Marisa Leo, un femminicidio nel mondo del vino
Non ci sono parole per un omicidio. Ancor meno per un femminicidio le cui radici culturali profonde e ancestrali sono non a caso in tutte e tre le principali religioni mediterranee, espressioni culturali di società pastorali e rurali, che relegano comunque la donna ad un ruolo secondario. Migliaia di anni di storia non si cancellano in poco tempo, ma se aggiungiamo che negli ultimi trent’anni in Italia si è imposta ua cultura fintamente machista che equipara le donne a un oggetto di consumo, o meglio, a una preda, vediamo quanto lavoro c’è da fare sul piano mentale prima ancora che repressivo.
Infatti rispetto agli anni ’70, sul tema della parità, sono stati fatti molti passi indietro, soprattutto, quel che è brutto, tra le giovanissime generazioni che hanno come riferimento i film porno come manuale di educazione sentimentale.
Questo tema ci tocca da vicino per la morte di Marisa Leo, molto conosciuta nel mondo del vino per il suo lavoro in una azienda siciliana. Lo ha rilevato efficacemente Laura Donadoni, in un settore dove invece sono stati fatti tanti passi in avanti rispetto a 30 anni fa ed è per questo che lo choc è più forte. Quando ho cominciato a scriverne, le donne avevano il compito della contabilità o al massimo avevano intestata l’azienda nelle realtà contadine del nostro Mezzogiorno. Ma oggi, dopo tanto tempo, da Nord a Sud, abbiamo donne manager di grandi aziende, sommelier, enologhe, produttrici, proprietarie di aziende, giornaliste, critiche, che hanno costruito percorsi entusiasmanti e sempre con maggiore efficacia nel mondo del vino che è, lo dico sempre, la punta di diamante della nostra agricoltura e del nostro made in Italy. In questo sito lo abbiamo registrato grazie alla serie di Chiara Giorleo e tante firme di punta sono appunto di giornaliste. La sensazione, sino a ieri, era di vivere una assoluta parità di genere.
Marisa Leo è stata uccisa non da un compagno, ma da un padre che non ha esitato a lasciare senza genitori una bimba di tre anni che adesso, quando potrà capire, porterà questo delitto con se per tutta la vita. Ecco perchè questo omicidio ci riporta indietro e ci fa capire invece che la strada per l’emancipazione cuturale, e dunque comportamentale, è ancora lunghissima e tutti quanti noi, nel nostro piccolo, siamo chiamati a dare il nostro contributo con l’esempio. La sofferenza del maschio per l’abbandono, o il suo orgoglio, non può tramutarsi in licenza di uccidere, ma nella possibilità di ricostruire altri rapporti e guardare avanti, proprio come avviene per la donna. Il vero uomo sano di mente non uccide, ringrazia per il tempo vissuto assieme e trasferisce il bagaglio di esperienza fatta in un nuovo rapporto.
Per affermare questa banalità è necessario assumere comportamenti quotidiani coerenti di rispetto giorno dopo giorno, ora dopo ora, senza mai derogare, neanche con una battuta.
Certo, lo Stato deve fare la sua parte come da più parti invocato, ma se non c’è vittoria, egemonia direbbe Gramsci, culturale non basta la repressione di un fenomeno.
Vale per la mafia come per i femminicidi.