Lino Scarallo: lo scugnizzo stellato e la rosamarina


Rosamarina,il piatto di Lino Scarallo

Lino Scarallo, chef Palazzo Petrucci

“La mia non è una passione, ma una vocazione”. Lino Scarallo, 51 anni, stella Michelin a Palazzo Petrucci dal 2008, la più longeva a Napoli, non ha dubbi sui punti di riferimento della sua vita: la moglie Chiara e le due figlie, il patron del ristorante Edoardo Trotta con cui il sodalizio dura dal 2006, il cibo. In equilibrio perfetto fra questi tre poli attrattori trascorre le sue giornate.

“Vengo da una famiglia di macellai e abbiamo sempre avuto un rapporto solido con il cibo e il mangiare. Ancora oggi uno dei miei piatti preferiti è la lingua di bue all’insalata con le cipolline, o comunque qualsiasi pezzo del Quinto Quarto. Oggi nessuno chiede più queste cose ed è un grande errore: costano poco, hanno poche calorie perché non sono e fanno bene.”

Qual è il tuo piatto per questa estate?

“Quello che mi è sempre piaciuto, la minestra di rosamarina, i semi di pasta secca che somigliano al riso, con pomodoro, parmigiano e basilico. La semplicità che mi consola fin da quando cucinavo da piccolo”

Non mi dire che cucinavi invece di giocare

“Quando sono cresciuto in estate preferivo restare a casa perché i miei stavano un mese a Maiori e io non sopporto né la barca e né l’auto, soffro troppo con lo stomaco. Il Valico di Chiunzi per me era un incubo. Mi piaceva restare solo a casa e mi organizzavo per cucinare e mangiare. In pratica così ho mosso i miei primi passi.”

Come sei entrato in una cucina professionale?

In un primo momento mio padre voleva farmi fare l’infermiere, diceva che il posto fisso era la prima cosa. Feci anche un corso per poter entrare in ospedale ma poi vedere tutta quella sofferenza era troppo per me. Lo dissi chiaramente a mio padre, dopo sei mesi lasciai e presi il diploma all’alberghiero”.

E poi?

“Dopo è stato un crescendo. Partecipai al premio Ferretti che l’indimenticabile signora Lia organizzava nel suo albergo a Diamante. Poi tante esperienze in città, a Ischia, in Sicilia, a Firenze, in Belgio”.

E alla fine l’epopea della Maschera di Avellino

“Si, era il 1996 e mi dissero di questo progetto di Gino Oliviero, allora giovane commercialista. Dovevo essere preso come secondo ma all’ultimo momento lo chef designato lasciò e Gino mi chiese se me la sentivo di prendere in mano la situazione. Avevo 22 anni, l’età dell’incoscienza, ma sai come si dice a Napoli: Chi nun tene coraggio nun se cocca ch’ ‘e femmene belle e mi lanciai. Furono anni bellissimi, all’epoca c’era un risveglio del mondo del vino, Gino era appassionato e ogni azienda che nasceva ci portava i vini da provare. Poi c’era un grande personaggio come Enzo Ercolino che dirigeva i Feudi e che mi adottò, dandomi la possibilità di cucinare per grandi personaggi, fra cui anche Gino Veronelli. Gli preparai un baccalà che apprezzo moltissimo”.

Una fiaba che non fini con il classico e vissero tutti felici e contenti.

“La Maschera all’epoca era molto innovativa, la città non la adottò pienamente. Avevo preso anche casa ad Avellino, poi ci furono divergenze con Gino e lasciai tornando a Napoli”.

Dove realizzi quello che è il “tuo secondo matrimonio”…
“Si, entrai in contatto con Edoardo Trotta. All’inizio mi spaventarono le coincidenze: entrambi i locali vicino a una chiesa, entrambi commercialisti, entrambi amici del mitico Lello Esposito. Ma accettai giocando il tutto per tutto vendendo casa di Avellino e tornando nella mia città. Napoli era all’epoca un po’ troppo adagiata sulla tradizione, facevamo una cucina tradizionale ma sostanzialmente nuova, un esempio era la pastiera stratificata che avevo pensato ad Avellino e che ancora oggi è molto richiesta nonostante forse sia troppo dolce per i gusti moderni, oppure la caprese di gamberi, altro piatto ancora oggi richiesto. E poi pasta, pasta e pasta, sempre fatta bene, alla napoletana, con ingredienti di mare e un po’ di orto secondo lo stile che si era affermato in Penisola Sorrentina. Centriamo la formula e arriva la stella nel 2008, dopo appena due anni”.

Infine il boom a Posillipo
“E’ storia di oggi praticamente. Quello che sembrava un problema diventa un trampolino di lancio: a parte Borgo Marinari non ci sono posti dove mangiare a pelo d’acqua a Napoli anche se può sembrare strano. La bellezza della vista, l’atmosfera rilassata, la cucina, gli investimenti fatti da Edoardo sui vini, e poi, anno dopo anno, l’acquisizione di tutta la struttura per le nostre attività fanno di palazzo Petrucci a Posillipo un vero hub gastronomico di qualità, con il ristorante a piano terra, uno spazio eventi o aperitivi al secondo, spazi per convegni al terzo. Quello di cui andiamo orgogliosi è che la clientela turistica convive con quella napoletana perché noi abbiamo sempre fatto una politica di equilibrio nei prezzi, il nostro obiettivo è far stare bene il cliente, farlo tornare come in effetti avviene, metterlo al centro dell’attenzione. Non siamo uno stellato che cucina, ma siamo una cucina stellata”.

Quindi tu e il tuo socio potete essere soddisfatti.

“Ma quale socio? Io ed Edoardo non siamo soci, ognuno ha il suo ruolo e forse proprio per questo a breve festeggeremo i 20 anni di attività. Non rinuncio a nessuno dei miei due matrimoni”.

Minestra di rosamarina al pomodoro

Un piatto dimenticato

Rosamarina di Lino Scarallo. Foto Giuseppe Di Martino

La rosamarina è il termine dialettale con cui si indica il rosmarino. Insomma la pastina che somiglia al riso e che si dava ai bambini durante lo svezzamento. Ora si sta rilanciando grazie alle idee degli chef. Peppe Guida per esempio ne fa un a grande pasta e piselli. Lino fa la minestra di pasta e pomodoro, molto semplice: si parte con lo sfritto d’aglio, si aggiungono i pomodori freschi che cacciano ovviamente più acqua e quando inizia a sobbollire si aggiunge la pasta. Proprio come se fosse riso. Al termine della cottura si aggiungono abbondante parmigiano e basilico e il gioco è fatto: si mangia con il cucchiaio e piace a grandi e piccini. Ma non più di 200 grammi a testa raccomanda Lino sorridendo.

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