Lettera dalla Napa Valley
di Martino Iannone
Caro Luciano,
ieri, martedì, sono stato in Napa Valley. Tutta la giornata a zonzo tra vigne, cantine, musei, sul lavoro (hight tech) di questi vignaioli, qualche ristorante e una centro acquisti. La prima volta, tre anni fa, ero un po’ frastornato. Stavolta è andata meglio. Pioveva, ma non è stato un problema.
La madre di Valerie ci aveva segnalato in particolare un’azienda in grande ascesa. Ci siamo stati. Si chiama Freemal Abbey. E’ giovane. Ha circa 10 anni. Quando siamo entrati nella sala degustazione, c’era gente che raccontava di aver guidato per 300 miglia pur di assaggiare un loro nuovo blend appena tirato fuori. Si tratta di un Cabernet Sauvignon riserva (col 13% di merlot) del 2000. Lo chiamano Bosche’. Davvero un bel vino. Sicuramente morbido, internazionale (come dici tu) del tutto omologato, eccessivamente alcolico. Ma resta. Prima avevamo assaggiato, per 20 dollari, le loro migliori reserve. Una sorta di verticale di Cabernet Sauvignon fino al 1997. C’era anche un piacevole Merlot 2000. Ho scoperto che qui ogni anno il blend dei vini cambia sebbene l’etichetta resti la stessa. E’ l’enologo che decide la giusta proporzione tra vitigni in base all’annata. I prezzi non sono inavvicinabili. Siamo stati poi in un ristorante dove mi ha incuriosito la cucina, assai ricercata e equilibrata. Miele, olio extra vergine, cioccolato, ampia scelta di mostarde di verdure (su tutte quella di jalapeno). Valerie ha preso un pesciolino di lago, io carne. Abbiamo bevuto birra perche’ in quel ristorante (che si chiama Silverado) la producevano in casa. Ci hanno anche fatto vedere le attrezzature. Proprio stamani, sul New York Times c’è un articolo in prima pagina sulla <rivoluzione culinaria in Napa Valley>. Quando si dice <stare sulla notizia>.
Alla fine Valerie era un po’ stanca e per tornare a Berkeley ho guidato io. Un’esperienza nell’esperienza. L’auto, una Bmw, con le marce automatiche (ho dovuto praticamente legare la gamba sinistra al sediolino). La pioggia battente. Di sera e soprattutto sull’hightway che porta a San Francisco: sei corsie per ogni senso di marcia zeppe di macchinoni e tir che qui chiamano truck. Bisogna per forza camminare a 70 km l’ora. Se sono vivo è perché la morte è piu’ oziosa di me…