Lo Chardonnay del Sud: si fa ma non si dice:-)


Chardonnay Planeta

Stavo provando i vini Librandi con Nicodemo per la guida Slow Wine durante il mio ultimo giro in Calabria. Improvvisa la folgorazione: “Mi fai bere il Critone 2011”? “Con piacere, un vino che mi sta dando enormi soddisfazioni, ne vendiamo 40.000 bottiglie l’anno”.  Lo provo, mi piace: secco, fresco, molo interessante e con buone prospettive di allungo nel tempo.
Nasce così questo post: già: lo Chardonnay, al Sud. Vade retro Satana?

Alessio Planeta

Avendo una cultura piuttosto recente di commercializzazione del vino, l’Italia ha seguito le mode: negli anni ’80 e ’90 sembrava non ci fosse altro modo per fare buoni vini che piantare uve internazionali. Il risultato di questa spinta è stato positivo: i vini si sono ripuliti  e hanno iniziato ad avere termini di confronto che prima mancavano assolutamente. Di quella stagione restano alcune grandi bottiglie che continano ad avere molto successo, espressione di una viticoltura attenta e rigorosa, non a caso lavoro di grandi aziende che hanno fatto la storia del vino del Sud e in Italia. Come lo Chardonnay di Planeta che quando uscì nel 1994 ebbe lo stesso successo di The Rythm of the night di Corona.
Oggi questo stile esuberante, ricco, tropicale, è passato di moda nella critica 2.0, ma continua ad avere un larghissimo seguito di pubblico. Mi piace che sia rimasto coerente a se stesso e lo bevo con piacere.

Alberto e Giuseppe Tasca D'Almerita

Lo Chardonnay di Tasca d’Almerita, nato nel 1989, ha una storia un po’ più lunga e meno clamorosa, ma non per questo meno significativa. E’, come sapete, uno dei nostri bianchi preferiti e lo abbiamo recensito spesso perché quando le becchiamo in giro, soprattutto vecchie annate, non ce lo facciamo scappare, per  esempio lo Chardonnay 2006 dalla famiglia Caputo. Che abbiamo grandi possibilità di invecchiamento lo dimostra anche questa verticale organizzata dall’Ais Roma di cui ha scritto Monica Piscitelli. Lo stile è opposto a quello di Planeta, più essenziale, terroso, costruito attorno all’acidità agrumata. Grande vino

Cirò Marina, 13 luglio. Con Nicodemo Librandi

Si avvicina a questo stile il Critone di Librandi, coltivato da 15 anni nella tenuta Rosaneti in val di Neto su suolo argilloso calcareo. Anche qui il frutto è ben supportato da acidità: il vino lungo e piacevole, un best seller dell’azienda di cui quasi nessuno parla a conferma dell’etermo distacco italiano tra critica e popolo.

Roberto Ceraudo tra le sue vigne nella splendida azienda agricola (foto di Sara Marte)

Gioco di coppia calabro-siculo con l’Ymir di Ceraudo, questo simile allo stile di Planeta, spudoratamente speziato e tropicale, dai toni dolci, che nasce sulla parte più alta della bellissima tenuta in Contrada Dattilo, non lontano da Rosaneti. Anche qui ci sono oltre quindici anni di esperienza, lavoro in barrique e un bianco che si vende, si beve e che invecchia molto bene.

Cantele, new generation

Nasce a Guagnano lo Chardonnay Teresa Manara di Cantele, venduto a navi cisterna negli anni passati e oggi poco considerato ma non per questo meno venduto. Complessità olfattiva, lunghezza, capaictà di invecchiamento molto interessante ne fanno un vino di grande stoffa e, anche in questo caso, non inventato.

Fabrizio Rossi

 Chardonnay biodinamico, forse il primo in Italia, nella Tenuta Cefalicchio grazie all’approccio umanistico di Fabrizio Rossi alla terra e alla viticoltura. Sull’Ata Murgia, la proprietà appena fuori Canosa vive in queste condizioni da almeno 20 e regala un bianco didattico, non strillato, essenziale, molto diverso da quelli a cui in genere siamo abituati ma non perquetso meno complesso e longevo.

Vinicola Rivera, Carlo e Marco De Corato

Storico anche il Lama di Corvo di Rivera, siamo oltre i 300 nel magico territorio del misterioso castello ottagonale costruito da Federico II. Frutta e legno ben integrato, uno dei ru aziendali di maggiore successo.

