Leguminosa a Napoli, ecco alcuni produttori protagonisti da andare a trovare
di Franco D’Amico
Leguminosa ha cadenza biennale, nata nel 2014 qui a Napoli, con l’edizione 2018 si è conclusa la terza rassegna Slow Food sui legumi, ancora una volta realizzata dal vivo nella bella cornice della storica di piazza Dante, per una tre giorni ricca di eventi con la partecipazione di circa 80 banchi di produttori provenienti da tutt’Italia, ma anche dall’estero, per rappresentare i legumi in tutte le sue sfaccettature considerando gli aspetti storici e geografici, nonché le peculiarità di ciascuna specie raccontati dagli stessi produttori con entusiasmo, anche durante i vari incontri, tra cucina, idee ed educazione. Quindi, fagioli, ceci, cicerchie, lenticchie ed altre varietà che hanno contribuito all’alimentazione dell’uomo da sempre ora guardano al futuro.
Le impressioni del Presidente Slow Food Italia Gaetano Pascale nel corso degli incontri sono state univoche, il tema del progetto è ancora una volta la biodiversità italiana e internazionale dei legumi che si prefigge lo scopo di infondere la conoscenza dei legumi ai consumatori consapevoli, mediante una rete di gastronomie e locali amici di Slow Food, attraverso la vendita supportata da materiali di comunicazione e con la degustazione di ricette che valorizzino i legumi, enunciandone le origini e l’indiscusso valore nutrizionale di tali elementi arrivati a noi da tempi remoti, coltivati dai contadini ad ogni latitudine in circostanze climatiche a volte avverse, su qualsiasi territorio. Pregevoli le produzioni che ritroviamo in Campania, tra cui quelle in Irpinia e Cilento, il Sannio Beneventano, Matese e l’Agro Casertano, nonché l’area del Vesuvio che raccoglie nell’occasione il testimone del nuovo Presidio SF “Piselli 100 giorni”.
Leguminosa è, nella sua complessità, l’occasione per ripercorrere la storia dei legumi, quali culture coinvolge, quali opportunità, quale futuro oltre l’economia di sussistenza; fino a scoprire quanto e come è cambiata oggi l’agricoltura, come si relaziona con il mondo intero e come dalla globalizzazione è stata penalizzata.
La descrizione della coltivazione dei fagioli nelle campagne acerrane è riportata in più testi sulla storia della città ma la più interessante e significativa del cosiddetto fagiolo “dente di morto” si trova nella “Guida Gastronomica d’Italia” pubblicata dal Touring Club Italiano del 1931. Nella guida i fagioli sono indicati come la specialità di Acerra, al tempo esportata addirittura in America. Il nome è legato al colore bianco opaco, simile appunto al colore dei denti di un morto. Il commercio di questi fagioli fu un’attività economica molto significativa da inizio ‘900 fino agli anni ’70. Caratterizzato da piante a cespuglio, non rampicanti, di colore verde intenso, e tradizionalmente seminato in due diverse epoche, aprile e luglio, per contare su due diversi periodi di raccolta, il fagiolo “dente di morto” viene coltivato secondo pratiche ecocompatibili.
La zona di produzione della Denominazione di Origine Protetta “Fagiolo Cannellino di Atina” è costituita dai sei comuni nella provincia di Frosinone, compresa Atina.
La semina, effettuata a mano o con la seminatrice, viene praticata dal 15 giugno al 15 luglio di ciascun anno. Non è ammesso alcun tipo di concimazione. La dotazione di elementi nutritivi è solo quella residua della eventuale precessione colturale con graminacee autunno-vernine. Un fagiolo versatile per preparazioni in cucina di qualità.
Lenticchia di Villalba: Slow Food, che l’ha segnalata sull’Arca del gusto già dal 2007, ha avviato nel 2012 il Presidio, che riunisce le associazioni dei 23 produttori locali, il Consorzio volontario di tutela della lenticchia di Villalba e l’associazione dei produttori di lenticchia di Villalba.
Nel comune di Villalba, dove da sempre l’economia locale è basata sull’agricoltura, la coltivazione della lenticchia e del pomodoro, in rotazione al grano duro, costituiscono il fulcro dell’economia locale. Il Presidio valorizza questa risorsa, che potrebbe diventare un volano per la microeconomia locale.
Accanto alle colture più ricche, un gruppo di agricoltori sciclitani ha custodito anche un fagiolo: il cosaruciaru (in dialetto “cosa dolce”) che si riconosce per via del suo colore bianco-panna con piccole screziature marroni intorno all’ilo. La sua coltivazione risale all’inizio del ’900, quando il cosaruciaru, detto anche “casola cosaruciara”, aveva il suo peso nell’economia agricola locale. Al tempo gli era riservata un’area speciale, le cannavate, fatta di terreni alluvionali, freschi e permeabili, localizzati lungo il torrente Modica-Scicli.
