pigiatrice

Il cortile della Cantina è assolato, sotto il porticato la luce, data l’ora, batte ancora radente sulla “macchina fabbricatrice del nettare di bacco”, sul sistema di pompe e, fortunatamente, non ancora sulle cassette d’uva (pallagrello bianco) che, in posizione strategica attendono di “tuffarsi”, al più presto, nelle pompe per essere sofficemente pressate nel contenitore pneumatico rotante che le trasformerà prima in mosto e successivamente in quello che suole chiamarsi “vino fiore” ed infine in “vino”, che sosterà, per adeguato tempo, nelle bottiglie prima di essere degustato.

Ci incontriamo per la prima volta, un gruppo di enoappassionati curiosi che non si stancano mai di capire, approfondire e comunicare quello che stanno imparando; non possiamo superare il numero prefissato (non si può essere più di venti per non disturbare troppo l’attività in Cantina in un momento così delicato) e solo grazie all’AIS di Caserta ed all’enologo dell’Azienda Vitivinicola riusciamo ad assistere, in diretta, alle varie fasi della vinificazione in bianco: una “lezione” peripatetica la cui data, come sarà per le altre, è stata dettata dal ritmo della natura e si è tenuta nel momento esatto della raccolta e pigiatura per raggiungere la sua massima espressione didattica.

Carmine Valentino (enologo di Aziende quali Alois, Marsella, Ciro Picariello, Rocca del Principe, Urciuolo, Sorrentino, solo per citarne alcune) sosta in piedi con un grappolo di pallagrello bianco tra le mani ed una grande vite rotante in acciaio ai piedi pronta per essere avviata.

L’enologo Carmine Valentino durante la sua lezione peripatetica

«Nella vinificazione in bianco si lavora solo con il mosto, separando subito la parte solida da quella liquida; bisogna saper trasferire tutte le sostanze dall’uva al mosto per non perdere il giusto colore, i profumi ed i sapori» dice l’architetto del vino.

L’uva viene vinificata a grappolo intero, raspi compresi insomma, per evitare inutili lacerazioni delle bucce e conseguenti stress sugli acini ma anche per non avere una feccia eccessiva; ci penserà la pressa idraulica orizzontale a “massaggiare” con delicatezza ogni chicco ed estrarre il liquido dorato che finirà nei contenitori in acciaio di fermentazione detti, appunto, “fermentini”.

Importante, si diceva, la “salute” delle uve e l’enologo, allora ritiene doveroso cominciare proprio dai vari “costituenti” della materia prima: 1. Il raspo (non contiene zuccheri e gli acidi, solo in forma salificata, non serviranno a donare freschezza, di contro c’è ricchezza di polifenoli che possono condizionare il mosto dando astringenza ruvida al vino), 2. La bacca (è l’acino che è costituito da buccia, polpa e vinaccioli ed è avvolto dalla “pruina”, una sostanza cerosa che imprigiona i lieviti naturali e che si potrà scegliere se conservare o annullare con quelli selezionati), 3. La buccia (che regala sostanze aromatiche ed aromi varietali che si svilupperanno sempre più con il tempo prima della definitiva maturità); 4. La polpa (divisa nella sua parte più esterna che contiene zuccheri e sali e quella interna che contiene ancora zuccheri ed i fondamentali acidi, 5. I vinaccioli (sono i semi che vengono esclusi per la vinificazione in bianco e che in quella in rosso cedono tannini, un’astringenza di natura diversa che, in combinazione con le bucce, diventa importante per l’evoluzione).

L’uva appena vendemmiata aspetta di essere lavorata

La vinificazione prosegue e ce ne accorgiamo dal ritmico sussulto delle pompe corrugate, colorate di arancione sgargiante ma soprattutto dalla ritmica sequenza con cui vengono “rovesciate”, nel convogliatore, le dorate uve dalle gialle cassette.

Si sceglie di non diraspare i grappoli per evitare una produzione eccessiva di feccia iniziale, si sceglie una separazione veloce delle parti solide; in ingresso le uve vengono “irrorate” con enzimi “estrattori di naturalità”, sostanze che influiscono sul colore e sugli aromi, avviando quello che si definisce “processo pectolico sul mosto” con illimpidimento iniziale. L’enzima pectolitico funge da catalizzatore della soluzione, cioè “rompe le pectine” favorendo, in pratica, la separazione delle fecce (che si depositano in basso sul fondo) dal liquido “chiaro” (che sosterà nella parte alta del serbatoio).

La natura, come sempre, “decodifica” con semplicità le cose e si “accorda” con tutte le sostanze attraverso il “freddo” che fa molto bene al mosto e lo aiuta a diventare “bello e pulito”.

Le uve vengono pompate all’interno della pressa a membrana che le “lavora”, il succo ottenuto dalla premitura viene sgrondato (separato dalla parte solida) ed altre pompe lo portano ai contenitori in acciaio forniti di controllo di temperatura per le successive fasi di fermentazione.

