La Tradizione incontra il Giappone: Saké
di Ugo Marchionne
Secondo appuntamento in viaggio nella cultura del Beverage nipponico. A farla da padrone è la cucina di Pasquale Rinaldo.
Ovviamente siamo da Mostobuono, ristorante gourmet nel cuore del Vomero, in via Enrico Alvino, che è diventato il mio centro di indagine culturale per questa rubrica. Il Saké è una bevanda alcolica fermentata che si compone di tre fattori: riso, acqua e spore Koji. Il Saké di fatto è una categoria a sé stante, anche se viene comunemente definito come “Vino di Riso”.
In questa mia breve dissertazione mi limiterò ad esporre come le regole e la diversificazione valevole per i distillati, vale anche per il Saké, con l’acqua a svolgere un ruolo primario. Il Saké è una bevanda plurisecolare, forse millenaria che si è originata in Cina. Il primo Sakê giapponese documentato risale al terzo secolo. Il Kuchikami no Sake era un miscuglio di riso ed acqua che veniva masticato è più avanti messo a fermentare, grazie all’azione degli enzimi della saliva. Ad oggi il Saké è diventato una bevanda di gran moda, che si è diversificato e che ha raggiunto fette di mercato davvero invidiabili. Che sia il Mî Jîù cinese o il Saké giapponese, questa bevanda ha conosciuto la sua forma attuale grazie all’introduzione dell’Aspergillus Oryzae, una muffa che converte gli amidi del riso in Zucchero. Una bevanda chiara, aromatica e pulita, perfetta per il pasteggio a tutto pasto. In Giappone il Saké è una bevanda da Izakaya o da Sushi, ma la mia sfida mi ha portato a concepire unitamente alla complicità dello chef Pasquale Rinaldo di Mostobuono un menù che traesse ispirazione dalla loro carta stagionale per combinarsi perfettamente al Tencho Saké, una categoria distillata nella prefettura di Kyoto della quale si apprezza la purezza e la delicata essenza di fiori di loto, ciliegio e sambuco. Stravolgendo l’ordine di degustazione parto dai primi. Una Fettuccella con pomodoro del Piennolo e pizzaiola a crudo di Picanha. Passando per uno spaghetto, Patate, Colatura di Alici di Cetara, Limone, Alice e Menta. Due primi complessi ed aromatici, annoverabili tra i migliori assaggiati nel mio anno gastronomico. Strutturati e robusti. L’intervento del Sakè è idoneo a neutralizzare la componente rotonda del piatto, arrivando con la sua carica di profumi ed il retrobocca alcolico e pungente. Non ci dimentichiamo che il Saké è l’equivalente del nostro vino da tavola.
Sia come concezione che come percentuale alcolica. Frequentemente esso si abbina ai Noodles, perché non alle nostre paste lunghe? Mandorla, fiori bianchi, lievemente piccante, la descrizione di un Saké che perfettamente si potrebbe abbinare a questa Tataki. Uno dei piatti in carta da Mostobuono.
Questo ristorante lo ho scelto perché la sua cucina è completamente ispirata alla cultura dell’effetto Kokumi, ovvero la sensazione di complessità, durata e struttura dei sapori che viene scatenata dalla percezione dell’Umami. In parole semplici l’effetto Kokumi è quel buon sapore che resta intrappolato sul palato dopo che avete assaggiato un gran buon piatto. Più sottile e delicato il Carpaccio Di Corvina marinato al Saké con Maionese al Nikka, così come il Carpaccio finissimo di Marchigiana marinato al Piedirosso, Saké e The al Ciliegio. Due piatti che riportano il Saké nella preparazione e ne esaltano le componenti aromatiche. Un disilludo da pasteggio, un accompagnamento a tutto pasto, una bevanda da scoprire e riscoprire mille volte.