Quasi totalmente scomparso, solo alcuni affezionati contadini lo hanno coltivato nei propri orti per non perdere la possibilità di mangiarlo in una buona zuppa di verdure, o con le cotiche.
Lupinone di Vairano, gigante di Vairano o lupinaccio: sono gli altri nomi con cui è noto il lupino gigante di Vairano, particolare per le grandi dimensioni. Antica produzione tradizionale – oggi abbandonata e sostituita da colture più redditizie – predilige i terreni acidi; per questa ragione l’area di Vairano, al confine tra Campania e Lazio e di origine vulcanica, è da sempre adatta a questa coltivazione. La pianta raggiunge il metro e mezzo di altezza, il fiore è bianco, le foglie verde intenso. Il frutto è un legume lungo e schiacciato, che contiene fino a sei semi, di colore beige, dalla forma tondeggiante e del diametro di un centimetro e mezzo.
Area di produzione: Comuni di Vairano Patenora, Tora e Piccilli, Pietravairano, Caianello e Teano in provincia di Caserta.
L’incontro a Napoli con Leguminosa, tra i tanti visitatori presenti e l’affascinante viaggio per riscoprire l’universo dei legumi e tutti i suoi valori, insieme agli stessi produttori dove ho avuto modo di ascoltare le impressioni di alcuni, anche con la degustazione diretta di assaggi preparati dagli chef partecipanti alle Osterie della Pasta e della Zuppa, due luoghi dove sono stati sviluppati gli abbinamenti tradizionali e innovativi tra cereali e legumi, senza dimenticare la bottega sull’olio extravergine.
Dalle Alpi alla Sicilia, legumi, ceci e lenticchie un intreccio tra passato e presente, sentire dal vivo dai produttori la storia appassionante delle nostre terre, i ceci e fagioli, quelli coltivati in Europa prima dell’avvento delle specie americane come l’importante Fagiolina del Trasimeno, trapassando i luoghi dello storico incontro di Vairano Patenora con il Lupino Gigante, divenuto Presidio Slow Food insieme a tanti altri prodotti dello stesso genere, itineranti in giro per il mondo.
Il seme è piccolo come un chicco di riso. Coltivata da sempre sui terreni attorno al lago Trasimeno e diffusa fino agli anni Cinquanta del Novecento, in seguito la fagiolina è quasi scomparsa. L’area del lago ha subito infatti, da quel periodo in poi, un grave spopolamento delle campagne, e questa antica coltivazione, a differenza di altre che hanno consolidato il loro valore commerciale (mais, girasole, peperoni…) è andata progressivamente scomparendo. Colpa anche di una coltivazione lunga, faticosa e ancora tutta manuale: dalla semina alla raccolta fino alla battitura. La maturazione, inoltre, è scalare: i fagioli devono essere raccolti ogni giorno per un paio di settimane. Le piantine si sistemano nell’aia, si fanno essiccare e si battono con forche e bastoni. Poi, con i vagli si separano i semi e si insaccano. Area di produzione Comuni intorno al lago Trasimeno (provincia di Perugia).
La manifestazione ha seguito le linee guida che da sempre caratterizzano le kermesse organizzate da Slow Food, un evento “vivo” che ha coinvolto il pubblico più vasto dei consumatori, risvegliandone l’interesse, sollecitandone la cultura e la sensibilità, creando momenti di riflessione e dibattito, con la presenza quest’anno anche di Yvan Sagnet, insignito cavaliere della Repubblica italiana “Per il suo contributo all’emersione e al contrasto dello sfruttamento dei braccianti agricoli”, ma anche informazione e degustazione degli assaggi creando momenti di convivialità in slow.
Le conclusioni di Leguminosa 2018, che è stata promossa dall’Associazione Slow Food Campania, con i patrocini della Regione Campania e del Comune di Napoli, una manifestazione avvenuta sotto i migliori auspici anche quest’anno che ha visto protagonista la città di Napoli con l’arrivo di migliaia di visitatori e produttori con i migliori legumi provenienti da alcune tra le regioni d’Italia più vocate a tali coltivazioni come Campania, Lazio, Sicilia, Puglia, Basilicata, Umbria e Piemonte, qui si coltivano fagioli, cicerchie, ceci, lenticchie, fave, piselli, lupini e altre tipologie di legumi legati alla storia e alle tradizioni del territorio di ciascuna località, prodotti assoluti che sposano soprattutto la qualità, oggi maggiormente ricercati dai consumatori per un ritorno ai sapori semplici che raccontano antiche tradizioni, ma ora anche con la consapevolezza dell’utilizzo di prodotti salutari coltivati con sapienza contadina.