Mancanza di personale? E’ la conseguenza di una politica ventennale di continuo abbassamento dei salari, e quando poi si scopre che Masterchef non è la realtà…


di Marco Contursi

Ogni anno, in questo periodo, è la stessa storia. Riaprono hotel e ristoranti, e i titolari si lamentano che non trovano personale. Non so quanti si rivolgono a me nella speranza che conosca qualcuno che vuol lavorare con loro. Colpa del reddito di cittadinanza? Della svogliatezza dei giovani? Sicuramente c’è qualcosa di vero, ma c’è anche dell’altro. Vediamolo insieme:

  • La Durata. Il lavoro nella ristorazione è uno dei più duri poiché si lavora quando gli altri si divertono, e quindi niente Natale, Pasqua, 1 Maggio in famiglia. Già questo lo rende poco appetibile ma poi ci si mettono i datori di lavoro a proporre orari assurdi, incompatibili con una vita sociale. Se si fanno i doppi turni, senza pausa si finisce alle 2 del mattino. Fare 15-16 ore consecutive, o anche oltre, è assurdo, sia chiederlo che accettarlo, poiché se uno accetta poi passa il messaggio che la cosa è fattibile ma, a ben vedere, è l’azienda stessa oltre che il personale a risentirne, poiché per lavorare bene servono persone con energie fresche e non sfiancate, sia mentalmente che fisicamente, da ore e ore di lavoro. Quindi avremo un personale stanco che lavora male.

Il lavoro deve essere compatibile con una vita, personale e sociale, accettabile. Altrimenti, diventa una condanna. Niente hobby, niente tempo coi figli o con la moglie. Solo lavoro, lavoro, lavoro.

Finanche Papa Francesco è intervenuto, duro, su questo argomento: “Una persona che lavora dovrebbe avere anche il tempo per ritemprarsi, stare con la famiglia, divertirsi, leggere, ascoltare musica, praticare uno sport. Quando un’attività lavorativa non lascia spazio a uno svago salutare, a un riposo riparatore, allora diventa una schiavitù.”

Leggere il post di un pizzaiolo che si vanta di aver lavorato 17 ore consecutive, fa capire come, ancora oggi, la durata folle del proprio lavoro sia visto da alcuni come un titolo di merito. Nella gran parte sono persone aride di interessi e sentimenti che vedono nella “fatica” l’unica ragione di vita. Incuranti di come si sentano trascurate le famiglie, oltre che dimentichi che ognuno ha necessità di momenti di svago in cui coltivare le proprie amicizie e interessi, diversi da quelli del proprio lavoro. E solo in presenza di un serio problema di salute ci si accorge di quante cose non sono state fatte e che probabilmente non si avrà più il tempo di fare.

  • Qualità del lavoro. Lavorare sotto il sole senza avere una pausa, far mangiare ai dipendenti roba scaduta o quasi, far pagare loro una bottiglia di acqua, sgridarli con parole offensive al più piccolo sbaglio, far pesare loro se si fermano 5 minuti a riposare, protestare se chiedono un permesso per fare una visita medica, pagarli sempre con grande ritardo, sono alcune delle cose che rendono il lavoro insopportabile. Se i titolari non comprendono che dal benessere dei loro dipendenti, deriva necessariamente quello della loro azienda, le cose non possono migliorare. Se un dipendente sta male, lavora male. PUNTO!!!
  • Lo stipendio. Un cameriere che fa 10 ore al giorno prende 30-50 euro. 60 in pochissime strutture, di più è la mosca bianca. Dividendo la cifra fanno 4-6 euro all’ora, per fare un lavoro usurante, spesso in nero. E sbaglia chi pensa che paghino poco solo le strutture di terzo ordine, ho appreso proprio in questi giorni come finanche una struttura importante dia 40 euro al giorno ai camerieri, che guarda caso sono tutti giovanissimi. Poiché un padre di famiglia non potrebbe mai accettare di portare a malapena 1000-1200 euro al mese, a cui sottrarre le spese per andare al lavoro. Ovviamente il servizio sarà molto approssimativo, gestito da personale privo di esperienza perché molto giovane. E questo risparmio sul personale non si può accettare in realtà che fatturano milioni, con centinaia di migliaia di euro di utile. Un aneddoto? Alcuni anni fa un cameriere di un ristorante molto conosciuto, mi raccontò che il titolare promise al personale un premio di 500 euro a persona se avessero raggiunto entro il Natale successivo un certo fatturato di vendite. Fatturato raggiunto, i dipendenti aspettavano il premio ma il titolare comunicò loro che a causa di una spesa improvvisa non poteva dare quanto promesso e subito dopo prese una bottiglia e li invitò a brindare al suo nuovo suv. Così, senza alcuna vergogna, a sbatter loro in faccia lo schifo che faceva. Questo spiega oggi il grande turnover dei dipendenti, quando quelli che restano sono solo quelli che si trovano in una situazione di bisogno economico e quindi costretti a sopportare di non avere più una vita in cambio di meno di quello che meriterebbero.

Ma per fortuna, qualcuno la pensa diversamente.

Francesca Nadalini, imprenditrice di Mantova ha assunto a tempo indeterminato una dipendente incinta con questa motivazione: ”Il lavoro di un imprenditore è un atto politico, dobbiamo fare scelte che diano un segnale di speranza e di meritocrazia”.

Mentre Emanuele Scarello, chef bistellato friulano afferma: ”Lavorare non può sostituire vivere, non si deve chiedere a sé stessi e ai collaboratori di lavorare senza sosta. Non bisogna esaurire le forze di nessuno”. Esempi seguiti da diversi colleghi stellati che hanno ridotto la settimana lavorativa ai propri dipendenti, ottenendo un netto miglioramento delle loro prestazioni, infatti sono più contenti e più riposati e quindi lavorano meglio.