Nella vinificazione in bianco il prezioso liquido si vede poco perché deve scomparire presto per arrivare direttamente nei serbatoi di fermentazione; si sceglie una lavorazione “in riduzione” o “in parziale ossidazione” perché l’ossigeno può donare al vino troppo colore ed avviarlo, quindi, verso un precoce invecchiamento, in più, si possono creare anche problemi di stabilità con conseguente necessità di interventi e correzioni.

 

L’uva vinificata a grappolo intero

Seguendo le fasi di lavorazione si assiste ad una vera e propria “respirazione” ritmata da quello che tecnicamente si chiama “tempo di mantenimento” che si fa agire in funzione del tipo di uva e del suo comportamento in fase di vinificazione; in pratica i grappoli vengono pressati con delicatezza da una membrana che prima di rilasciarli sottoforma di succo si gonfia, li sgretola e li ritiene per quel frammento di tempo che l’architetto del vino considera necessario per ottenere il vino che ha progettato insieme alla Terra (i PLC, le schede di regolazione dei parametri ed i diversi programmi di pressatura, tutti studiati e forniti belli e pronti dai fabbricanti delle macchine di vinificazione, sono la naturale deriva di de.poetizzazione richiesta dalle regole ferree della produzione e del mercato).

La natura ama la varietà e tratta le sue “materie prime” con grande lungimiranza: «la tecnologia e la biotecnologia si adattano all’espressività intrinseca dei diversi vitigni» dice Carmine Valentino «ma dipende anche dall’andamento stagionale, dall’annata, dal diradamento fogliare eseguito, ad esempio, per avere più sole o più ombra»; è noto che una minore incidenza della luce non favorisce un eccessivo carico di sostanze.

i serbatoi in acciaio hanno ricevuto il liquido dorato per avviare la fermentazione

A 24 ore di vita si fa il primo travaso, dopo 24-48 ore, con il mosto limpido che sosta in una sorta di “caos calmo”, bisogna far partire la fermentazione facendo entrare in campo i lieviti (in genere selezionati) che vengono radunati ed allertati nella prima massa (piede di avviamento con complicità dell’azoto) che, resa viva, viene aggiunta al mosto per svegliare “il resto della truppa” ed accompagnare tutto il liquido dorato verso il trionfo finale.

La delicatezza della pressione prestabilita (pochi bar: da 0.2 a 0.8 talvolta fino a 1.5), il controllo della temperatura (gradazione bassa) ed il tempo (molte giornate, in genere un grado zuccherino consumato al giorno) sono indicatori fondamentali di qualità. I vini bianchi, così sensibili a seconda di come vengono “trattati” diventano strabilianti se si sa “prenderli dal verso giusto” e tirano fuori il miglior carattere durante l’intero arco della loro vita che, talvolta, nel miracolo della vecchiaia, diventa un’esperienza indimenticabile che lascia il segno nei sensi e nell’anima del degustatore che ha la fortuna di incontrali.

La natura è grande e si prende i suoi momenti lasciando agli esseri umani la semplice complicazione di decodificarla in chimica e discipline affini: si assiste alle fasi della vita di un vino dallo sviluppo degli aromi primari che lasciano poi il posto a quelli secondari (prima e dopo la fermentazione) ed infine a quelli terziari, quando il tempo sa liberare i veri aromi varietali prima imprigionati in un “dolce legame glicosidato”; la molecola aromatica “rompe il guscio zuccherino” così come una mamma che si convince a lasciar andare il proprio figlio perché sa ormai camminare con le proprie gambe.

Dal “mondo vegetale” a quello “animale o quasi”

Dopo l’interessantissima peripatetica lezione in Cantina, lasciato idealmente il “mondo vegetale”, a fine giornata, ci concediamo una pausa in quello “animale o pseudo tale” degustando i prodotti della Cantina Alois con eccellenti vini in abbinamento raccontati  dall’enologo e dal produttore; gli ottimi salumi (pancetta e lombo di maiale), i formaggi (conciato di capra di San Pietro Infine nell’Alto Casertano, pecorino e caprino non conciato stagionato 40 giorni), i vini, didatticamente ed elegantemente vestiti di bianco (1. Fiano di Avellino DOCG, Donna Paolina 2012; 2. Fiano di Avellino, Guido Marsella 2009; 3. una inaspettata quanto piacevole mini verticale di Terre del Volturno IGT Caiatì, Fattoria Alois 2011-2010-2009).

I vini degustati in abbinamento e raccontati dai protagonisti

Una bellissima esperienza, non c’è che dire, ma si pensa già al prossimo incontro, previsto tra la metà e la fine di ottobre, sarà ancora una volta un appuntamento deciso dalla natura, quando le purpuree bacche sentiranno il richiamo della vinificazione in rosso.

A presto!