#lsdm: sala Kind of White. Cuttaia, Baldessari, Beck, Sultano, Sang Hoon Degeimbre e Genin
di Luciana Squadrilli
Dopo i saluti di Antonio Lucisano – con i doverosi ringraziamenti alla famiglia Pagano e all’ospitalità del Savoy Beach Hotel, e il giusto riconoscimento del lavoro che casari, allevatori, pastai e produttori dei piccoli grandi tesori dell’agroalimentare italiano svolgono ogni giorno, trovando alleati preziosi nei grandi chef a cui forniscono in cambio continui stimoli – si parte alla grande in sala Kind of White con Pino Cuttaia. Enzo Vizzari lo introduce ricordando il grande successo riscosso dal piatto presentato a Paestum due anni fa, la Nuvola di mozzarella, poi piatto dell’anno per la guida Espresso.
Lo chef siciliano si definisce un artigiano, non a caso indossa un grembiule blu che ricorda i camici da lavoro delle maestranze e ha tra i suoi utensili delle forbici da barbiere, preziose per tagli netti e precisi. Quest’anno, spiega, ha deciso di lavorare sulla ricotta di bufala partendo però dalle suggestioni ispirate dalla mozzarella di cui, dice, «Parte del fascino sta nella sfera bianca che sembra fluttuare nel liquido come un oggetto misterioso. Partendo da questa sensazione di illusione, ho lavorato destrutturando la ricotta di bufala fino a farla diventare un uovo in tegamino». Fatta ben asciugare per risultare compatta e lavorata con il frullatore a immersione eliminando poi l’aria incorporata con il sottovuoto, la ricotta viene lavorata a formare il “bianco” dell’uovo. Sopra, Cuttaia vi dispone un tuorlo crudo, poi favette fresche e asparagi selvatici appena scottati, crema di piselli e foglioline di erbe selvatiche. A finire, bottarga di tonno («il tartufo siciliano») e una spruzzata di colatura d’alici per dare una sapidità ben dosata e un tocco umami che incontrano la dolcezza della ricotta e dell’uovo e l’amaro fresco e gradevole dei vegetali. Quasi un’istantanea di primavera, per un piatto necessariamente di stagione.
Tocca poi a Giuliano Baldessari, chef-patron dell’Aqua Crua di Barbarano Vicentino. Emozionato, spiega che lui è un cuoco e parlare in pubblico non gli riesce: una frase quasi insolita ormai, che ci riporta con piacere all’essenza del lavoro di chi sta in cucina. Ma non solo: Baldessari – amico e allievo di Massimiliano Alajmo, con trascorsi in cucina anche da Aimo Moroni e da Marc Veyrat – dimostra di saper trovare ispirazione in tutto ciò che lo circonda, dall’arte alla natura. Il primo assaggio, realmente essenziale – un bocconcino di mozzarella – serve a introdurre il ragionamento sul potere dell’illusione che, cita, è la “distorsione di una percezione sensoriale causata dal modo in cui il cervello interpreta le informazioni che riceve”; un po’ come avviene nei quadri di Escher dove uno stesso soggetto, ripetuto all’infinito, dà luogo a una visione complessa e differenziata. Dunque il secondo “bocconcino” è in realtà una sfera di “mozzarella home-made” che nasconde una sorpresa, con tanto di presentazione a effetto con un mirascopio, specchio illusorio che riflette all’esterno quel che contiene all’interno. Il latte di bufala viene lavorato a 37°, cagliato con fermenti e poi “filato” esattamente come una mozzarella, al cui centro viene inserita una pasticca congelata di estratto di pomodoro, poi chiuso e mozzato. L’aspetto è uguale al bocconcino precedente ma l’assaggio si rivela ben diverso da quello che la mente si aspetterebbe.
