Liberiamo il marketing del vino dalla ideologia: il mio articolo su L’Enologo
Rilancio l’articolo pubblicato sul numero dell’Enologo di ottobre che inaugura la rubrica In Punta di Penna voluta dal presidente Riccardo Cotarella.
che ospiterà giornalisti professionisti del settore
di Luciano Pignataro
Forse mai come in questi anni siamo in una fase di cambiamenti sociali e antropologici, probabilmente accentuati dalla vicenda Covid o forse dal processo di globalizzazione, chissà. Non è questa la sede per approfondire e tentare analisi più complesse se non considerare la immediata ripercussione che registriamo nel mondo enogastronomico dove due pilastri che hanno tirato la volata del made in Italy nel mondo e anche nel nostro paese sono radicalmente messi in discussione: il vino e il fine dining.
Facciamo uno zoom sul primo, vista la sede di questo articolo e, stringendo ancora il campo, ci soffermiamo sui mercati, argomento dell’ultimo congresso di Cagliari di Assoenologi, e del marketing che registra l’uscita di almeno due libri che girano attorno a questo argomento: Social, Pr e media relations del vino di Steve Kim e Gino Colangelo (Mamma Jumbo Shrinp, pp. 156) e Non ne la bevo di Michele A. Fino (Mondadori, pp.202). Riservandoci delle recensioni approfondite sul lavoro di questi autori ben conosciuti oltre che profondi esperti della materia, ci vogliamo soffermare proprio sul marketing.
Il mondo del vino ha dettato i temi della comunicazione a tutta l’agricoltura ma adesso è fermo
A partire dalla crisi del metanolo del 1986 il mondo del vino ha dettato i temi della comunicazione agricola diventando un riferimento per altri settori come l’olio, i formaggi, i salumi, gli stessi prodotti della terra, i distillati, ora i gin, eccetera, correndo sempre su un doppio binario: ossia il vino come espressione del territorio e/o del brand che lo propone. In fondo lo scontro culturale e comunicativo, anche in molti consorzi, si può riassumere in questa polarizzazione che è finita, con il passare dei decenni, per essere abbastanza ideologizzata, come spesso avviene in Italia. Pochissimi territori e vini di territorio sono riusciti a trovare un punto di equilibrio, una sintesi fra questi due aspetti, al punto da far passare un messaggio di qualità generalizzata oltre la cerchia degli appassionati conoscitori delle singole cantine.
Ma quello che trovo oggi molto interessante è il fatto che lo stesso termine marketing è finito sul banco degli imputati. Da un lato perché, come sempre accade, coloro che hanno aperto la strada e indicato la direzione se non si aggiornano finiscono per diventare routinier, a volte per stanchezza, sempre più spesso perché alla voglia di osare verso nuove strade prevale la paura di sbagliare e credo che questo atteggiamento sia uno degli indici dell’attuale fase di stanca che il nostro Paese vive in molti settori. La ricerca di scorciatoie (la polemica spinta, le macchiette sui social, il testimonial conosciuto) è indice manifesto di una incapacità di fare un ragionamento complessivo.
Il marketing è un pregio o un inganno da criminalizzare?
Lo stesso termine, marketing, è poi attaccato dall’ideologia del neopauperismo giacobino che imperversa da una ventina d’anni in questo ambiente per il quale il suo significato è sinonimo di inganno, racconto costruito a tavolino, invenzione di storielle finte per raggirare il consumatore. Ed è incredibile come una attività antica come l’uomo, ossia la capacità di creare le condizioni per raccontare e vendere una merce, finisca di per se stessa sul banco degli imputati, come se il termine vino naturale non fosse esso stesso una espressione di raffinato marketing che punta a toccare le corde più sensibili degli appassionati sui tempi dell’ambiente e della sostenibilità.
Tra queste posizioni e lo schema bocconiano per cui tu o vendi scarpe o vino o auto il protocollo non debba cambiare ci può essere una via di mezzo? Ci sarebbe se si facesse appello alla creatività italiana e alla nostra naturale predisposizione di adattarci alle situazioni che cambiano oltre che alle emergenze.
Lo stallo fra i due poli di comunicazione che ho delineato emerge proprio dagli strumenti più moderni, se ancora è possibile definirli tali, come i social: da un lato spot ripetitivi e noiosi, dall’altro la replica della “Bionda di Peroni” anni ’70 in versione influencer con bottiglie di vino esibite e non spiegate. E’ questa la nuova strategia per riuscire a surfare sul cambiamento?
La metodologia del Congresso Assoenologi di Cagliari parte giustamente dall’analisi dei mercati: i vari esperti hanno sottolineato come ci siano elementi comuni in tutto il mondo ma anche che ogni area geografica ha le sue peculiarità e le sue sensibilità.
Le nuove regole e i nuovi linguaggi ancora assenti nel mondo del vino
Quindi in questo settore vince solo chi si aggiorna in continuazione sulla base di una attenta analisi della realtà, territoriale e generazionale senza attardarsi a vecchi schemi che si soni rivelati utili in passato ma che adesso sono inadeguati o continuare a fare marketing camuffato da ideologia.
Serve in poche parole partire da una analisi dei cambiamenti in atto, a cominciare dai consumi e così come si ripensano i vini, vanno rimodulati anche i modi per comunicarli in maniera efficace. Bisogna fare presto, prestissimo perché l’attacco ideologico a questo prodotto è multiplo, ha aspetti nutrizionali e salutistici sempre più sottolineati ai quali bisogna contrapporre, in modo moderno, le ragioni culturali di quella è che la più buona bevanda inventata dall’uomo con l’aiuto degli Dei da oltre tremila anni.
articolo illuminante. dopo immagino 40 anni di esperienza nel settore.
Ieri leggevo da qualche parte la proposta deve essere più accattivante, soprattutto per i giovani, per una volta qualcuno che li pensa questi GIOVANI, insomma deve essere una proposta più SEXY.
ma si perchè no.
W il vino bevanda, da aperitivo. per i giovani appunto.
Con una raccomandazione però: bevetevelo voi!
Infatti il vino non deve essere sexy perchè questa strategia può essere adotatta da qualcisasi prodotto, deve essere comunicazione culturale.