Manchester, ristorante The French di Simon Rogan, lo chef delle stelle e dei premi
di Virginia Di Falco
Per l’edizione 2014 di The Good Food Guide, lo chef Simon Rogan con il suo Enclume, due stelle Michelin, in Cumbria, è il primo dei 50 migliori ristoranti del Regno Unito. Insieme al Fat Duck di Heston Blumenthal sono gli unici due ad aver raggiunto il voto pieno – 10 su 10 – di questa guida “indipendente” nata nel lontano 1951.
E, sempre Simon Rogan, dalla stessa guida ha ricevuto il premio per migliore new entry dell’anno per aver riportato a nuova vita lo storico ristorante The French nell’eduardiano Hotel Midland, a Manchester dal 1903.
Svecchiata completamente la sala, dove ormai solo gli stucchi alle pareti ricordano i fasti dell’inizio del secolo scorso, ed incorniciano moderni ed essenziali pannelli color verde acido e due splendide sfere di cristallo. A contrasto, il legno nordico dei tavoli e delle sedie che tanto piace a Rogan (quasi stile Ikea, come ha ricordato una penna un po’ velenosa sul Guardian); mise en place ultra minimale, con micro-tovagliette che effettivamente suscitano qualche perplessità.
Il servizio è molto ben coordinato, professionale come ci si aspetta, e forse anche troppo, nel senso che non cede mai a piccole complicità con i clienti e le descrizioni dei piatti, ancorchè molto precise, non hanno mai qualcosa di veramente partecipato. Discorso diverso per il sommelier (siciliano), preparato e attento, al quale conviene affidarsi per indovinare gli abbinamenti e la scelta da una lista varia e interessante, anche se non molto originale.
Ma è giustamente sul cibo che conviene concentrarsi, sulla varietà praticamente infinita di declinazioni vegetali accompagnata da fugaci interpretazioni, quasi istantanee, di carne e di pesce. Con una profondità nella ricerca dei prodotti della terra e un approccio ancestrale al regno animale che ricordano l’ormai celebre onda nordica partita da Copenhagen.
E l’inizio del menu degustazione, con due finte perle d’ostrica, di sedano rapa e mele, adagiate nelle conchiglie su un letto di pietre levigate dall’acqua di mare ricordano proprio lo stile di impiattamento di Rezdepi. Un amuse bouche che però colpisce più la vista che il palato, a differenza delle altre tre, che arrivano praticamente in contemporanea, e che hanno molto piu’ carattere: dalla zampetta di maiale con la crema di grasso di prosciutto profumata alla salvia, croccante ed appagante (ne faresti fuori un cartoccio); allo sgombro con una base croccante di segale e l’affumicatura talmente leggera da convivere in perfetta armonia con la lavanda; fino alle baked potatoes, che più terragne non si potrebbe, anche nella presentazione.
Una sorta di piccolo manifesto della cucina, insomma, dove l’universo vegetale coinvolge tutti i sensi ed esce vincente persino nei piatti dove la cifra sembrerebbe essere quella del grasso animale.
E così il midollo che accompagna il merluzzo affumicato viene rinvigorito dall’aglio fresco e dai funghi sott’aceto; la grassezza dell’ovetto di quaglia contrastata dal cavolo riccio e dalla mostarda.
Un po’ meno efficaci gli gnocchi di cavolo navone serviti con una salsa d’uovo d’anatra, micro cipolline e nasturzi (fiori commestibili, dal sapore simile al crescione), dove al bel contrasto cromatico non corrisponde una vivacità di gusto e sapori.
Tutto questo anticipa uno dei piatti forti del menu. Probabilmente “il” piatto, quello che Simon Rogan ha portato qui direttamente dalla sua cucina bistellata dell’Enclume: il suo particolarissimo crudo di bue, servito con gocce di olio al carbone, piccole sfere di cavolo rapa, semi di zucca e germogli di girasole. Quasi un gioco di biglie, divertente per gli occhi così come per le papille, che rimbalzano tra croccantezza, grasso, fumè e freschezza.
Immancabile la portata con la cappasanta, il mollusco che sta al curriculum di un grande chef come il compito scritto di diritto processuale all’esame di procuratore: pare non se ne possa fare a meno. Qui servite con verza caramellata, erbe marine e uova di pesce affumicate. Ovviamente ne è pervenuta solo la consistenza.
A seguire un piatto vegetale con mini barbabietole, crescione, carciofo disidratato e Ragstone; ancora una volta, di grande impatto visivo, con un bell’equilibrio tra dolce e amaro risolto essenzialmente con erbe e ortaggi, molto più che con il grasso del caprino.
Un po’ aggressivo, poi, l’abbinamento dei cavolfiori arrostiti con il nasello, mentre la carne di faraona, nella portata successiva, si accompagna molto bene alle rape cotte nel grasso del bacon: un grande classico, dalla cottura perfetta.
Niente di meglio, arrivati a questo punto, che pulire il palato con un dessert al rabarbaro: ancora una volta, colori che allietano la vista, presentazione essenziale, pulita, non stucchevole, esattamente come il riscontro al palato. Ancora un gioco sui toni dell’amaro di fine pasto per il secondo dessert intitolato al carbone del Lancashire: dolce scuro e spugnoso, con gelato al latte, crema di liquirizia e finocchio.
Bella chiusura dolce-non dolce che accompagna col petit four, in maniera leggera e gradevole la fine di un percorso complesso, vivace, dove l’attenzione spasmodica per i prodotti stagionali e ‘naturali’, a tracciabilità ipercontrollata, è controbilanciata dalla ricerca dell’essenzialità, di un linguaggio del cibo tanto semplice quanto moderno.
Nel complesso, un’esperienza interessante di New British Cuisine (sicuramente la migliore, oggi, a Manchester) che tiene legati insieme un grande rispetto per i prodotti della terra – quasi ossequioso si potrebbe dire – il richiamo non banale alle preparazioni classiche e una grande tecnica, molto più divertita che scolastica.
Due menu degustazione, rispettivamente a 59 e 84 sterline.
The French
The Midland Hotel
16 Peter Street
Tel. 0044 161. 2363333
www.the-french-co.uk