Parole spesso al vento in Campania, dove non ho mai sentito di un imprenditore che abbia elargito un premio in denaro ai dipendenti per festeggiare un anniversario aziendale o altra occasione importante, , o che capisca che un tavolo che si presenta alle 15.30 e venga fatto accomodare non può essere la norma.

Per non parlare poi del misconoscimento delle professionalità, e qui mi viene in mente un altro episodio che mi raccontò un cameriere a cui veniva chiesto dal titolare del ristorante di fare la fila alla posta per lui, perché “io ti pago e devi fare tutto quello che ti dico”. O del ragioniere di una azienda meccanica a cui il sabato era chiesto di curare il pollaio del titolare, poiché il sabato gli uffici aziendali erano chiusi ma “qualcosa deve fare”. Arroganza alla ennesima potenza.

E’ notizia di questi giorni che alcuni dipendenti accusano Salt Bae, il famoso macellaio/imprenditore titolare di numerose bracerie nel mondo,  di “ imprecare contro di loro, minacciare continuamente il licenziamento, controllarli in modo ossessivo, far pagare loro i tavoli che fuggono o una bistecca cotta male”, tutte cose che possiamo riscontrare in tantissimi locali italiani. Per non parlare di quello che alcuni fanno mangiare al personale o le avances che alcune donne devono sopportare dai loro titolari. E ci meravigliamo che non si trova personale. Ricordo sempre con sdegno un servizio televisivo che faceva vedere gli alloggi dei dipendenti di un hotel in una rinomata località turistica del centro Italia che erano dei sottoscala umidi e senza una finestra.

L’errore sapete quale è? Semplice, che gli imprenditori pensano di poter fare oggi gli stessi guadagni di 20-30 anni fa. Ma all’epoca si facevano tanti soldi non pagando le tasse, con costi di utenze e affitti infinitivamente più bassi, non sulla pelle dei dipendenti. Ma oggi coi controlli telematici del fisco non è più così facile evaderlo, gas e luce sono alle stelle, gli affitti oltre ogni buonsenso e allora si pensa di risparmiare sull’unica voce dove i controlli latitano ossia i dipendenti. Poiché tutti sanno che ci sono strutture con personale in nero o sottopagato, ma i controlli degli enti preposti sono fatti alla “sciampagnona”. Perché sennò come ti spieghi che i giornalisti di programmi come le Iene scoprono tantissimi casi di chiara violazione della normativa sul lavoro e non lo fa chi è pagato per vigilare su questo?

Vero è che la pressione fiscale che grava su una impresa oggi è eccessiva e quindi lo Stato in primis dovrebbe aiutare la situazione, da un lato premiando chi assume, dall’altro pretendendo e vigilando su un giusto compenso che tenga presente il costo della vita odierna, dove con 1000 euro al mese non ce la fai a vivere dignitosamente.

E allora prima di lamentarci che non si trova personale disposto a lavorare o se si trova non è formato, chiediamoci cosa offriamo e se soprattutto noi faremmo quel lavoro alle condizioni che proponiamo ai dipendenti. Con sincerità, ricordando sempre che il lavoro è solo una delle cose della vita di un individuo. Che poi la vita di un imprenditore della ristorazione sia oggi difficile tra tasse, covid e problemi vari, lo sappiamo ma non può essere scaricata questa difficoltà sulle spalle dei dipendenti, soprattutto in quelle strutture che invece hanno la fortuna di lavorare tutto l’anno.

Altrimenti sarà sempre meno professionale il personale disponibile con ricadute sulla intera economia di una nazione che ha nel turismo una voce importantissima del pil.

Un cameriere, uno chef, ben formati, hanno una professionalità che va retribuita e non sfruttata. Un cliente ha diritto ad un trattamento degno, e dovrebbe esserci chi vigila su questo. Ma non c’è. O c’è solo sulla carta.

Oggi la vera innovazione, che andrebbe premiata dai clienti, non dovrebbe essere l’alveolo più grande in una pizza ma un locale che tratti bene i propri dipendenti, con politiche di welfare, in proporzione alla realtà in cui si opera. Per capirci, se ad una pizzeria con 6 dipendenti si può chiedere di farli mangiare bene e di far fare loro orari umani, ad una azienda di 70 si possono chiedere politiche più evolute di welfare come una assicurazione sanitaria, o dei premi al raggiungimento di alcuni obiettivi.

Un imprenditore che facesse questo, potrebbe costituire un precedente da prendere come esempio per tanti colleghi, col risultato di avere aziende dove regna una maggiore serenità e quindi si lavora meglio con risultati positivi anche per le casse aziendali.

Un modello quindi di work-family enrichment che vede il benessere dei dipendenti strettamente connesso ad un miglioramento della produttività aziendale.

Ma se l’idea di un imprenditore è solo quella di massimizzare i profitti, incurante del benessere dei suoi dipendenti, le cose nel tempo potranno solo peggiorare.

A proposito del reddito di cittadinanza, da molti additato come un male assoluto, anche io credo che il reddito di cittadinanza presentava falle enormi, ma se già otteneva come scopo di non far accettare a chi versava in condizioni di bisogno, stipendi di 6-700 euro al mese in nero, beh, già solo per questo l’avrei mantenuto. Migliorandolo sicuramente per creare una linea di confine netta tra chi vuole vivere di assistenzialismo e chi cerca solo lavoro degno di un paese civile, che significa con orari umani, diritti civili, e stipendio adeguato alla professionalità.

Chimere qui al sud, dove l’arte di arrangiarsi spesso decantata, significa quasi sempre essere sfruttati, dicendo anche grazie.

E ci meravigliamo che non si trovano camerieri e cuochi????????????