Heinz Beck, introdotto da Fiammetta Fadda, presenta due piatti creati appositamente per la manifestazione, frutto dei ragionamenti dello chef “tedesco de Roma” sui prodotti simbolo di questa terra – mozzarella, ma anche pomodori, basilico – e sugli aspetti nutrizionali e salutistici del cibo. Il primo – i tortellini di basilico al gusto di caprese – è una versione della caprese, spesso oggetto di rielaborazione da parte degli chef ma questa volta proposta sotto forma di pasta ripiena: un tortellino farcito con crema di basilico (foglie fresche e sbollentate ridotte in polvere con l’ausilio dell’azoto, poi mantecate con extravergine) e condito con un’“acqua” di pomodori ben maturi conditi con poco sale, basilico e aglio – questa è una rivisitazione di caprese, precisa lo chef, quindi nessuno gridi all’eresia per l’utilizzo di ingredienti non canonici – poi passati allo chinois, trattenendone tutto il sapore nonostante l’aspetto evanescente. Con la mozzarella di bufala, liofilizzata concentrandone sapore e sapidità, crea una polvere con cui spolverizza i tortelli mantecati nel burro di bufala, con un risultato gustosissimo ma di grande freschezza. Nel secondo piatto i pomodori vengono invece cotti con aglio, basilico e un pizzico di sale per ottenere un’”acqua” dal colore più intenso, addensata con radice di yuzu. La salsa fa da base a una fetta di melanzana viola cotta in più step al microonde per mantenere il colore bianco della polpa, poi marinata con aglio, timo, basilico ed extravergine. Sopra, una “gratinatura” a base di pane croccante, prezzemolo e polvere di mozzarella (ottenuta di nuovo con l’aiuto dell’azoto) passata alla salamandra: quasi un’anteprima d’estate siculo-campana. Lo chef tedesco infatti non nasconde l’importanza di avere una moglie siciliana per la sua abilità nel saper interpretare la cucina italiana: «Ci sono delle cose che non puoi imparare, se non attraverso l’affetto e l’amore della famiglia».
Ancora Sicilia, quella più autentica e rustica, con Ciccio Sultano. Lo chef di Ragusa, uno dei protagonisti della svolta della ristorazione siciliana come ricorda Luigi Cremona, dichiara il suo amore per la campagna tanto che ha pure messo su una piccola azienda avicola dove alleva polli e galline. Al congresso porta un carciofo “spinello” cotto sui tralci di vite secondo l’usanza siciliana, che ricorda da vicino quella delle furnacelle campane. Quasi bruciato nelle foglie esterne, poi eliminate, viene farcito al cuore con dei dadini di mozzarella e poi passato brevemente al forno. Nel piatto, sistema una rondella di bufala tal quale con delle briciole di pane abbruscato con del finocchietto selvatico a ricordare la brace, sui cui sistema il carciofo a testa in giù. A questo punto vi versa del brodo di pollo con del Marsala – alla maniera siciliana – e finisce con una generosa dose di tartufo bianchetto siciliano a scaglie e con pomodori ciliegino e peperoncini canditi. Un piatto intenso, corroborante e pieno di suggestioni, come tutti quelli di Sultano.
Tocca poi a Paolo Marchi e Sang Hoon Degeimbre chef belga – ma di origini coreane – del ristorante bistellato L’Air Du Temps, dal 2013 ospitato in una bella dimora di campagna con tanto di orto, a suggellare il rapporto sempre più stretto con il territorio e con la terra. Famoso per la sua applicazione del Food Pairing, la scienza che studia gli abbinamenti – quelli lampanti, ma pure quelli più inconsueti e insospettabili – tra i diversi alimenti sulla base delle componenti chimiche, lo chef dimostra come l’applicazione della scienza in cucina non vada in direzione contraria all’armonia con la natura, tutt’altro. Dopo una carrellata della sua carriera attraverso i suoi piatti principali – i suoi “viaggi essenziali’ – che affiancano all’influenza franco-belga la riscoperta attraverso lo studio delle sue origini asiatiche, propone il piatto frutto della sua ricerca della mozzarella. Degeimbre ne prende la componente lattica per farne una sorta di succo concentrato unito al succo di kimchi (verdure fermentate) che va ad arricchire con una nota acidula ma morbida al tempo stesso un bellissimo e variopinto piatto a base di croccanti ortaggi – carote, broccolo romanesco, carciofo, cavolo cappuccio… – ed erbe raccolte nei boschi, in un insieme di grande eleganza.
Chiusura in dolcezza con il grande pasticcere-cioccolatiere parigino Jacques Genin per la prima volta alle prese con la ricotta di bufala. Genin – che ha rivoluzionato l’idea classica di pâtisserie con la sua “pasticceria espressa”, come ricorda Eleonora Cozzella conquistata dalla maestria di Genin e dalla seduzione del cioccolato – ha messo a punto per il congresso due creazioni sul filo tra dolce e salato che dimostrano la straordinaria versatilità di questo grande prodotto: una sorta di cheesecake a base di ricotta e barbabietole con germogli di anice e barbabietola, e un incredibile choux super-croccante farcito con ricotta montata con poca panna di bufala e olio extravergine e coperto da una sorta di “glassa” verde alle erbe.
A conquistare anche il pubblico delle Strade della Mozzarella, oltre alla bontà essenziale ed elegantissima dei due assaggi, la passione autentica e genuina del grande pasticcere che non ama definirsi né un maestro né un artista ma “un pasticcere classico che ama stare in laboratorio con le persone a cui vuole bene”, nonostante una grande esperta come Faith Willinger non esisti a dichiarralo “un genio, che ha inventato un nuovo linguaggio del mondo dolce”.