Lecce, Osteria degli Spiriti
Osteria degli Spiriti a Lecce
Via Cesare Battisti, 4
Tel. 0823.246274
Chiuso domenica sera, aperto sempre.
Ferie: due settimane a luglio
Torniamo dopo 15 anni nel bel locale di Tiziana Parlangeloi e Piero Merazzi. Questi, da vero oste, si ricordava perfettamente che ero stato li con Severino Garofano e mi indica anche il tavolo dove stavo seduto. Il locale è decisamente migliorato, bello luminoso, con uno spazio cantina riempita in maniera colta, competente e appassionata e con i giusti prezzi di ricarico. Trascorriamo una serata molto piacevole con cari amici, scopria che nel frattempo è stata aperta a fianco una pizzeria e non possiamo esimerci dall’assaggio: lontana dallo stile napoletano, più all’italiana per intenderci, ma sicuramente buona.
Centriamo due piatti tipici perfettamente eseguiti, ciceri e tria e le polpette e le braciole di cavallo che ci consolano. Insomma, fa bene alla menyte ritrovare dopo tanti anni un locale ancora motivato e pimpante, presidio delle eccellenze del territorio. Assolutamente da non perdere se siete nella città del barocco. Per il resto, vi rimando alla recensione del 2007, che sottoscrivo in pieno oggi e un promessa: non passeranno altri15 anni prima di tornarci!.
Report del 26 febbraio 2007
Via Cesare Battisti, 4
Tel. 0823.246274
Chiuso domenica sera, lunedi a pranzo.
Ferie: due settimane a luglio
Questo locale ha solo due difetti: il primo è quello di non essere nel cuore di Lecce stupenda, ma in una zona appena defilata rispetto al Barocco mozzafiato, così come del resto gli altri due posti che per una curiosa coincidenza si sono aperti proprio in questa strada uno vicino l’altro sì da formare massa virtuosa a contraltare forse una ristorazione troppo appiattita sul mordi e fuggi turistico. Il secondo è un carpaccio di pesce inserito tra gli antipasti che per un momento mi ha fatto sudare freddo temendo di essere finiti in uno dei soliti franchaising da sub-sushi. In realtà non arrivo a dire che vale da sola il viaggio perché farei torto enorme alla bellissima città, ma l’osteria di Piero e Tiziana, coccolata giustamente da Slow Food, è un punto sicuro dove poter mangiare i piatti tradizionali leccesi recuperati culturalmente, dunque non tramandati, ma al tempo stesso proposti in modo aggiornato e serio così come impone la nuova linea gastronomica italiana in cui anche in una piccola trattoria è opportuno trovare bicchieri giusti, persone competenti e appassionate. Insomma, se girate nel Salento, cosa che vi consiglio di fare, venite qui. Il sottofondo jazz al giusto volume, una passione del simpatico proprietario, fa da contrappunto allo stile caldo e classico della doppia saletta a volte il cui arredamento richiama direttamente l’humus architettonico urbano, la carta dei vini è infinita e appassionata sui pugliesi, debole e svogliata sui bianchi a conferma che siamo in una terra dove al massimo si arriva a considerare il rosato come possibilità vitivinicola. I ricarichi sono giusti, dunque si beve bene a poco prezzo anche se gli sfizi, come le annate storiche di Patriglione e Graticciaia, non mancano per chi ha voglia di qualcosa di memorabile. Abbiamo subito apprezzato la batteria di panetti, tra cui il tipico pizzo leccese fatto con pomodoro, cipolla, olive e chissà quale altra diavoleria (a proposito, fate sempre attenzione al nocciolo del frutto che viene lasciato ovunque nell’impasto), integrale, bianco.
La batteria di antipasti in stile orientale ci ha atterrato per la sua magnificenza, dai peperoni con pane grattuggiato alle mitiche zucchine con le uova a susciello della nonna, la ricottina fresca, per fortuna niente salumi, squisite melanzane, frittate e torte rustiche da sbocconcellare, frittura pulita con polpettine, crocchette, arancini, eccetera. Ma il pranzo vale, a mio giudizio, per due piatti classici leccessi che sono imperdibili su cui ho puntato subito senza farmi ammaliare dalle Sirene: i ciceri e tria, ossia le lagane e ceci diffuso in tutto l’Appennino che qui hanno una caratteristica, parte sono bollite come pasta, parte fritte per cui in bocca c’è un piacevole gioco di consistenze a cui si aggiungono i ceci parte interi e parti a purea. Camillo Langone apprezzerebbe. Il secondo piatto su cui mi sono concentrato sono i turcinieddi, ossia interiora di agnello che in Irpinia si chiamano mugliatielli, in Cilento ‘mbruglitieddi, in Lucania gnummariddi. Si tratta di una pietanza che sta al mio palato come il gelato al cioccolato per i piccini pestiferi: questi sono i migliori mai mangiati per il giusto equilibrio fra parte interna ed esterna dell’involtino.
Tra le altre proposte la carne di cavallo, consigliata a noi bambini negli anni ’60, gli spaghetti di farro, le orecchiette con le cime di rapa, le fave con le cicorie che costituiscono il piatto nazionalpopolare pugliese come la polenta di mais nelle mense padane. Formaggi non mancano, così come dolci tra cui il pasticciotto leccese, in realtà una sorta di spumone. Ma a me, salatista, ha conquistato un capretto a scottadito chiesto a freddo al posto del dolce: tenere, ben cotto, saporito, magro. La bella compagnia e un Graticciaia 2000, era l’ultima bottiglia perciò abbiamo deciso di berla, hanno fatto il resto. Dunque, cari lettori, non è vero che a Lecce si mangia male. Smentisco: magari a Roma ci fosse qualcosa del genere!