Marina Cvetic

Chiudiamo con il Marina Cvetic voluto nel 1991 da Gianni Masciarelli, vino di grande eleganza, lungo, straordinario, nato da uve coltivate quasi a 400 metri.

Ecco riflettevo come questa viticoltura, espressione di grandi famiglie che hanno investito sulla terra invece di darsi all’edilizia, sia un grande patrimonio del Sud e debba essere riconsiderata, almeno da chi non beve con il paraocchi.
Questo nulla toglie alla valorizzazione dei vitigni autoctoni, figuriamoci, ma credo che siano percorsi ben integrati tra loro, perchè il punto vero è sempre lo stesso: quando c’è un progetto enologico coerente in cui si dice quel che si fa e non si inseguono le mode, ne guadagnano tutti. Ben diverso è orecchiare e decidere di conseguenza come purtroppo spesso avviene anche in campagna.
Le esecuzioni caricaturali hanno finito per danneggiare l’immagine dello Chardonnay del Sud, ma non temte. Le stesse esecuzioni caricaturali rischiano di danneggiare anchr chi è impegnato seriamente con i vitigni autoctoni.

Una critica matura, non i talebani che distruggoni i templi di Buddha o i folli che smantellano i tempi di Timbuctu, deve saper seguire l’evoluzione complessiva di un settore e non rinchiudersi in un cerchio magico dove ce la suoniamo e ce la cantiamo.

Ultima nota. Vero che sono bianchista, ma un post così su Cabernet sauvignon e Merlot del Sud non sarebbe possibile farlo:-)

6 Commenti

  1. Ho sempre pensato (senza saperlo esprimere compiutamente e tecnicamente, vedi una lunghissima discussione anni fa da qualche parte si Fb) che autoctono non è il vitigno, ma il territorio (o meglio in una accezione alla francese, il terroir). E’ l’insieme, la mescolanza tra cultura, terreni e modi di essere che fa il vino, indipendentemente dal vitigno. E un’uva nata in un posto ha lo stesso “senso” di una forestiera nel fare un vino, quando questo vino è espressione di scelte, passioni, conoscenza, appartenenza. Anche uno chardonnay può parlare di diversità, e se lo sa fare, può farlo meglio di un cosiddetto autoctono messo lì o trovato lì ma senza retroterra. Eppoi io detesto la parola autoctono.
    Un’altra considerazione è che un post come questo lo può fare solo una critica molto forte, una testa libera: ed è impressionante la forza di suggestione, la capacità di spostamento e di focalizzazione del gusto che un critico forte e libero può esprimere. Persino con irridente facilità, e credo altrettanta consapevolezza, seppure non esibita. D’altra parte solo i campioni semplificano la corsa. ( non è piaggeria verso il direttore del nostro divertimento, è solo invidia, sia chiaro).

  2. Il Critone non è un uvaggio di chardonnay e sauvignon b. ? Se ricordo male, chiedo venia

      1. La memoria la esercito bevendo :-). Comunque è un bel vino che ho in carta e che, quando lo propongo, viene sempre ben accolto. Ricambio i baci

  3. Finalmente un post che rende merito ad un uva generosa e versatile conltivata in ogni angolo del mondo con dei risultati ottimi.Sono circa 40 anni che vinifico
    quest’ uva e ho sempre ottenuto dei bei vini.In questi ultimi anni ho voluto vinificarla con uno stile internazionale ma non sacrificando il suo respiro territoriale
    (Puglia) i risultati devo riconoscere non sono arrivati come speravo e i motivi possono essere diversi vuoi di comunicazione o forse anche di un vino che non
    è nelle corde dei consumatori abituati a uno stile uun pò meridionalistico . Consentitemi di denunciare una cattiva presa di posizione dei ristoratori parlo di quelli pugliesi verso vini bianchi invecchiati , ignorando che un vino affinato in barrique esprime la sua complessità dopo un paio di anni. Un plauso a chi ha realizzato
    questo servizio su un vino ripeto aviquerente.Saluti a tutti

  4. Grazie allo chardonnay ed al legno tanti rossisti duri e puri sono diventati bianchisti che oggi credo siano la maggioranza silenziosa del buon bere.Riguardo a Planeta vorrei qui’ ricordare il suo intrigante Fiano perfetta sintesi tra eleganza del nord ed esuberanza del sud.

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