Luca Ferrua si è dimesso daI Gusto. La lezione da mandare a memoria
Mentre Toti resiste, Luca Ferrua si dimette. Da direttore de Il Gusto, più in generale, dal Gruppo Gedi che, in puro stile piemontese (intendo falso e cortese), gli rivolge “i migliori auguri per le sue prossime sfide professionali”.
Il motivo è stato ben spiegato dal sito Dissapore che ha saputo scavare, meglio degli altri, in questa vicenda scoprendo anche qualcosa che non era contenuta nelle solite veline della Procura ormai divenute materiale di copia e incolla nella maggior parte dei casi.
La sostanza della vicenda sembra essere questa: l’ex direttore del Gusto ha creato un paio di società nel 2023 e 2024 e una di queste ha avuto accesso a fondi comunali le cui modalità sono al vaglio degli inquirenti su denuncia di una consigliera dell’opposizione di un paesino dell’ hinterland torinese, Baldissero. Credo di essere facile profeta, da ex cronista di giudiziaria, nel prevedere che questa storia, come tante altre simili, finirà in un nulla di fatto nelle aule dei tribunali.
Ferrua si è dovuto dimettere perché, da dipendente della Gedi, è entrato in palese conflitto di interessi con il suo datore di lavoro, e non tanto perchè ha costituito una società, quanto perché, come nota argutamente Chiara Cavalleris sempre su Dissapore “quale agenzia può obbligarsi a “pubblicazioni su quotidiani di rilevanza nazionale“? Un servizio che non può rientrare tra le prestazioni di un’agenzia di comunicazione”. Fin qui siamo ancora al limite, diciamo che è uno sconfinamento, ma il fatto è che la prelibatezza esclusiva del comune di Baldissero ha avuto ampio spazio e visibilità sul Gusto e al Teatro del Gusto di Bologna pagando, secondo l’accusa, la società al 50% di Ferrua e non la Gedi.
E questo, per una società editoriale, è il peggior reato che un dipendente possa fare, soprattutto negli ultimi anni in cui a comandare veramente sono le concessionarie di pubblicità.
Naturalmente su Ferrua si sono scatenati un po’ tutti, il mondo romano in primiis (città imbattibile nel misurare la quota di potere che ciascuna persona può esercitare e primo a capire chi è prossimo a crollare) che Ferrua ha fortemente marginalizzato sul piano editoriale accentrando tutto a Torino, ovviamente anche Valerio Visintin, che pure come Luca Ferrua ha condiviso ottimi rapporti con il Consorzio della Mozzarella di Bufala Campana, nientepopodimenoche sul Gambero Rosso.
Ma c’est la vie, e con l’età sto adottando il principio di vivi e lascia vivere, al resto ci pensano gli altri e il tempo.
Una considerazione però devo farla e ve la voglio trasmettere come consiglio.
Stare lontani il più possibile dai politici e dai fondi pubblici gestiti da loro.
Ci sono dovute eccezioni, come sempre, ma il fatto è che il mondo dell’agroalimentare italiano, vino in testa, è riuscito a crescere a superare tutte le crisi (Twin Towers, Lehman, Covid, ora guerra) nonostante la politica e a prescindere dalla politica.
Le motivazioni che spingono la politica ad entrare in questo mondo senza averlo saputo difendere quando si trattava di lavorare per gli interessi italiani a Bruxelles e a Roma sono strutturalmente in contrapposizione con quelli del mondo produttivo per un motivo semplice: il mercato dell’agro alimentare italiano è il mondo, quello dei politici la loro circoscrizione elettorale.
Anche il più onesto e specchiato degli amministratori locali ha un suo ufficio stampa da piazzare, un grafico da far lavorare, un amico da inserire nel programma e questo è il motivo per cui la maggior parte della manifestazioni che vedono la presenza di politici non hanno alcun senso se non avere le carte a posto per i finanziamenti.
Insomma, il vero tema non è il mandato di pagamento alla società di Ferrua, ma come un amministratore possa pensare di usare così i soldi delle tasse dei cittadini.
In questi giorni, per esempio, a Firenze infuria la polemica sulla concessione con maxi sconto della tassa di occupazione scuola di piazza Michelangelo ad una organizzazione il cui unico pregio sembra essere quello di avere la benedizione del Pd come ha ben scritto il collega Marco Gemelli sul Forchettiere. Una kermesse dalla quale i migliori pizzaioli della città secondo 50 TopPizza e Gambero Rosso non ci sono.
Mi chiedo, che senso ha per il Comune non incassare almeno i centomila euro di occupazione di suolo pubblico?
Da cosa si riconoscono le manifestazioni finanziate con le tasse dei cittadini?
Semplice: le tavole della presidenza dei convegni e dei buffet sono sempre affollate, le sale vuote.
Ovviamente gli scatti fotografici dei resoconti sono sempre sulle tavole.
Ps: Un aspetto pratico e decisivo per seguire il mio consiglio comunque è che in ogni angolo d’Italia ci sta sempre un consigliere di opposizione che manda gli atti alla Procura o alla Corte dei Conti, per cui a meno che non abbiate un yacht dove salire alla Toti, non ne vale la pena tra tempo di anticamera del politico, favori da restituire, tempi di erogazione dei fondi e giornate trascorse in tribunale. Magari da innocenti. Meglio credere in se stessi.
Un commento
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Splendida analisi. In Camoania c’è un comune salernitano dove questa pratica di manifestazioni continue coi soldi pubblici abbonda..